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Appunti 30.10.2024 – FSE+ 21-27, Politiche Attive del Lavoro e politiche strutturali dell’occupazione

 

Il Fondo Sociale Europeo (FSE), sin da quando è stata introdotta, a fine anni Novanta, la c.d. Strategia Europea per l’Occupazione (SEO), da un lato è uno strumento cardine della politica di coesione dell’UE e, dall’altro, è il principale strumento delle politiche di tutela e valorizzazione del capitale umano (intervenendo, tradizionalmente, sul “sistema dell’impiego, sul “sistema istruzione”, sul “sistema formazione” e, progressivamente, sempre di più anche sul “sistema di inclusione sociale”). [1]
Il Reg. (UE) 2021/1057 (che lo disciplina nel periodo 2021-2027) prevede una forte revisione della struttura del FSE che, da strumento elettivo delle politiche per l’occupazione a livello europeo, viene trasformato in un autentico “strumento quadro”, che ingloba più strumenti di intervento (già attivi nel periodo 2014-2020), con la finalità di dare corso al Pilastro europeo dei diritti sociali varato dall’UE nel 2017 (per questo si parla di FSE Plus o anche FSE+).
Il range di possibili azioni finanziabili, ovviamente, viene ulteriormente ampliato con la ridefinizione del Fondo Sociale Europeo come «strumento quadro» FSE+. Ciò detto, resta il limite di fondo del “quadro logico” dei Programmi FSE/FSE+ di annoverare solo Politiche Attive del Lavoro (PAL), che hanno la funzione di superare il mismatch fra domanda e offerta di lavoro, e non anche interventi di sostegno alla «domanda aggregata» e all’innovazione che possano contribuire a far aumentare quantitativamente e qualitativamente la domanda di lavoro. [2]
La Priorità Occupazione dei Programmi Regionali FSE+ 2021-2027, pertanto, include le azioni di Politica Attiva del Lavoro (PAL), ma non le politiche strutturali dell’occupazione.
Il “quadro logico” dei Programmi cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo (ora FSE+), infatti, è ampiamente condizionato, da sempre, dal discutibile approccio della Nuova Macroeconomia Classica e della “supply side economics”, filoni teorici assolutamente contrari a un intervento pubblico significativo in economia (in continuità con l’approccio dello “Stato minimale”) ed i cui modelli sono fondati su ipotesi ampiamente irrealistiche.
Nel mondo reale, tuttavia, non è possibile sostenere la creazione di nuovi posti di lavoro solo con interventi che rendano più flessibili i mercati del lavoro e facilitino il matching fra domanda e offerta di lavoro (è anche per questo motivo che sarebbe preferibile, come accaduto in altri periodi di programmazione, fare riferimento a obiettivi di occupabilità o di “migliore accesso all’occupazione”).
L’analisi del disegno strategico di questi Programmi e la valutazione dei loro effetti, pertanto, vanno sempre sviluppate partendo dalla premessa che gli interventi della Priorità Occupazione possono effettivamente concorrere a migliorare la situazione occupazionale se vi sono politiche strutturali dell’occupazione che sostengono – sul piano quantitativo (più posti di lavoro) e anche su quello qualitativo (migliori profili professionali e migliori condizioni di trattamento degli occupati) – la domanda di lavoro (si veda il prospetto grafico che segue). [3]
Come rimarcava in un contributo datato, ma sempre molto istruttivo, Luigi Frey – uno dei massimi economisti del lavoro italiani – «le politiche del lavoro [..] non possono rientrare di per sé tra le politiche dell’occupazione. Esse possono essere invece necessarie, anche se non sufficienti, per ridimensionare la problematica occupazionale, attraverso il contenimento o addirittura la riduzione di specifiche componenti strutturali della disoccupazione/sottoccupazione strutturale.
Tuttavia, il ridimensionamento nel tempo di tale problematica non è possibile senza vere e proprie politiche strutturali dell’occupazione, accompagnate da politiche macroeconomiche che consentano un elevato grado di utilizzo della capacità produttiva disponibile, in termini di stock di lavoro oltreché in termini di stock di capitale». Cfr. Frey L. (1996); Le politiche dell’occupazione e del lavoro in Europa, Quaderni di Economia del Lavoro 55/1996; Franco Angeli, Milano.
In estrema sintesi, si possono allocare anche ingenti risorse sulla Priorità 1 dei PR FSE+ e si possono anche attuare in modo efficace gli interventi a sostegno del “collocamento” di inattivi, disoccupati e altri individui ai margini del mercato del lavoro, ma se il sistema economico non esprime una domanda di lavoro rilevante gli effetti occupazionali di FSE+ saranno risibili. Ne consegue una prima considerazione, abbastanza ovvia, inerente all’esigenza di un forte coordinamento degli interventi dei Programmi FESR e dei Programmi FSE+. Un’altra considerazione, meno scontata alla luce della deriva liberista del dibattito sulla politica economica, concerne la necessità di andare oltre alla visione dell’intervento pubblico in economia inteso a correggere dei “fallimenti del mercato”. Come ha argomentato in diversi saggi molto brillanti l’economista Mariana Mazzucato – per tutti, si veda “The Entrepreneurial State” (2013) – lo Stato può essere anche creatore di “nuovi mercati” e generatore di processi innovativi sistemici. In questa luce, soprattutto in Italia, sarebbe opportuno destinare meno risorse agli incentivi automatici alle imprese e aumentare fortemente il montante di risorse destinato alla ricerca di base.

 

 

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[1] Per una descrizione dell’approccio tradizionale del FSE negli anni Novanta con la focalizzazione su “sistema dell’impiego”, “sistema istruzione” e “sistema formazione professionale”, si veda: ISFOL (2000); Valutazione finale dell’Obiettivo 3 in Italia; Franco Angeli, Milano; pp. 451-462.
Successivamente, questo quadro si è andato arricchendo soprattutto grazie a:
• progressivo rafforzamento dei legami fra “sistema istruzione” e “sistema formazione professionale”, anche a seguito dell’approvazione di due rilevanti Decreti Legislativi che sono tuttora dei capisaldi della programmazione degli interventi per il sistema educativo e per quello della formazione professionale (D.Lgs. 226/2005 e D.Lgs. 61/2017) e dei legami fra questi due sistemi e il “sistema impiego”;
• sempre più ampio inserimento, nell’ambito dei Programmi FSE (ora FSE+), di interventi di contrasto di ogni forma di discriminazione civile e sociale degli individui e di sostegno all’inclusione sociale (il varo nel 2017 del Pilastro europeo dei diritti sociali, ovviamente, è un potente catalizzatore di questa tendenza).
[2] Il FSE+ concorre all’Obiettivo di Policy 4 “Un’Europa più sociale e inclusiva attraverso l’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali” promuovendo azioni di policy nei seguenti settori di intervento:
• occupazione e mobilità professionale;
• istruzione e formazione;
• inclusione sociale (si veda il primo capoverso dell’art. 4 comma 1 del Reg. (UE) 2021/1057, che è il Regolamento verticale su FSE+).

Va evidenziato che gli Obiettivi Generali di FSE+ sono descritti nell’art. 3 del Reg. (UE) 2021/1057, mentre invece gli Obiettivi Specifici (OS) sono riportati con un elenco puntato molto chiaro nell’art. 4 del Regolamento. Il “quadro logico” dei Programmi Regionali FSE+, di fatto, è dettato integralmente dall’art. 4 che riporta prima i tre settori di intervento di cui sopra e, poi, i 13 OS della corrente programmazione.
[3] Per inquadrare le politiche del lavoro si può prendere come riferimento lo schema analitico delineato dall’Eurostat che è imperniato su tre macro-categorie di “Labour Market Policy’” (LMP) e 8 categorie:
• Servizi per il mercato del lavoro (Labour Market Services).
• Misure per il mercato del lavoro (Labour Market Measures), anche indicate come misure di attivazione.
• Sostegni per il mercato del lavoro (Labour Market Support), che di fatto corrispondono alle politiche passive del lavoro.
Cfr.: Sorcioni M. (2021); Spese pubbliche per il lavoro: il benchmark per il lavoro in Europa, mimeo (presentato al Seminario Sistema Conti Pubblici Territoriali – L’utilità dei dati per le politiche pubbliche; Roma 16.12.2021); INAPP (2023); Rapporto INAPP 2023, Roma.
A titolo di completezza si ricorda che nello scorso decennio sistema di governance e strumenti delle PAL in Italia sono stati ampiamente riorganizzati soprattutto sulla scorta del D.Lgs. 150/2015 (del 14 settembre 2015) “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e politiche attive” e del DM 4/2018 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che, nell’Allegato B, ha definito puntualmente i Livelli Essenziali delle Prestazioni per i Servizi per l’Impiego, in attuazione dell’art. 28 del D.Lgs. 150/2015.
Il quadro delle PAL, ovviamente, è stato nuovamente “rimesso in lavorazione” da Investimenti e Riforme della Componente M5C1 Politiche per il lavoro del PNRR.

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