‘Local development embodies values and practices for the future,
a future that is being built from the bottom up’
Marjorie JOUEN [1]
Nel corso del 2018 due rilevanti contributi di policy hanno riaffermato l’importanza dell’approccio “basato sui luoghi” (“place-based approach”) per la formulazione delle politiche strutturali di sviluppo:
• il Policy Note “Rural 3.0. A framework for rural development” dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE o OECD dal nome inglese), presentato all’11esima Conferenza dell’OCSE sullo sviluppo rurale (Edimburgo, 11 e 12 Aprile 2018);
• il report “Rethinking Lagging Regions. Using Cohesion Policy to deliver on the Potential of Europe’s Regions” della Banca Mondiale.
Il dibattito sulle politiche strutturali di sviluppo, specialmente negli ultimi 15 anni, infatti, si è andato sviluppando soprattutto intorno al confronto analitico e di policy fra il c.d. approccio “place-based” e quello “place neutral-based” (Rodriguez-Pose, Storper 2006, Pike et al. 2006, 2017, Barca 2009, 2011, Barca et al. 2012, Gill 2011, Martin 2015, OECD 2009, 2011, 2018, World Bank 2009).
In estrema sintesi,
1. l’approccio “place neutral-based”, in pratica, è ancorato all’idea di una sostanziale neutralità dello spazio geografico, delle istituzioni e delle tradizioni civiche, culturali e sociali (“capitale sociale”) dei territori rispetto alle dinamiche economiche di sviluppo. In merito alle politiche di intervento, tale approccio manifesta una scarsa fiducia nell’efficacia delle politiche pubbliche di riequilibrio spaziale (gli interventi pubblici vanno indirizzati solo su fallimenti del mercato specifici e/o aree territoriale caratterizzate da condizioni di squilibrio particolarmente problematiche, quali ad esempio i sobborghi urbani). [2]
Stante la scarsa attenzione di questo approccio per l’influenza dello spazio geografico su dinamiche ed equilibri economici, si scorge comunque in nuce una certa bias verso un ruolo dominante dei grandi agglomerati urbani nell’organizzazione dello spazio territoriale (si vedano, fra i tanti contributi, World Bank 2009, Glaeser 2012);
2. l’approccio place-based, di fatto si pone su posizioni antitetiche al precedente. Il “capitale territoriale” dei luoghi (Camagni 2002, 2009), le istituzioni locali e le politiche pubbliche possono indirizzare i processi di sviluppo economico ed i loro effetti redistributivi. In particolare, quando si ragiona di politiche strutturali di sviluppo, è essenziale considerare le istituzioni e le convenzioni sociali dei luoghi, l’organizzazione e le caratteristiche distintive dello spazio geografico e la loro dotazione di risorse produttive (inclusa la dotazione di “capitale sociale”). Per quanto concerne, più specificamente l’organizzazione dello spazio geografico, vale quanto spiegano magistralmente Barca et al. (2012), ossia che grandi città, territori caratterizzati dalla presenza di una varietà di città medie e piccole e anche aree rurali hanno tutte le potenzialità per dare un contributo significativo alla crescita economica complessiva, laddove sappiano valorizzare gli assi e i settori produttivi rispetto ai quali detengono un “vantaggio competitivo”. In questa luce, non è strettamente necessario puntare su grandi aree urbane per lo sviluppo delle regioni, ma bensì saper sfruttare adeguatamente gli asset di sistemi regionali di diversa dimensione e densità.
Il confronto teorico fra i due approcci è divenuto, progressivamente, sempre più influente anche per determinare i fondamenti teorici e l’architettura complessiva delle politiche strutturali dell’UE cofinanziate dai Fondi Strutturali e di Investimento Europei (Fondi SIE). Questo anche per la rilevante influenza teorica e politica dell’economista italiano Fabrizio Barca, fra i massimi teorici dell’approccio place-based, autore per conto della Direzione Generale Politica regionale della Commissione Europeo di un incisivo background report (datato 2009) sull’approccio in questione quale fondamento delle politiche regionali e, nelle vesti di Ministro per la Coesione territoriale del Governo Monti, principale artefice della struttura dell’Accordo di Partenariato per l’Italia (stante i vincoli stabiliti dai Regolamenti dell’UE per l’Accordo e i Programmi Operativi cofinanziati dai Fondi SIE nella programmazione in corso). [3]
Questo confronto teorico segnerà, almeno in parte, anche il negoziato sull’architettura della politica regionale europea – più nota come “politica di coesione” – nella programmazione post 2020. Anche se va detto che, come sta emergendo nell’ambito degli approfondimenti di ricerca in corso presso il Centro Studi Funds for Reforms Lab, dalle proposte regolamentari della Commissione per il periodo 2021-2027 (presentate il 29 e 30 maggio u.s.), sembra emergere un sempre più nitido orientamento della Commissione a privilegiare politiche orizzontali “place neutral-based” (politiche per la ricerca e l’innovazione, agenda digitale, politiche per il capitale umano e politiche orientate al “greening” dei processi produttivi e di consumo). [4]
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[1] JOUEN M. (2014), Reinventing Europe through local initiative, Notre Europe-Jacques Delors Institure, 4.03.2014
[2] Nel World Development Report (WDR) del 2009 (v. p. 24), la World Bank parla apertamente di “spatially blind” policies, ossia «policies that are designed without explicit consideration to space». Ancora più esplicita è la posizione di Gill, uno degli economisti che aveva contribuito maggiormente a questo Rapporto. In un lavoro del 2011 (v. p. 180) egli evidenzia che «the WDR emphasises that the most potential instruments for integration are spatially blind improvements in institutions; put more simply, the provision of essential services, such as education, health and public security».
Questa posizione della Banca Mondiale, con una certa sorpresa generale, è stata ampiamente rivista proprio nel report del 2018 “Rethinking Lagging Regions. Using Cohesion Policy to deliver on the Potential of Europe’s Regions”.
[3] Appare opportuno aggiungere che Barca, in collaborazione con l’allora Ministro del Tesoro Ciampi, è il principale ispiratore del nuovo approccio alla politica regionale italiana che viene delineata sul finire degli anni Novanta, per rilanciare l’intervento pubblico nel Mezzogiorno e valorizzare meglio i Fondi Strutturali, noto come “nuova programmazione” (Ciampi, Barca 1998). Per alcune valutazioni critiche sulla “nuova programmazione” si vedano: Bagarani, Bonetti (2005, 2012).
[4] Questa affermazione è abbastanza incontrovertibile nonostante fra gli “obiettivi di policy” dei Fondi dell’UE per le politiche strutturali – che sostituiscono gli Obiettivi Tematici della programmazione 2014-2020 – sia stato inserito l’obiettivo trasversale “un’Europa più vicina ai cittadini, promuovendo lo sviluppo integrato di aree urbane, aree costali e delle iniziative di sviluppo”. Questo obiettivo trasversale sembra quasi una foglia di fico posta dal legislatore europeo per coprire la modesta rilevanza sostanziale dell’approccio place-based per la ‘politica di coesione’ 2021-2027 (la cui importanza è, di fatto, confermata solo per le aree urbane, mentre latitano i riferimenti agli altri territori). Non è un caso che nella proposta di regolamento sul FESR, fra i 20 Obiettivi Specifici posti a latere dei 5 “obiettivi di policy” (obiettivi generali) solo uno interessa l’obiettivo trasversale in questione.
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BAGARANI M., BONETTI A. (2005), Politiche regionali e Fondi Strutturali. Programmare nel sistema di governo della UE, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)
BAGARANI M., BONETTI A. (2012), Evoluzione del sistema di governo delle politiche comunitarie e cambiamenti nella politica regionale nazionale; in BAGARANI M. (a cura di), Il governo delle Regioni e lo sviluppo economico. Limiti e rischi del processo di decentramento comunitario; Edizioni dell’Orso, Alessandria, pp. 7-39
BARCA F. (2009), An Agenda for a Reformed Cohesion Policy. A Place-based Approach to Meeting EU Challenges and Expectations, European Commission
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