“Hey you! don’t tell me there’s no hope at all
Together we stand, divided we fall”Hey you – Pink Floyd (The Wall, 1979)
Nella programmazione 2014-2020 anche il framework strategico delle politiche territoriali dell’UE, cofinanziate dai Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE), è costituito dalla strategia “Europe 2020”.
Al momento, quantunque sia già iniziato il dibattito sulle politiche europee post 2020, non è ben chiaro quale potrà essere la nuova strategia decennale di sviluppo dell’UE che sostituirà “Europe 2020”.
Ciò che è chiaro ed assolutamente condivisibile è che l’UE informerà la sua nuova strategia generale e le stesse politiche territoriali ai 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nella lingua Inglese) dell’Agenda 2030, riportati nella Figura 1, ripresa dal portale dell’UNRIC (Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite). [2]
Fig. 1 – I 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile
In relazione all’Agenda 2030, infatti, non va mai dimenticato che uno degli aspetti più innovativi emersi dal lungo dibattito in seno alle Nazioni Unite concerne la necessità di assumere tali Obiettivi come riferimenti vincolanti non solo delle politiche pubbliche dei paesi recipienti di aiuti allo sviluppo, ma anche di quelle dei paesi donatori. Anche le Istituzioni europee e gli Stati Membri dell’UE, pertanto, dovrebbero indirizzare la formulazione di politiche pubbliche al raggiungimento dei nuovi “obiettivi di sviluppo del millennio” 2030 (Sustainable Development Goals 2030).
I Sustainable Development Goals sono, in ampia misura, obiettivi di sviluppo economico, umano e sociale (il background epistemologico lo ha dettato negli anni Ottanta e Novanta il Premio Nobel per l’economia Amartya Sen) e, quindi, sono di per sé orientati alla promozione di pratiche e progetti che, a fianco degli obiettivi di crescita economica, tengano in adeguata considerazioni obiettivi di tutela della qualità della vita, di inclusione sociale e di tutela del territorio e dell’ambiente.
Ecco che di conseguenza, appare quasi fisiologico che essi siano assunti quale riferimento strategico per le politiche territoriali dell’UE.
Non a caso, nel corso del Convegno di presentazione dei risultati sulla consultazione sul futuro della Politica Agricola Comune (PAC) – convegno intitolato “The CAP – Have Your Say!” che si è tenuto a Bruxelles il 7 luglio 2017 – il Commissario Phil Hogan ha iniziato la sua relazione di apertura ricordando che la nuova PAC post 2020 dovrà massimizzare il suo contributo alle priorità della Commissione e agli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. [3]
Anche i nuovi Obiettivi della PAC post 2020 e del suo II Pilastro, pertanto, dovranno essere riformulati anche tenendo conto dei SDGs. E questo, di riflesso, condizionerà ampiamente il “sistema degli obiettivi” e l’intero “quadro logico” dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) post 2020. [4]
Il lavoro di revisione da fare in questa direzione, tuttavia, appare molto ampio. Come si evince dal prospetto che segue, infatti, si deve tener conto che, alla luce del “quadro logico” attuale dei PSR:
• solo a 9 SDGs su 17 si possono ragionevolmente associare Priorità e Focus Area (FA) dei PSR 2014-2020. Nel caso dell’Obiettivo 17 “Partnership per lo sviluppo sostenibile”, peraltro, non si possono associare direttamente delle Focus Area, ma solamente il principio generale del partenariato dei Fondi SIE;
• tutte le 7 Focus Area delle prime tre Priorità dei PSR e la FA 6A “Favorire la diversificazione, la creazione di nuove piccole imprese e l’occupazione” si possono associare all’Obiettivo 2 “Sconfiggere la fame”, anche se è certamente una forzatura (quasi una ipocrisia) che la PAC associ gli ampi finanziamenti erogati agli agricoltori all’obiettivo di assicurare la “sicurezza alimentare” (e, indirettamente, di contrastare la fame nel mondo). [5]
Fig. 2 – Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile e Obiettivi dei PSR
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[1] L’Agenda 2030 è stata ratificata in sede ONU nel settembre 2015 e, di fatto, segna il passaggio dalla visione di un nuovo modello di sviluppo definita dall’ONU nel 2000 con gli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio” al 2015 ad una visione ancora più articolata ed innovativa che responsabilizza non solo i Paesi beneficiari dell’aiuto allo sviluppo, ma anche i Paesi ricchi (anch’essi chiamati a rivedere le loro politiche sulla base dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030) e, non ultimo, il settore privato.
L’Italia ha rilasciato ufficialmente solo poche settimane fa la “Strategia italiana per lo sviluppo sostenibile”, in primo luogo grazie al proficuo lavoro metodologico e di sensibilizzazione sui SDGs c.d. Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) presieduta dall’ex Ministro Enrico Giovannini.
[2] Si veda in merito: Bachtler J., Polverari L. (2017), Research for REGI Committe – Building Blocks for a Future Cohesion Policy – First reflections; European Parliament – Policy Department for Structural and Cohesion Policies, Brussels.
[3] Sul dibattito sul futuro della PAC si veda il mio post “Il dibattito sulla riforma della PAC post 2020“ del 10 aprile 2017.
[4] I PSR sono strutturati su tre livelli di obiettivi:
• i tre obiettivi generali della PAC;
• i 6 obiettivi specifici del II Pilastro della PAC che, nei PSR, vengono indicati come Priorità;
• i 18 obiettivi operativi del II Pilastro, indicati come Focus Area.
Le 6 Priorità della PAC sono:
P1: promuovere il trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo e forestale e nelle zone rurali (Priorità trasversale e, quindi, servente rispetto a tutte le altre);
P2: potenziare in tutte le regioni la redditività delle aziende agricole e la competitività dell’agricoltura in tutte le sue forme e promuovere tecnologie innovative per le aziende agricole e la gestione sostenibile delle foreste;
P3: promuovere l’organizzazione della filiera alimentare, comprese la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, il benessere degli animali e la gestione dei rischi;
P4: preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all’agricoltura e alla silvicoltura;
P5: incentivare l’uso efficiente delle risorse e il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima nel settore agroalimentare e forestale;
P6: adoperarsi per l’inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico nelle zone rurali.
I lettori che fossero interessati ad avere maggiori ragguagli sul “quadro logico” dei PSR e sulle Focus Area possono contattarmi tramite e-mail o il contact form in fondo e richiedere il documento: BONETTI A. (2017), I finanziamenti del Programma di Sviluppo Rurale del Lazio per gli Enti Locali, Centro Studi Funds for Reforms Lab. Policy Brief n. 4/2017, che ho recentemente completato per Centro Studi Funds for Reforms Lab. La mia e-mail è: a.bonetti@ymail.com.
[5] E’ ampiamente noto che disponibilità di beni agro-alimentari e volatilità dei relativi prezzi, sovente, hanno ben poco a che fare con la produzione agricola “sul campo” e sono sempre più condizionate – specialmente dopo le liberalizzazioni finanziarie degli anni Novanta – da: (i) i movimenti speculativi di capitali, come ha riconosciuto implicitamente, non molto tempo fa, la stessa “bibbia” del liberismo The Economist (si veda l’articolo Investing in Agriculture. Barbarians at the farm gate, pubblicato sull’edizione del 30 dicembre 2015) e (ii) gli investimenti di medio-lungo termine da parte di grandi operatori finanziari internazionali, quali i fondi sovrani. Un altro aspetto assolutamente centrale sottolineato da The Economist è che i rischi di carenza di cibo, a fronte dell’aumento della popolazione mondiale, sono da ricondurre in realtà alla crescita continua delle aree urbane che riducono le terre arabili, inducendo gli operatori finanziari mondiali ad autentiche operazioni di “land grabbing”.