‘They know
the price of everything
and the value of nothing’
Oscar Wilde
I Social Impact Bonds
I Social Impact Bonds (SIBs) – indicati anche come “Social Benefit Bonds” – sono lo strumento sperimentato massicciamente a partire dal 2010, nei paesi anglosassoni e non solo, per ampliare le fonti di finanziamento delle politiche sociali senza aumentare la pressione fiscale.
In particolare, questo strumento punta ad ampliare il novero dei potenziali finanziatori privati, attraverso il coinvolgimento di investitori filantropici e di capitalisti “pazienti”, ossia di investitori che, parafrasando il celebre aforisma di Wilde, oltre a conoscere il prezzo delle cose, sanno anche apprezzare il loro reale valore. [1]
Questo strumento consente al settore pubblico, in primo luogo, di erogare più servizi sociali senza sopportare necessariamente un aggravio della spesa pubblica. Inoltre, consente di ricalibrare la spesa sugli interventi preventivi, interventi che, in genere, sono più difficili da giustificare agli occhi dei contribuenti. Le potenzialità di questo strumento sono dimostrate, inter alia, dalla vastità dei contributi di ricerca che sono stati elaborati a partire dal 2010, anno della prima sperimentazione di questo strumento (sperimentazione attuata dall’intermediario finanziario a vocazione public benefit Social Finance, su mandato del Ministero della Giustizia britannico, per contrastare la recidiva dei detenuti per reati minori del carcere di Peterborough, in Inghilterra). [2]
Per capire la struttura dei SIBs è molto istruttiva la sintetica descrizione proposta da una Guida datata marzo 2011 di The Young Foundation (p. 5):
“under a SIB, a payer (usually Government….) agrees to pay for measurable improved outcomes
of social projects, and this perspective income is used to attract the necessary funds from commercial, public or social investors to offset the costs of the activity that will achieve those better results.
This approach is possible where better outcomes lead to tangible public financial savings”.
Questa definizione e l’intera Guida, pertanto, evidenziano come i SIBs siano caratterizzati da: (i) il coinvolgimento di più operatori nel finanziamento di progetti di pubblica utilità; (ii) un programma di azione finalizzato a conseguire un impatto significativo; (iii) un impegno a ripagare i capitali iniziali – in genere da parte un Ente committente pubblico – se vengono raggiunti gli impatti e (iv) un risparmio di spesa pubblica (nel caso di committenti pubblici) consistente, come conseguenza dell’efficacia del programma. [3]
Un progetto finanziato tramite SIBs dovrà produrre un impatto sociale significativo. Questa è la ratio di tali progetti, che porta a identificarli come strumenti “pay-for-success”. Come scrive Pasi in un recente contributo sul portale del progetto “SecondoWelfare”, ‹‹un simile meccanismo poggia su un cambiamento importante rispetto le logiche negoziali classiche della pubblica amministrazione: la stazione appaltante (cioè il settore pubblico) si impegna a pagare solo a fronte di determinati outcomes e non appena sulla base di outputs (o peggio ancora inputs) certificati in una qualche maniera››. [4]
Inoltre, gli stessi profili finanziari degli accordi sottesi a un SIB, che rendono tale strumento così accattivante, si realizzano se e solo se vi sarà un impatto sociale, in quanto:
• i risparmi della spesa pubblica per affrontare problemi sociali cronici si potranno concretizzare solo a fronte dell’efficacia/impatto del progetto;
• il premio finanziario per gli investitori, al termine del progetto, è parimenti legato al suo impatto sociale.
La valutazione dell’impatto del progetto, pertanto, è cruciale. E su questo tema si sta sviluppando un interessante dibattito di cui non vi è modo di dare conto in questo post.
I potenziali vantaggi per il settore pubblico
Già sulla base di queste considerazioni introduttive, appare evidente come la sperimentazione dei SIBs comporti almeno tre vantaggi rilevanti per finanza pubblica ed efficacia dei servizi erogati alla cittadinanza:
• un modello di finanziamento delle politiche sociali basato sui SIBs implica un coinvolgimento degli operatori privati anche sul versante del finanziamento. Per questo la letteratura rimarca che vi è una ripartizione del rischio fra privati e operatore pubblico (quest’ultimo, in questo modello, sostiene l’onere del finanziamento dei servizi solo se gli interventi producono determinati impatti sociali, la cui quantificazione è parte dell’accordo iniziale);
• il settore pubblico può ampliare l’ammontare e la “varietà” di servizi sociali senza incrementare, almeno inizialmente, la spesa pubblica. La spesa pubblica sarà sostenuta dalla Pubblica Amministrazione non a titolo di rimborso di servizi erogati (outputs), ma a titolo di premio se e solo se i progetti implementati avranno raggiunto gli obiettivi ratificati inizialmente. La PA paga non per dei servizi, ma per dei risultati da valutare attentamente, secondo una logica “results-based management” a cui si dovrebbero informare tutti i progetti che intendono raggiungere significativi risultati di cambiamento sociale;
• se, come accaduto fin qui, questo modello è applicato per sperimentare nuovi servizi preventivi per gruppi target fortemente soggetti a “recidiva” (ex tossicodipendenti, ex carcerati, senza fissa dimora, alcolisti…), si possono conseguire dei forti risparmi di spesa, a condizione, ovviamente, che i progetti siano realmente efficaci e, di conseguenza, non si rendano necessari interventi correttivi di problemi e devianze sociali che si ripetono nel tempo.
In genere, gli interventi “curativi” – sovente da ripetere nel tempo – sui gruppi target appena richiamati, sono molto più costosi di ben calibrati interventi “preventivi”. Questo, in linea teorica, significa che sarà lo stesso “impatto” dei progetti preventivi a: (i) da un lato creare le premesse affinchè ci sia comunque, più avanti, la spesa pubblica per ripagare gli investitori; (ii) dall’altro a creare un sufficiente risparmio di spesa pubblica nel corso del tempo. Al termine del progetto, quindi, la spesa che il settore pubblico dovrà sostenere non creerà tensioni finanziarie e non dovrà essere alimentata da ulteriori aumenti del prelievo fiscale o dell’indebitamento.
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[1] Sono assolutamente d’accordo con Pasi quando scrive, guardando alle esperienze statunitensi, che sono i capitalisti filantropici che potranno contribuire a sostenere questa tipologia di strumenti e non certo degli investitori profit-seeking. Cfr. Pasi G., Social impact bond: le cause trascurate e l’attenzione a conseguenze e prospettive Un dibattito un po’ lezioso sull’impact investing che chiede alla comunità epistemica un approccio interdisciplinare, SecondoWelfare, 9 Settembre 2015.
[2] L’interesse e la letteratura sul questo strumento continuano a crescere in maniera esponenziale. Ne è testimonianza la recente pubblicazione da parte dell’OCSE di un ponderoso rapporto di ricerca dal titolo “Social Impact Investment. Building the evidence base”.
I contributi migliori per iniziare ad affrontare le tematiche dell’impact finance e dei Social Impact Bonds, considerando il loro taglio divulgativo, sono:
Mulgan G. et al.; Social Impact Investment: the challenge and opportunity of Social Impact Bonds; The Young Foundation, London 2011.
Social Finance UK; Social Impact Bonds. Rethinking Finance for Social Outcomes, London 2009.
In Italiano, si consigliano: Randazzo R.; Social Impact Bond”: un nuovo strumento per la finanza sociale, in “EntinonProfit”, n. 7, 2011; Fondazione Cariplo, Social Impact Bonds, Quaderno dell’Osservatorio N. 11, Milano, 2013; Del Giudice A. (2015), I Social Impact Bond, Franco Angeli, Milano; Pasi G. (2015), I Social Impact Bond: nuovi schemi negoziali tra misurazione sociale e finanza strutturata, in “Secondo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia 2015”, disponibile sul portale del progetto Secondo Welfare.
[3] Nella Guida di The Young Foundation, come già evidenziato nel post del 20 novembre, viene riportato un utile algoritmo per la valutazione della fattibilità e della potenziale efficacia di progetti finanziati mediante SIBs:
1. si tratta di interventi preventivi e non ci sono sufficienti fondi pubblici disponibili?
2. gli interventi hanno un impatto rilevante?
3. gli impatti sociali possono essere quantificati?
4. un numero sufficienti di individui beneficierà degli interventi?
5. per la PA si potrà registrare un significativo risparmio dei costi?
6. la riduzione prevista della spesa pubblica per interventi “curativi” di problematiche sociali potrà più che compensare i “costi di transazione” e i costi operativi dei progetti finanziati tramite SIBs?
7. vi è effettivamente interesse da parte del Governo per la sperimentazione dei SIBs?
[4] Cfr. Pasi G., Saving cost bond: se la revisione della spesa diventa investimento sociale. Qualche osservazione sparsa sull’utilizzo dello strumento nel nostro Paese, SecondoWelfare, 28 Agosto 2015.