‹‹Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
Sono sempre i sogni a fare la realtà
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
e sogna chi ti dice che non è così
e sogna chi non crede che sia tutto qui››Luciano Ligabue
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
(Mondovisione, 2013, Traccia # 14)
Nella programmazione 2014-2020 dei Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE) è stata fortemente rilanciata la dimensione “territoriale” degli interventi di sviluppo. Ne sono testimonianza:
- l’importanza riservata alla “agenda urbana” nell’ambito della programmazione,
- la riproposizione dell’approccio LEADER per quel che concerne l’implementazione degli interventi di sviluppo locale cofinanziati dal Fondo per lo sviluppo rurale (FEASR),
- l’estensione di tale approccio anche agli interventi cofinanziati dal FESR e dal FSE che interessano delle aree vaste (strategie di sviluppo locale partecipativo – ‘Community Led Local Development’).
Il tema dello sviluppo locale partecipativo nella programmazione 2014-2020 (normato in particolare dagli articoli 32-36 del Reg. (UE) N 1303/2013) è stato già trattato in diversi post su questo blog.
Il presente post, muovendo dal dettato dell’art. 33 del regolamento generale sui Fondi SIE, si limita ad individuare, per 5 dei 7 elementi indicati nell’art. 33 come elementi ineludibili delle strategie di sviluppo locale, alcune specifiche criticità.
Si tratta dei seguenti 5 elementi [1], indicati in grassetto, che attengono specificamente alla formulazione della strategia:
a) La definizione del territorio e della popolazione delimitati dalla strategia
In genere, l’elevata influenza di questo aspetto sulla scelta delle strategie e sui loro effetti viene completamente trascurata, dal momento che ci si concentra sul vincolo generale di cui all’ultimo comma dell’art. 33 per cui la popolazione del territorio interessato dalla strategia deve essere, in generale, compreso fra 10 000 e 150 000 abitanti.
In merito alle considerazioni sul livello amministrativo più adeguato di gestione delle politiche di sviluppo, invece, va inevitabilmente richiamato l’annoso dibattito sugli effetti della discrepanza fra geografia “fisica” di un territorio e geografia “amministrativa” (in Italia normata dal Titolo V della Costituzione).
Nella geografia “amministrativa” (e nei processi di ripartizione delle politiche pubbliche fra diversi livelli giurisdizionali) vale il principio per cui tutto un dato territorio deve essere ripartito in livelli e “unità territoriali amministrative”, ma sovente si registra una discrepanza fra geografia “fisica” (basata su aree territoriali “analitiche”) e “amministrativa” (basata su ripartizioni istituzionali-amministrative).
Il fatto che le politiche pubbliche siano legate a ripartizioni amministrative dei territori può indebolire ampiamente efficacia ed efficienza degli interventi di sviluppo. La geografia fisica dei territori, infatti, incide notevolmente sulle loro dinamiche di antropizzazione e di sviluppo socio-economico. Inoltre, si registrano problemi legati alla diversa “scala territoriale” di competenza delle singole giurisdizione e “scala territoriale” interessate dagli effetti socio-economici delle politiche attuate [2].
b) Un’analisi delle esigenze di sviluppo e delle potenzialità del territorio (compresa l’analisi SWOT)
Qui si ravvisano due criticità: (i) la formulazione di strategie di sviluppo locale, ancora oggi, in Italia, è troppo legata a logiche tradizionali di programmazione della spesa, logiche che privilegiano l’ancoraggio alle linee di finanziamento e sono, invece, poco attente alla necessità di una adeguata valorizzazione di quelle che sono le risorse locali realmente distintive dei territori e delle istanze di partecipazione della cittadinanza; (ii) l’analisi SWOT è un potente strumento di analisi, ma è altresì uno strumento statico, sempre meno “robusto” a fronte di cambiamenti socio-economici sempre più rapidi e imprevedibili. Nel mio post del 15 febbraio 2014 avevo indicato alcuni semplici accorgimenti metodologici nel suo uso che dovrebbero contribuire a lenire i limiti di questo approccio.
c) Una descrizione della strategia e dei suoi obiettivi, un’illustrazione delle caratteristiche integrate e innovative della strategia e una gerarchia di obiettivi, con indicazione di target misurabili per la realizzazioni e i risultati.
La principale criticità di cui tenere conto è l’uso un pò approssimativo che si continua a fare – a livello sia europeo sia italiano – dell’approccio di Quadro Logico.
Il parere di chi scrive – maturato sulla scorta di ben più autorevoli pareri [3] – è che un progetto o un piano di sviluppo debbano essere ancorati a un solo obiettivo specifico. Inoltre, si deve prestare la dovuta attenzione a non sovrapporre più livelli di obiettivi e, ancor più importante, non si dovrebbero confondere prodotti delle azioni e risultati.
Sfortunatamente anche nelle Linee Guida dell’UE, sovente, si ritrovano indicazioni metodologiche e riferimenti a progetti esemplari in cui vengono messi insieme, spesso anche in modo confuso, più obiettivi generali, più obiettivi specifici e più risultati. Sovente, inoltre, fra i risultati vengono annoverati anche quelli che sono dei semplici output fisici delle azioni (ad esempio si indicano come risultati del progetto le ore di formazione o di tutoraggio erogate, quando queste sono dei semplici output di quel progetto).
Nel nostro paese, inoltre, risultano spesso lacunose e discutibili sia la scelta degli indicatori per effettuare il monitoraggio, sia la loro quantificazione [4].
L’altra criticità di rilievo concerne la generalizzata scarsa integrazione degli interventi che, in genere, caratterizza i progetti/piani di sviluppo locale finanziati in Italia.
d) Una descrizione del processo di associazione delle comunità locali all’elaborazione della strategia.
Sul processo di coinvolgimento delle comunità locali alla formulazione della strategia, così come esperito in Italia fin qui, si possono ravvisare più ombre che luci.
Una ampia disamina di rischi e opportunità legate ai processi partecipativi l’avevo già presentata nel post del 15 novembre 2014. Qui mi limito a richiamare i rischi principali: (i) i decisori pubblici locali possono distorcere i processi di coinvolgimento su base paritaria dei cittadini, avvilendoli a forme di cooptazione e di mera conservazione del consenso; (ii) alcuni soggetti locali – più forti e/o più scaltri -possono imporre le loro decisioni se tali processi non vengono adeguatamente governati, oppure possono usarli solo per raggiungere un migliore posizionamento in fase di distribuzione dei benefici dei processi di sviluppo locale.
e) Un piano di azione che traduca gli obiettivi in azioni concrete.
Rispetto a questo elemento valgono le considerazioni fatte già sopra sulla discutibile applicazione di concetti e strumenti dell’approccio di Quadro Logico.
Inoltre, in Italia la formulazione dei progetti è ancora troppo legata alla vecchia prassi di progettare per attività e non per obiettivi, come sempre di più si fa a livello internazionale seguendo il Results-based management approach (su questa criticità vorrei rimandare al mio post del 15 gennaio di quest’anno).
In conclusione, si può affermare che se, da un lato, è vero che ogni strategia di sviluppo locale dovrebbe muovere da una ben determinata “vision” (“vision” che, sovente, è assimilabile a un autentico “sogno di sviluppo” di una comunità locale), dall’altro, per parafrasare Ligabue, non è affatto facile fare in modo che siano i sogni a “dare forma al mondo”.
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[1] Gli altri due elementi indicati nell’art. 33 sono: (f) una descrizione delle modalità di gestione e sorveglianza della strategia, (g) il piano di finanziamento della strategia.
[2] Si vedano: OLSON M. (1969), The Principle of Fiscal Equivalence: the Division of Responsibility among Different Levels of Government, in “American Economic Review”, LIX/1969, pp. 479-487; BAGARANI M., BONETTI A. (2005), Politiche regionali e Fondi Strutturali. Programmare nel sistema di governo della UE, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ); BAGARANI M., BONETTI A. (2012), Evoluzione del sistema di governo delle politiche comunitarie e cambiamenti nella politica regionale nazionale; in BAGARANI M. (a cura di), Il governo delle Regioni e lo sviluppo economico. Limiti e rischi del processo di decentramento comunitario; Edizioni dell’Orso, Alessandria, pp. 7-39
[3] Si vedano: ROSSI M. (2004), I progetti di sviluppo. Metodologie ed esperienze di progettazione partecipativa per obiettivi, F. Angeli, Milano; STROPPIANA A. (2009), Progettare in contesti difficili. Una nuova lettura del Quadro Logico, F. Angeli, Milano
[4] Su scelta e quantificazione degli indicatori, si vedano: MARRADI A. (1987), Concetti e metodo per la ricerca sociale, Giuntina, Firenze, ILO (undated), ILO RBM GuidebookProgramm, Geneva, UNDP (2009), Handbook on Planning, Monitoring and Evaluating for Development Results, New York