“Carlomagno cavalcava alla testa dell’esercito dei Franchi.
Era in marcia di avvicinamento; non c’era fretta, non s’andava tanto svelti”
Italo CALVINO – Il cavaliere inesistente (1959)
A fronte del modesto stato di avanzamento dei PON e dei POR cofinanziati dai Fondi Strutturali, e di Investimento Europeo (Fondi SIE) rilevato autorevolmente dalla Corte dei Conti nel report “I rapporti finanziari con l’Unione Europea e utilizzazione dei Fondi Comunitari. Relazione Annuale 2017” appare più stringente che mai la necessità, da me già sottolineata in questo blog, di fare una attenta riflessione sui problemi di accesso ai fondi europei dei Comuni. [1]
Questi dati, infatti, confermano che, a livello di intero Paese, si continuano a registrare criticità dal lato della PA sia nella gestione dei Programmi di spesa dei Fondi SIE (una volta di più l’Italia giunge a metà di un ciclo di programmazione con modesti tassi di esecuzione finanziaria dei Programmi), sia nella formulazione, da parte degli Enti Locale e dei vari apparati della PA, di proposte progettuali in grado di intercettare un ammontare rilevante dei finanziamenti dell’UE “a gestione diretta” (gestite da Direzioni Generali della Commissione o da Agenzie Esecutive).
Auspicabilmente, come accennato negli ultimi post, bisognerebbe peraltro non considerare tutti gli Enti Locali come un tutto indistinto, ma suddividerli in “gruppi” in quanto le difficoltà di accesso dei Comuni (nel Lazio e in altre regioni) sono ampiamente variabili a seconda di dimensioni e localizzazione territoriale dei Comuni.
Provo a fare un rapido elenco, sulla base della mia esperienza professionale, di queste criticità nell’accesso ai fondi dell’UE. Gli amministratori locali, specialmente nel caso dei Comuni più piccoli:
• se va bene hanno una conoscenza parziale dell’articolato panorama dei fondi “diretti” e “indiretti” dell’UE. In genere, sanno poco o nulla dei fondi “diretti” e hanno una conoscenza non sufficiente dei meccanismi di attuazione – e quindi di accesso ai finanziamenti – dei Programmi cofinanziati dai fondi “indiretti” attuati da Regioni e Ministeri (i fondi “indiretti” a cui si fa qui riferimento sono i Fondi SIE) [2]
• nella maggior parte dei casi hanno una conoscenza dei fondi europei limitata a quegli strumenti di finanziamento più strettamente funzionali alla realizzazione di infrastrutture su piccola scala e/o della implementazione di servizi di base. Nelle aree rurali questo significa che per molti Comuni il panorama dei fondi europei è circoscritto all’approccio LEADER (Misura 19 dei PSR 2014-2020) e ai finanziamenti per i servizi di base nelle aree rurali (Misura 7 e SottoMisura 4.3 – sulla riqualificazione delle strade rurali – dei PSR);
• non sono in grado di informarsi con congruo anticipo sul “calendario” di pubblicazione degli avvisi di finanziamento dei Programmi dell’UE (l’accesso ai finanziamenti “diretti” è alquanto complesso per tutti gli operatori, ma chi ha consuetudine ad operare con questi fondi sa benissimo che, quasi paradossalmente, è più facilmente stilabile un attendibile calendario delle date di pubblicazione delle relative “call for proposal” che non nel caso dei fondi “a gestione concorrente”);
• non sanno indirizzare le proposte progettuali sui canali di finanziamento più pertinenti (mainstreaming dei progetti). I progetti che vengono candidati, infatti, dovrebbero corrispondere agli obiettivi di policy e ai criteri di selezione dell’Ente finanziatore. Infatti, il sistema legislativo e di finanza pubblica dell’UE è organizzato in modo tale che i progetti finanziati devono risultare serventi rispetto al miglioramento delle politiche generali dell’UE. Ne consegue che solo avendo ben chiaro il legame fra politiche generali dell’UE e vari strumenti di finanziamento, si possono formulare proposte progettuali vincenti (concetto di “manistreaming” dei progetti cofinanziati dai fondi dell’UE); [3]
• non hanno, sovente, neanche conoscenza dei molteplici strumenti di supporto previsti negli stessi Regolamenti comunitari per sostenere gli operatori europei (in primo luogo gli amministratori pubblici) sia nell’accesso ai fondi europei, sia nella rendicontazione delle spese sostenute per attuare dal progetto (questione sempre delicata per gli amministratori locali, dal momento che si tratta di procedure di certificazione delle spese e di rendicontazione molto rigorose rispetto alle quali soprattutto i piccoli Comuni sono messi in difficoltà sia da ben noti problemi generalizzati da sotto-dimensionamento degli organici, sia da carenze degli skills dello staff amministrativo rispetto a certe procedure).
Questo elenco di criticità è certamente opinabile (probabilmente va completato e alcuni aspetti qui richiamati velocemente vanno qualificati meglio), ma quel che è innegabile è che certi problemi vanno affrontati con ben altro spirito rispetto alle precedenti programmazioni e vanno anche sperimentate soluzioni nuove. [4]
Non nego che ci siano anche progetti di eccellenza che alcuni Comuni hanno saputo sviluppare con il contributo dell’UE (sia con fondi “diretti”, sia con fondi “indiretti”), ma questi Comuni virtuosi hanno in genere dimensione medio-grande e sono parte di network internazionali (in alcuni casi resi possibili dagli stessi fondi dell’UE, come nel caso dei “gemellaggi” fra città europee finanziati nel tempo da “Europa per i Cittadini” e/o delle reti culturali e di scambio di buone pratiche che, nel tempo, si consolidano autonomamente dopo che hanno ricevuto il là da progetti cofinanziati dal FESR attraverso progetti di cooperazione territoriale europea). I piccoli Comuni, specialmente se localizzati in aree svantaggiate, quali quelli della dorsale appenninica del Lazio, hanno inevitabilmente difficoltà molto più grandi nell’approcciare e, ancora di più, nell’accedere ai fondi europei. Per questi piccoli Comuni vi è il rischio che la “marcia di avvicinamento” ai fondi europei continui lenta e infruttuosa. E peggio ancora che da una “marcia di avvicinamento” verso migliori lidi, si trasformi in una “marcia” verso il completo declino socio-economico.
Per questo nel post del 10 gennaio scorso accennavo alla necessità di effettuare una rilevazione ad hoc sulle criticità registrate dai Comuni, ponendo particolare attenzione a quelle che incontrano quotidianamente gli amministratori dei Comuni più piccoli.
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[1] Ho commentato più ampiamente i ritardi attuativi nell’attuazione dei PO 2014-2020 nel post “Federalismo fiscale, Multi Level Governance dell’UE e fondi strutturali” del 15 gennaio scorso.
Per una più ampia trattazione dei problemi di accesso dei Comuni ai fondi dell’UE, mi sia consentito rinviare a: Bonetti A. (2018), Le difficoltà di accesso dei piccoli Comuni del Lazio ai finanziamenti dell’UE 2014-2020, Centro Studi Funds for Reforms Lab, Policy Brief N. 1/2018.
[2] I fondi “indiretti” corrispondono, in massima parte, ai Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE) che, nella programmazione in corso, includono il FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale), il FSE (Fondo Sociale Europeo), il FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale) e il FEAMP (Fondo Europeo per le Attività Marittime e la Pesca). Com’è noto essi sono gestiti da Ministeri, Regioni ed Organismi Intermedi a livello sub-regionale.
[3] In merito, si vedano: Bonetti A. (2013), Guida alla Europrogettazione, Centro Studi Politeia; maggio 2013; Bonetti A. (2017), La mappatura dei fondi europei 2014-2020, Centro Studi Funds for Reforms Lab, marzo 2017
In Italia, in particolare, si continua a sottostimare l’importanza del mainstreaming dei progetti.
Tale concetto si spiega facilmente con l’esempio di un grande fiume e dei suoi affluenti. Sia il grande fiume sia i suoi affluenti hanno il loro corso (stream). Nel momento in cui l’affluente si getta nel grande fiume, tuttavia, il suo stream inevitabilmente si perde e viene a coincidere con quello del grande fiume (mainstream).
Possiamo pensare alle politiche dell’UE come al grande fiume e ai progetti finanziati con i suoi fondi come ai suoi affluenti. Una proposta progettuale avrà probabilità di essere finanziata solo se i proponenti hanno l’umiltà di accettare l’idea che devono elaborare delle proposte assolutamente in linea con il mainstream delle politiche pubbliche europee. Per dirla in termini semplici, la proposta progettuale non va fatta come si vorrebbe, ma come vorrebbe che sia fatta dalla Commissione o dall’Agenzia delegata. La proposta progettuale deve essere coerente con il mainstream (ossia con quelle che sono le direttrici strategiche – settore per settore – delle politiche europee) e deve essere innovativa semplicemente nel senso che deve contribuire a innovare e migliorare le direttrici di politica economica, nei vari settori di intervento, già stabilite dai vertici istituzionali dell’UE.
Come già evidenziato nella Guida all’Europrogettazione che ho terminato nel maggio 2013 per conto del Centro Studi POLITEIA (disponibile sul sito del Centro Studi e anche nella sezione Open Library di questo sito), Libri Verdi, Libri bianchi, Piani di azione, Comunicazioni, base giuridica e Piani di lavoro annuali dei vari Programmi di spesa servono appunto a capire quali sono i confini del mainstream delle politiche pubbliche europee, settore per settore.
E qualora vi fossero dei dubbi, il ponderoso “Info Package” allegato a ogni call for proposal, assolutamente da esaminare con grande attenzione, aiuta a delimitare il campo di azione ragionevole e consigliato della proposta progettuale. Aggiungerei anche che, in sede di formulazione delle proposte progettuali, è sempre utile finanche rivedere il Titolo del Trattato sul Funzionamento dell’UE, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, che tratta lo specifico settore di interesse per il progetto.
[4] Fra le criticità ho volutamente omessa la principale, ossia le difficoltà dei Comuni di garantire la quota di cofinanziamento dei progetti e, al tempo stesso, ottemperare al vincolo di stabilità interno. Su tale criticità tornerò presto con un nuovo post specifico.