‘Remember: honest money goes further’
Giuseppe Conlon to his son Gerry (from the film ‘In the name of the father’[*])
Il dibattito su europrogettazione e capacità di spesa dei Fondi Strutturali: alcuni rilievi critici
La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE dei nuovi regolamenti sugli European Structural and Investment Funds (ESIFs), ossia Fondi Strutturali, Fondo di Coesione, Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale e Fondo Europeo per le Attività Marittime e la Pesca, datata 20 dicembre 2013, ha impresso una accelerazione decisiva alla formulazione della strategia nazionale inerente le politiche di riequilibrio territoriale cofinanziate dall’UE (“Accordo di Partenariato”), dei programmi regionali (gestiti dalle Regioni e altri Organismi Intermedi) e di quelli settoriali (gestiti in genere da Ministeri centrali in accordo con le Regioni interessate).
Negli ultimi mesi, pertanto, si è andata rafforzando ulteriormente l’attenzione di politici, opinion leaders ed esperti della materia sull’importanza di una efficace europrogettazione per migliorare la capacità di spesa delle Amministrazioni Pubbliche italiane ed innalzare il flusso di finanziamenti europei intercettati da imprese e organizzazioni senza scopo di lucro del nostro Paese.
In realtà, europrogettazione è un termine di gran moda in Italia da diversi anni. Si presume, quindi, che l’europrogettazione sia ampiamente praticata da funzionari pubblici ed esperti da vari anni. Ciò nonostante, la capacità di spesa dei Fondi Strutturali continua ad essere molto bassa e, al tempo stesso, per molti Programmi dell’UE gestiti direttamente dalla Commissione o da Agenzie delegate, il tasso di successo delle proposte progettuali di partenariati guidati da organizzazioni (private o pubbliche) italiane è alquanto insoddisfacente. Su questo punto, lo scrivente già nell’ottobre 2013 aveva avanzato dei rilievi critici in un post che si soffermava su premesse e tecnicalità dell’europrogettazione, rilievi critici, peraltro, già proposti in una Guida all’Europrogettazione elaborata per il Centro Studi POLITEIA nel maggio 2013 (scaricabile anche dalla Sezione Open Library di questo sito).
In questo intervento, invece, appare opportuno soffermarsi soprattutto su principi di programmazione e implementazione degli interventi cofinanziati dai Fondi Strutturali. Questo per il fatto che, negli ultimi mesi, i modesti risultati attuativi dei programmi regionali e settoriali del ciclo 2007-2013 sono stati da più parti imputati principalmente a una presunta modesta capacità progettuale sia dei funzionari della PA sia di esperti indipendenti. Il parere di chi scrive, invece, è che tale analisi di un problema così rilevante, che si protrae dal primo ciclo di programmazione dei Fondi Strutturali (1989-1993), appare semplicistica, se non fuorviante. Ci sono due aspetti critici, ambedue scottanti e piuttosto imbarazzanti per i policy-makers italiani, che questi dovrebbero affrontare con più decisione:
- la questione (trattata nel paragrafo che segue) del cofinanziamento dei progetti implementati dagli Enti Locali o da operatori privati;
- la necessità, ormai non più rinviabile, di definire meccanismi di delivery dei fondi pubblici che premino realmente la qualità delle proposte progettuali e che, di converso, penalizzino quegli operatori che agiscono meramente da lobbysti e/o da rent seekers (si veda il paragrafo finale).
L’europrogettazione ai tempi dell’austerità fiscale
‘Funding can quickly become
a complex topic’
G. FRIEND, S. ZEHLE, Guide to
Business Planning (2009, p. 223)
Per i Fondi Strutturali, come è noto, il cofinanziamento del contributo europeo è previsto sia a livello di Programma (“principio di addizionalità”), sia a livello di progetti attuati nei territori. L’obbligo del cofinanziamento dei progetti, a fronte dell’irrigidimento dei vincoli di bilancio per tutti gli operatori, comportato dalla crisi economica che ha seguito quella finanziaria del biennio 2007-2008, ha fatto sì che Enti Locali e operatori privati, per diverso tempo, abbiano dovuto rinviare gli investimenti proprio a causa della mancata possibilità di coprire gli interventi finanziati dall’UE con la loro quota di cofinanziamento. In merito non va dimenticato che, a causa dell’austerità fiscale imposta a tutti gli Stati come risposta alla crisi degli ultimi anni, i Fondi Strutturali ormai vengono usati, sovente, per finanziare le spese ordinarie della PA, violando palesemente il “principio di addizionalità”. Negli anni recenti, pertanto, sia gli Enti Locali sia gli operatori privati hanno dovuto rinunciare finanche a formulare dei progetti di sviluppo socio-economico e/o infrastrutturali nel caso dei primi e dei progetti di investimento nel caso delle imprese private.
Questo significa che, nel caso degli Enti Locali, non si possono additare la mancanza di competenze e quella di visione quali elementi determinanti della carenza di progetti innovativi o rapidamente cantierabili. I problemi veri sono di ben altro livello e andrebbero affrontati negoziando, nell’ambito delle Istituzioni dell’UE, un rapido riorientamento delle politiche fiscali dell’UE e, di riflesso, degli Stati Membri. Tale riorientamento, in sostanza, si potrebbe registrare quasi automaticamente qualora si rivedesse il Patto di Stabilità e Crescita, inserendovi quella che viene indicata come “golden rule della finanza pubblica”: è ampiamente accettabile che gli investimenti pubblici infrastrutturali e/o in attività di ricerca e sviluppo vengano finanziati in deficit, in quanto il loro sostegno alla crescita economica consentirà poi di sostenere senza difficoltà l’indebitamento pubblico, servizio del debito incluso.
L’allentamento del Patto di Stabilità europeo, ovviamente, condurrebbe a un rilassamento anche di quelli nazionali. In questo modo, si attenuerebbero le difficoltà che la PA in tutta Europa – specialmente nei paesi “periferici” – sta incontrando nel cofinanziare il contributo pubblico dell’UE. Appare parimenti importante rimarcare che lo scorporo di alcune spese per investimenti della PA dal calcolo del deficit “eccessivo” degli Stati dovrebbe riguardare, in particolare, proprio le spese in conto capitale sostenute dai Fondi Strutturali e dal relativo cofinanziamento. Questo per il fatto che questi Fondi intervengono principalmente nelle regioni più arretrate dell’UE. Fra i maggiori beneficiari di tali Fondi, pertanto, vi sono prevalentemente proprio quei paesi “periferici” che, da diversi anni, riescono a rispettare i vincoli di bilancio europei solo attuando delle politiche restrittive che tendono a peggiorare ulteriormente sia la disoccupazione, sia la preoccupante diffusione di fenomeni di povertà materiale.
Europrogettazione, rent seekers e pratiche collusive che indeboliscono efficacia ed efficienza dei programmi di spesa
‘Whenever a society loses its way in economics,
it also feels that it has lost its way morally.
The converse is that any return to economic growth
must also be accompanied by moral renewal too’
Geoff MULGAN, The Locust and the Bee (2013, p. 275)
Il secondo problema da considerare è persino più grave, in quanto impone a policy-makers e opinion leaders una seria riflessione sulle conseguenze economiche della corruzione. Al di là dei ben noti fatti di cronaca giudiziaria che testimoniano quanto sia ampia e pervasiva la corruzione in Italia, è ampiamente noto, infatti, che i meccanismi di delivery dei Fondi dell’UE sono resi ampiamente farraginosi da varie forme di “collusioni” fra politici eletti e stakeholders locali, lobbysti e grandi potentati economici maggiormente propensi alla “ricerca della rendita”. Queste “collusioni”, inevitabilmente, penalizzano gli operatori onesti e più intraprendenti/innovativi (quegli operatori che Mulgan, in diversi contributi, ha assimilato a delle “api” laboriose che favoriscono sviluppo socio-economico e innovazione sociale). Esse, invece, favoriscono i “rent seekers” e quegli operatori economici che si collocano ai margini della legalità, o anche oltre, operatori che Mulgan indica nei suoi contributi come “locuste”.
E’ naturale che in sistemi socio-economici in cui la pervasività dei comportamenti collusivi fra coloro che gestiscono i Fondi pubblici e gli operatori socio-economici tende sistematicamente a premiare le “locuste”, si riduce non solo la propensione all’innovazione e alla ricerca dell’efficienza, ma anche la propensione alla progettazione e la capacità di formulare progetti tecnicamente validi e rapidamente cantierabili. Nel momento in cui per l’accesso ai finanziamenti pubblici risultano premianti le attività di lobbying – se non addirittura le pratiche collusive – e non le competenze e la creatività nella formulazione dei progetti, è quasi inevitabile che finanche le “api” possano assumere comportamenti devianti e dedicare maggiore impegno ad attività di lobbying e di “ricerca della rendita”, che non alla sperimentazione e attuazione di pratiche e progetti innovativi. In sintesi, per quale motivo si dovrebbero spendere energie e risorse per formulare progetti validi e innovativi, quando vi è il ragionevole dubbio che le procedure di valutazione dei progetti siano inficiate da logiche clientelari ed opache? Ne consegue che l’ampliamento del “parco progetti”, funzionale a una più elevata ed efficace spesa dei Fondi dell’UE, va perseguito non solo ricercando soluzioni tecniche a problemi che appaiono non ben fondati, ma anche e soprattutto implementando una decisa strategia nazionale di contrasto della corruzione e delle pratiche collusive.
Per chiudere con una nota positiva, va aggiunto che, alla luce di quanto osservato sopra, è da accogliere positivamente che nel ciclo 2014-2020 l’approvazione definitiva dei Programmi di spesa, ai sensi dell’art. 19 del regolamento generale sugli ESIFs, sia subordinata al rispetto da parte di Stati Membri e Regioni di una serie di condizionalità ex ante (fra cui una che prevede l’esistenza di dispositivi che garantiscano l’applicazione efficace del diritto dell’UE in materia di appalti pubblici). Tali condizionalità ex ante dovrebbero certamente contribuire a migliorare il contesto legislativo e di policy in cui i Programmi verranno attuati. Si spera che possano renderlo anche più trasparente per tutti gli operatori – anche grazie alla diffusione crescente di pratiche di open government – e più premiante per le “api” e per i progetti innovativi e di impatto.
[*] “Nel nome del padre”, regia di Jim SHERIDAN, con Daniel DAY-LEWIS e Pete POSTLETHWAITE (Universal Pictures, 1993)