‘Da qui passeranno tutti fino a quando c’è qualcuno
perché l’ultimo che passa vale come il primo’
Fabi, Gazzè e Silvestri,
‘Life is sweet’, 2014
Il ruolo strategico dell’europrogettazione nel modello di finanziamento delle organizzazioni non profit italiane
Le indagini che si sono susseguite a partire dagli anni Novanta sulle caratteristiche e sulla dimensione economica del terzo settore hanno chiaramente evidenziato come esso sia ampiamente variegato al suo interno.
Le organizzazioni non profit in Italia sono molto diverse sia in quanto a dimensione economica media, sia in quanto a modelli di finanziamento. Preme evidenziare, pertanto, che nel resto del contributo si esprimeranno delle considerazioni che risultano necessariamente di ordine generale, dal momento che andrebbero opportunamente qualificate a seconda di natura giuridica, missione, settori di attività e modelli di finanziamento delle singole organizzazioni.
Con riguardo al principale aspetto trattato in questo contributo – il ruolo strategico della europrogettazione nel modello di finanziamento delle organizzazioni non lucrative – si può esprimere, in generale, un giudizio positivo sulla capacità che queste hanno sviluppato, negli ultimi 15 anni, di diversificare le loro fonti di entrata. In particolare, molte organizzazioni non profit hanno sviluppato strategie e pratiche di fund raising (qui inteso come capacità di raccogliere contributi da cittadini, imprese e fondazioni su base volontaria o partenariale) apprezzabili ed efficaci. Vale, ovviamente, quanto detto sopra: in molti casi, purtroppo, il modello di finanziamento, di converso, è ancora eccessivamente ancorato all’accesso a contributi e contratti pubblici per la fornitura privata di servizi di welfare finanziati tramite la fiscalità privata.
Un giudizio altrettanto positivo, purtroppo, non si può dire con riguardo alla capacità generale delle organizzazioni non profit italiane di accedere ai contributi pubblici dell’Unione Europea, specialmente quelli gestiti direttamente dalla Commissione o da agenzie delegate (si fa riferimento ai Programmi Horizon 2020, LIFE, COSME, ERASMUS Plus ed altri a “gestione diretta”).
Come già accennato, le attività di fund raising in senso stretto sono diventate centrali nella strategia e nell’operatività di molte organizzazioni e le competenze professionali in materia sono diventate molto richieste.
Le organizzazioni italiane, invece, non hanno sviluppato al loro interno funzioni organizzative e professionalità altrettanto valide per quel che concerne l’europrogettazione. In merito a tale posizione, si segnala, di converso, come positiva l’esperienza di quel segmento del terzo settore italiano impegnato in progetti di cooperazione allo sviluppo e/o di emergenza umanitaria – finanziati rispettivamente da EuropeAid (Direzione Generale/agenzia della Commissione che si occupa, appunto, di aiuto allo sviluppo) e da DG ECHO (Direzione Generale per gli aiuti umanitari e la protezione civile) – che, nel tempo, ha invece consolidato pratiche di eccellenza nella formulazione e nella gestione dei progetti.
Alcuni suggerimenti per migliorare approccio strategico e operativo all’europrogettazione
Nel presente paragrafo, sulla scorta delle criticità richiamate sopra, si avanzano delle considerazioni e dei suggerimenti che attengono sia all’approccio strategico alla europrogettazione, sia alla formulazione delle proposte progettuali.
Per quel che concerne il primo punto, preme evidenziare che il fund raising in senso stretto e l’accesso a contributi pubblici dell’UE pongono criticità strategiche ed operative differenti. Da una parte è vero che il finanziamento generale delle organizzazioni non profit è particolarmente complesso in quanto, in generale, si registra una separazione fra beneficiari dei servizi e “finanziatori” degli stessi (Foster, Kim e Christiansen, in un contributo del 2009, riassumono questo concetto con la formula “beneficiaries are not customers”).
D’altro canto, tuttavia, questa problematica gestionale specifica alle organizzazioni senza scopo di lucro si pone, de facto, in termini diversi nel caso dell’accesso a fondi pubblici dell’UE tramite proposte progettuali di qualità che vengono finanziate. Tali proposte progettuali, infatti, non devono soddisfare simultaneamente bisogni e aspettative dei beneficiari, da un lato, e, dall’altro, di finanziatori che hanno a cuore la “causa” dei beneficiari e su base volontaria – ossia tramite donazioni – li sostengono per il tramite delle organizzazioni. Le proposte devono “convincere” dell’importanza della “causa” dei beneficiari un Ente finanziatore che erogherà il suo contributo per perseguire la sua mission, secondo una logica di azione assimilabile a quella di una organizzazione non profit che persegue la propria mission.
In altri termini, la posizione qui espressa, in sostanza, è che sviluppare funzioni di fund raising all’interno delle organizzazioni è più complesso che non sviluppare funzioni di europrogettazione. Questo per il fatto che nel primo caso le organizzazioni non profit devono convincere della rilevanza della loro “buona causa” dei finanziatori “generici” (cittadini, imprese e fondazioni) che contribuiranno su base volontaria, mentre nel secondo si tratta di allineare gli obiettivi di organizzazioni – l’Ente pubblico finanziatore e l’organizzazione non profit stessa – aventi ambedue una mission indirizzata alla risoluzione di problemi di interesse collettivo.
Anche per questo motivo si fatica a capire per quale motivo molte organizzazioni italiane, ormai, eccellano nella difficile “arte” di raccogliere donazioni, mentre continuano a registrare maggiori difficoltà ad accedere ai finanziamenti dell’UE “a gestione diretta”.
In merito, non si può che raccomandare alle organizzazioni non profit quanto, in un pregevole contributo del 2006, tre noti esperti della Università Bocconi di Milano, raccomandavano alle aziende for profit, ossia di adottare un autentico approccio strategico ai Fondi UE. Senza un approccio strategico, che risulta ancora assente in molte organizzazioni senza scopo di lucro, si rischia solo di disperdere risorse invece che di raccoglierne di nuove (si veda Borgonovi, Crugnola, Vecchi 2006).
Per quel che concerne la progettazione degli interventi, sarebbe auspicabile una maggiore attenzione da parte delle organizzazioni non profit ai seguenti aspetti:
- gli obiettivi del progetto vanno sempre associati a dei cambiamenti nel contesto e/o nelle condizioni socio-economiche dei beneficiari (sono i benefici materiali e immateriali per il gruppo target del progetto). La proposta progettuale, pertanto, deve essere imperniata su una attenta analisi dei problemi e delle aspettative dei beneficiari che, quindi, andrebbero coinvolti in processi di formulazione “partecipata” degli interventi (participatory approach alla formulazione dei progetti);
- nella formulazione dei progetti si dovrebbe partire dagli obiettivi di cambiamento e seguire un percorso logico a ritroso per l’individuazione delle azioni da implementare (Results-Based Management approach);
- la formulazione dei progetti dovrebbe assolutamente tenere conto del fatto che ogni buon progetto dovrebbe migliorare non solo le condizioni di vita materiali dei beneficiari, ma anche le loro capabalities secondo l’approccio di sviluppo umano, consolidatosi soprattutto sulla scorta dei contributi del premio Nobel per l’economia Amartya Sen. Egli, infatti, identifica nello sviluppo soprattutto un processo di emancipazione degli individui e di ampliamento delle loro “libertà di scelta” (in particolare si vedano Sen 1985, Sen 1999). Nell’ultimo decennio, diversi contributi hanno proposto un cambiamento sostanziale nell’approccio alla formulazione dei progetti proprio per ovviare alla eccessiva rigidità dei “logic models” e dell’approccio di quadro logico (si veda il Tool 1 disponibile sulla sezione Open Library di questo sito) e alla scarsa attenzione all’incremento delle capabilities dei progetti che vengono formulati secondo tali approcci più tradizionali (si vedano, in particolare: Frediani 2010, Ferrero, Zepeda 2014, Muñiz Castillo e Gasper 2012, Muñiz Castillo 2014);
- il progetto va formulato e poi attuato in una logica di empowerment dei destinatari, in quanto se e solo se i destinatari “apprenderanno a fare” dal progetto, questo si rileverà parimenti “sostenibile” (ossia capace di produrre effetti che dureranno nel tempo).
L’aspetto che maggiormente conta, comunque, è che la ricerca di nuovi strumenti di finanziamento (dai “titoli di solidarietà” di cui si parla molto in Italia a forme di finanza strutturata quali sono i Social Impact Bonds) e di nuovi approcci più manageriali all’europrogettazione e al funding generale della loro attività non implichi uno “snaturamento” della missione di pubblica utilità delle organizzazioni senza scopo di lucro.
Un migliore approccio strategico alla europrogettazione e la sperimentazione di nuovi modelli di funding dovrebbero essere considerate leve più efficaci per raggiungere l’obiettivo di una società più equa, orientata a promuovere le capabilities e il “well-being” degli individui ed in cui valga il principio, richiamato nella bellissima canzone “Life is sweet” di Niccolò Fabi, Max Gazzè e Daniele Silvestri, che ‘l’ultimo che passa vale come il primo”.
Bibliografia
Borgonovi V. E., Crugnola P., Vecchi V. (2006), Finanziamenti comunitari. Milano, Ed. EGEA
Ferrero, G., Zepeda C. (2014), “Rethinking Development Management Methodology: Towards a ‘Process Freedom Approach’.” Journal of Human Development and Capabilities 15 (1)
Foster W.L.. Kim P., Christiansen B. (2009), “Ten Nonprofit Funding Models.” Stanford Social Innovation Review
Frediani, A. A. (2010) “Sen’s Capability Approach as a Framework to the Practice of Development.” Development in Practice 20 (2): 173–187
Muñiz Castillo, M. R. (2014), “Development Projects from the Inside Out: Project Logic, Organizational Practices and Human Autonomy.” Journal of Human Development and Capabilities 15 (1)
Muñiz Castillo, M. R., Gasper D. (2012), “Human Autonomy Effectiveness and Development Projects.” Oxford Development Studies 40 (1): 49–67
Sen A. (1985), “Well-being, Agency and Freedom: The Dewey Lectures 1984.” The Journal of Philosophy 82 (4): 169–221.
Sen A. (1999), Development as Freedom. New York, Anchor books.