“Social innovation offers
the key to unlocking the potential of
the last great untapped business market: society”.
Jason SAUL [1]
L’innovazione sociale nelle zone rurali
Il fatto che le aziende agricole tradizionali sviluppano delle attività sociali (extra-agricole) può essere accettato tout court come innovazione sociale?
Questa è un quesito su cui riflettere per approfondire meglio i seguenti aspetti:
• Sebbene l’innovazione sociale sia dibattuta ormai da più di qualche anno, resta ancora più una “buzzword” che un concetto pienamente definito e condiviso sia dalla comunità scientifica, sia dai decisori pubblici. Sarebbe opportuno, pertanto, capire meglio sia come definire più puntualmente questo concetto in generale, sia, a maggior ragione, capire cosa esso possa significare nell’ambito delle settore primario e delle politiche di sviluppo rurale.
• Nella misura in cui si accetta il percorso di diversificazione delle aziende agricole dalla loro funzione primaria di produzione di beni alimentari, allora non va dimenticato che un lungo tratto del percorso di innovazione sociale nelle zone rurali è stato già coperto sin dai primi anni Novanta con l’affermazione del concetto di “multifunzionalità”. Nella fase attuale, il fatto che le aziende agricole sviluppino anche servizi di cura umani e sociali (o, se si preferisce, servizi di cura alla persona) è da considerare indiscutibilmente innovazione sociale? Oppure, rappresenta solo un altro segno della ritirata del Settore Pubblico da funzioni di finanziamento e produzione di certi servizi di welfare che dovrebbero essere riconosciuti come “diritti di cittadinanza”?
• Cosa significa sostenere con interventi pubblici l’innovazione sociale nelle zone rurali? Significa solamente incentivare l’avviamento di aziende agricole che erogano servizi socio-assistenziali (Sottomisura 6.2 dei PSR regionali) o favorire lo sviluppo di nuove funzioni sociali per quelle esistenti (Sottomisura 6.4 dei PSR), oppure significa anche cercare di migliorare il contesto in cui si sviluppano (gli esperti di innovazione lo indicano anche come “eco-sistema innovativo”) e di individuare degli specifici processi di incubazione per le nuove “imprese agro-sociali” e i loro progetti innovativi?
A mio modesto avviso, né nella ricerca economico-agraria, né nei PSR regionali vi è sufficiente attenzione per questi aspetti critici. [2]
L’impressione personale è che si guardi acriticamente ai mutamenti in corso in altri settori – quello dei servizi, o meglio quello dei servizi di cura alla persona e alla comunità e quello dei servizi culturali – nei quali, in effetti, sono andati emergendo nuovi paradigmi informati alla c.d. “social innovation” e dei nuovi modelli di business (sovente spinti da organizzazioni “ibride”, in grado di contemperare obiettivi di natura economica e obiettivi di natura sociale) e si tenti di favorirne la diffusione anche nel comparto agricolo.
Capire meglio l’innovazione sociale nelle zone rurali. Cosa possiamo apprendere da importanti progetti di ricerca già conclusi?
La criticità principale che personalmente vedo, in questa fase, risiede nella mancanza di attenzione ad alcuni aspetti di contesto e di mercato che possono condizionare i progetti di innovazione sociale su cui diversi studi socio-economici – gran parte dei quali, in Europa, finanziati dai fondi dell’UE – hanno fornito utili elementi di conoscenza per quel che concerne nuovi servizi di welfare, nuovi modelli di business e innovazione sociale.
In particolare, mi pare ci siano due aspetti, già menzionati, che meritano progetti di ricerca e progetti pilota volti a favorire il successo di progetti di innovazione sociale nelle zone rurali:
(i) il primo riguarda l’esigenza di capire meglio come inquadrare il concetto di innovazione sociale nelle zone rurali.
A mio modesto avviso si tratta di avviare dei progetti di ricerca che, muovendo dall’impostazione metodologica e dai risultati di ricerca di rilevanti progetti di studio sull’innovazione sociale finanziati dai Programmi Quadro per la R&ST dell’UE, replichino quelle indagini focalizzando l’attenzione sul settore agricolo e sulle zone rurali. [3]
In merito, suggerirei un approfondimento su due progetti: il progetto SIMPACT e il progetto WILCO.
Il progetto SIMPACT, di durata triennale (2014-2016), ha coinvolto 12 diversi partners di 10 Paesi diversi e circa 450 stakeholders in eventi partecipativi che sono stati organizzati per raccogliere non solo spunti e suggerimenti di ricerca, ma anche utili suggerimenti sulle migliori politiche pubbliche per catalizzare gli effetti positivi di pratiche sociali innovative sui soggetti più deboli.
Il progetto SIMPACT (sintetizzato splendidamente dalla particolare sinopsi grafica che segue) è stato incardinato sull’obiettivo generale di comprendere i fondamenti economici dell’innovazione sociale in relazione ai mercati, al Settore Pubblico e alle istituzioni, con il fine di fornire un quadro di azione dinamico a livello di singoli individui, organizzazioni e reti.
SIMPACT, articolato in sette Work Packages, fra cui è particolarmente significativo il terzo “Social Innovation as an economic solution”, ha seguito fondamentalmente tre linee metodologiche di indagine:
• meta-analisi di casi di social innovation, anche valorizzando altre ricerche sulla social innovation che avevavo già posto delle solide fondamenta metodologiche, quali il notissimo progetto TEPSIE [4];
• Business Cases Analysis che, fra l’altro, ha consentito di approfondire degli aspetti cruciali per capire le potenzialità di successo di aziende agricole innovative che praticano l’agricoltura sociale, ossia la genesi della business idea, il modello organizzativo, e
• Social Innovation Biographies, volte a capire, sin dalla sua genesi, caratteristiche e fattori di successo dei progetti di social innovation. [5]
A mio modesto soprattutto la “Business Cases Analysis” andrebbe applicata per capire i fattori di successo delle imprese agricole che nelle zone rurali (specialmente quelle più marginali e caratterizzate da minore accessibilità) praticano l’agricoltura sociale, in quanto sono già disponibili studi di caso sull’agricoltura sociale.
Il progetto WILCO (Welfare Innovations at the Local level in favour of COhesion) è stato implementato fra dicembre 2010 e gennaio 2014 da un consorzio di 12 Istituti di ricerca – fra cui il Politecnico di Milano – fruendo di un contributo dell’UE a valere del VII Programma Quadro di R&ST di quasi 2,45 Milioni di Euro. Gli obiettivi di fondo del progetto, articolato in 8 Work Packages, sono stati:
• identificare pratiche sociali innovative nelle città europee e i fattori che catalizzano la loro diffusione;
• collocare opportunamente tali pratiche innovative nel contesto dato di politiche urbane e problematiche sociali;
• individuare suggerimenti concreti per sostenere l’innovazione sociale a livello locale.
Il progetto WILCO lo consiglio, paradossalmente, proprio per il fatto che il focus dell’analisi è stato concentrato sulle aree urbane. A mio modesto parere, questo progetto, mutatis mutandis, andrebbe:
• replicato in ben determinate zone rurali (in una singola regione, o su scala nazionale/europea);
• focalizzato di nuovo sui problemi di marginalità sociale nelle zone rurali, in quanto anche rispetto ai problemi di esclusione sociale e alle nuove povertà vi è una eccessiva concentrazione dell’attenzione sulle aree urbane;
(ii) il secondo aspetto concerne le forme di incubazione più adatte per favorire la crescita dimensionale (scalabilità) dei progetti innovativi a forte valenza sociale nelle aree rurali.
Qui, in particolare, mi pare che una ulteriore riflessione dovrebbe concernere il fatto che parlare di scalabilità di start-up innovative non è la stessa cosa che parlare di scalabilità di progetti di innovazione sociale.
In merito consiglierei di esaminare le “lezioni dell’esperienza” di un progetto di ricerca davvero interessante finanziato dal VII Programma Quadro di R&ST dell’UE denominato “Building a European Network of Incubators for Social Innovation”, più noto con l’acronimo BENISI. [6]
A parere di chi scrive, mutatis mutandis, un progetto analogo si potrebbe sviluppare anche qui nel Lazio attraverso:
• i partenariati pubblici privati di cui alla Sottomisura 16.9 “Diversificazione agricola in attività sanitarie, di integrazione sociale, agricoltura per comunità e/o educazione ambientale/alimentare”del PSR Lazio, incentrando il “progetto collettivo di cooperazione” proprio sulla costituzione di un laboratorio per sostenere lo sviluppo di nuovi modelli di business per l’agricoltura sociale e per l’innovazione sociale nelle pratiche di sviluppo rurale (laboratorio di “rural social innovation”); [7]
• i progetti pilota finanziabili con le Sottomisure 16.1 e 16.2 del PSR Lazio che, appunto, sostengono la realizzazione di progetti pilota di ricerca e di dimostrazione in linea con gli obiettivi del Partenariato Europeo per l’Innovazione “Produttività e sostenibilità del sistema agricolo”, che avevo già presentato su questo blog nel post “I PSR regionali e il PEI Produttività e sostenibilità del sistema agricolo” del 20 maggio 2016. [8]
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[1] Saul J., Social Innovation Inc., Jassey Bass, San Francisco, 2011
[2] Come già evidenziato in precedenti post non vi è sufficiente attenzione neanche per la necessità di cercare di capire meglio modelli di business e prospettive di crescita nel corso del tempo delle imprese agro-sociali. Si veda, in particolare, il post “Uno o più modelli di business per le imprese agro-sociali?” del 10 settembre 2016.
[3] A tale riguardo non va dimenticato che un importante documento strategico sull’innovazione sociale rilasciato nel 2013 dalla DG Ricerca e Innovazione della Commissione Europea rimarcava, nelle conclusioni, proprio la necessità di implementare ulteriori ricerche per inquadrare meglio il concetto nelle zone rurali. Cfr. EC-DG Research & Innovation, Social innovation research in the European Union. Approaches, findings and future directions, Brussels, 2013.
[4] TEPSIE (Theoretical, empirical, and policy foundations for building social innovation in Europe), articolato in ben 10 Work Packages, si può considerare un progetto di ricerca “seminale” su fondamenti e e caratteristiche peculiari dell’innovazione sociale.
[5] Il progetto (finanziato dal VII Programma Quadro di R&ST 2007-2013 dell’UE), inter alia, sta producendo rapporti di ricerca e Policy Brief davvero di spessore, utili sia per inquadrare meglio il fenomeno sia per migliorare la capacità di misurare il fenomeno con analisi statistiche e indicatori metodologicamente validi. Utili Policy Brief sull’analisi statistica della innovazione sociale sono disponibili al seguente link:
http://www.simpact-project.eu/publications/statistics_briefs.htm
[6] Il progetto – sviluppato sull’arco di 36 mesi da Maggio 2013 ad Aprile 2016 – ha coinvolto 12 partner europei e si è sviluppato intorno a 5 building blocks:
• Analisi della varietà di innovazioni sociali,
• Framework flessibile per diversi tipi di scalabilità delle innovazioni sociali,
• Ampiezza geografica e know-how locale,
• Apertura del network per permettere la partecipazione di altri stakeholders,
• Nuove infrastrutture per l’apprendimento e la condivisione di conoscenze.
[7] Nel PSR Lazio viene riportato che “La Sottomisura prevede il sostegno ai progetti promossi e realizzati da partenariati tra soggetti pubblici e privati, nei quali il primo assume la funzione di capofila, riguardanti l’agricoltura sociale”.
[8] Avrò il piacere di approfondire tali questioni nel corso del Seminario del CEIDA “Sviluppo locale e servizi di welfare nelle zone rurali: i finanziamenti dei Programmi di Sviluppo Rurale 2014-2020 per gli Enti Locali” (Roma, 9 e 10 febbraio p.v.)