‹‹i concetti e i sistemi utilizzati per gestire i progetti, e le loro difficoltà, derivano dalla natura dei progetti stessi.
E’ perciò importante avere ben chiare le loro caratteristiche specifiche››
(Russell D. Archibald)
Sviluppo locale, progetti di sviluppo socio-economico e project management
Come ho cercato di argomentare a più riprese su questo blog, un piano di sviluppo locale, fondamentalmente, si può considerare un particolare progetto (segnatamente un particolare progetto di sviluppo socio-economico).
Recentemente ho notato che in misura crescente anche presso la comunità professionale degli operatori di sviluppo locale si sta diffondendo una serie di pratiche e di strumenti mutuati dal manuale del Project Management Institute (A Guide to the Project Management Body Of Knowledge – PMBOK) e da altre guide alla gestione dei progetti informate al Total Quality Management (TQM). [1]
Questo si può considerare sia fisiologico, sia positivo.
E’ fisiologico in quanto sia le pratiche di formulazione dei progetti, sia quelle di gestione dei progetti si sono andate consolidando a partire dagli anni Cinquanta prendendo le mosse da tecniche di progettazione e controllo applicate nel campo militare e in quello aerospaziale. [2]
Tali tecniche sono state applicate poi ad altri settori/ambiti professionali – in primis quello delle opere infrastrutturali e quello informatico – fra cui la progettazione per la cooperazione allo sviluppo internazionale e quella per lo sviluppo locale. [3]
E’ quasi naturale, quindi, che si continui a prendere come riferimento un corpus di metodi e strumenti ampiamente sviluppati e applicati in altri ambiti di intervento da altre comunità di professionisti (in primo luogo quella degli ingegneri).
E’ positivo in quanto, ovviamente, evidenzia una crescente professionalizzazione di questa comunità di esperti.
La questione critica rispetto alla quale la comunità professionale degli operatori di sviluppo locale, a mio avviso, continua a fare confusione è inerente alla corretta individuazione delle caratteristiche distintive dei progetti di sviluppo socio-economico.
L’applicazione di metodi e strumenti di project management ispirati ad approcci/criteri di Total Quality Management, infatti, è tanto più opinabile quanto più ci si discosta dagli ambiti di applicazione elettivi di tali strumenti, che sono:
• aziende produttive private di medio-grandi dimensioni e/o apparati militari,
• i comparti delle opere infrastrutturali, della logistica e della cantieristica, del manifatturiero ad alto valore aggiunto, della grande distribuzione e dei servizi consulenziali alle imprese.
Alla luce di queste ultime considerazioni è lecito chiedersi in che misura sia opportuno adottare certe pratiche di formulazione e gestione dei progetti mutuate direttamente dal settore manifatturiero privato e dagli apparati militari e quali siano le ‘avvertenze per l’uso’ da non dimenticare mai quando si applicano certi strumenti ampiamente pertinenti ad alcuni settori produttivi privati anche all’implementazione di progetti di sviluppo socio-economico (o piani di sviluppo locale) e/o ad interventi di pubblica utilità promossi e realizzati dall’operatore pubblico.
La grande varietà dei progetti ed i progetti di sviluppo socio-economico
Le riflessioni qui proposte muovono da alcune considerazioni – tanto semplici, quanto incontrovertibili – avanzate da due esperti ben noti di Project Management:
• ‹‹il termine ‘progetto è comunemente usato per designare tipi di intervento con portata e caratteristiche molto diverse tra loro: è un ‘progetto’ la ristrutturazione di un edificio fatiscente di un centro storico urbano, così come è un ‘progetto’ un intervento di sviluppo locale multisettoriale in un’area geografica vasta›› (Bussi 2001, pp. 18-19).
• ‹‹i concetti e i sistemi utilizzati per gestire i progetti, e le loro difficoltà, derivano dalla natura dei progetti stessi. E’ perciò importante avere ben chiare le loro caratteristiche specifiche›› (Archibald 1985, p. 48). [4]
Alla luce di queste enunciazioni vorrei invitare a una riflessione su tre aspetti che dovrebbero indurre a una maggiore prudenza nell’applicazione di certi strumenti di formulazione e gestione dei progetti agli interventi di sviluppo socio-economico (segnatamente laddove si intervenga nei settori dei ‘servizi di qualità sociale’, da quello dei servizi di cura alla persona, ai servizi di riqualificazione e tutela ambientale, ai servizi per il leisure time). Questi aspetti, su cui proporrò su questo blog delle ulteriori riflessioni nei prossimi mesi, sono:
1. la definizione di progetto adottata dal PMBOK – ‹‹uno sforzo temporaneo intrapreso per creare un prodotto o un servizio unico›› (v. p. 4 dell’edizione del 2000 del PMBOK) – mal si presta ad essere applicata ai progetti di sviluppo socio-economico. La definizione di progetto adottata dal PMBOK è:
• chiaramente riferita a un progetto collocato all’interno di una ‘organizzazione’ (come cercherò di spiegare nei prossimi post, la questione della efficiente gestione dei progetti nel PMBOK e in altre guide ispirate al TQM viene intimamente connessa alla questione dell’efficiente gestione complessiva di una ‘organizzazione’);
• volta a distinguere nitidamente le caratteristiche di un ‘progetto’ da quelle delle ‘funzioni organizzative’. Nella definizione del PMBOK, infatti, un progetto è ‘unico’ non tanto in quanto tutti i progetti sono unici per definizione, ma in quanto un progetto, diversamente dalla ‘funzione aziendale’, non è caratterizzato dalla ripetitività delle funzioni – operazioni – aziendali quotidiane (v. p. 4 dell’edizione del 2000 del PMBOK).
A mio modesto avviso, nel momento in cui si lavora alla formulazione di progetti di sviluppo socio-economico (e, a maggior ragione, si lavora alla definizione di un piano di sviluppo locale) andrebbe cambiato radicalmente l’approccio alla selezione corretta di gruppo target e benefici da conseguire, all’analisi degli stakeholder e, non ultimo, all’individuazione delle reali caratteristiche distintive dei progetti. Se la definizione di progetto del PMBOK concerne un progetto ‘aziendale’, perché applicarla tout court a un progetto che si colloca all’interno di una comunità – più o meno ampia – di cittadini/utenti?
2. Ogni progetto di sviluppo socio-economico ha una specifica dimensione tecnico-ingegneristica e una specifica dimensione geografica (dimensione questa, a sua volta, definita dalla localizzazione del progetto/piano e dall’ampiezza del territorio interessato dal progetto).
Ambedue questi elementi, sovente trascurati, quasi la formulazione di un progetto (o di un ‘piano di area vasta’) fosse un esercizio di laboratorio, incidono ampiamente sul potenziale impatto socio-economico dei progetti/piani, sulla loro dimensione operativa e sul loro budget, ma anche sulle possibili criticità che si incontreranno in sede di implementazione.
Nello specifico, risulta particolarmente trascurata la questione ‘geografica’ intesa in senso lato. Questa, invece, incide notevolmente sulla definizione dell’ambito (‘scope’) del progetto e sulle sue caratteristiche distintive:
• l’ambito territoriale in cui si colloca il progetto è certamente uno degli elementi ineludibili della più generale definizione dello ‘scope’ (ambito o portata) del progetto; [5]
• nella realtà dei fatti, è ben diverso il formulare e gestire un progetto di limitate dimensioni (livello microeconomico) e un ‘piano di area vasta’ che interessa territori di una certa dimensione (livello mesoeconomico di analisi e pianificazione).
3. Se da un lato è vero che per tutti i progetti vanno definite con grande attenzione e cura tanto il c.d. project management statement e, dopo aver realizzato la ‘Work Breakdown Structure’ (WBS), il piano operativo di dettaglio, dall’altro è parimenti vero che solo per determinati ambiti di intervento/tipologie di progetto è accettabile che project management statement e piano operativo possano poi essere ‘riprodotti’ fedelmente dall’inizio alla fine del ‘ciclo di vita’ dei progetti, quasi questi fossero delle ‘cianografie’. [6]
Per spiegare meglio questo punto, nelle prossime settimane riproporrò delle riflessioni suggerite dall’esperto Massimo Rossi nel suo manuale del 2004 ‘I progetti di sviluppo’ e, prima ancora di lui, da uno dei massimi pensatori del Novecento, ossia Albert O. Hirschman.
In particolare, mi pare opportuno valorizzare l’intuizione di Massimo Rossi di introdurre nel dibattito italiano (v. ‘I progetti di sviluppo’, p. 19) la distinzione fra:
• ‹‹un approccio ‘blueprint’ [ ..alla formulazione dei progetti..], caratterizzato da progetti completi in ogni dettaglio e per i quali si richiede un’esecuzione fedele, tipica di grandi infrastrutture fisiche;
• un approccio di ‘processo’ tipico dei progetti [.di sviluppo socio-economico.] dove si apprende attraverso lo svolgimento del progetto stesso, adattando››. [7]
Un approccio ‘blueprint’ è tipico di quei progetti pensati come ‘to-do-list’ (cianografie). Come scrive Rossi nella nota 1 a p. 19 del suo manuale, ‹‹blueprint significa cianografia, procedimento grafico usato per la riproduzione su carta sensibilizzata con sostanze chimiche. Sviluppando in acqua, i tratti appaiono bianchi su sfondo azzurro, di qui il riferimento all’azzurro, in italiano come in inglese […]. Il termine viene usato, da tempo, per indicare la concezione di un progetto completa di ogni dettaglio esecutivo. Per questo tipo di progetto viene richiesta una esecuzione intesa come ‘riproduzione’ senza modifiche, fedele nel tempo alla copia originale››.
I progetti di sviluppo socio-economico, specialmente se sono orientati a migliorare la fornitura di servizi di cura alla persona, si prestano molto meno a una pianificazione di dettaglio delle attività. Anzi, molto spesso richiedono delle revisioni in itinere rilevanti, proprio a seguito dell’interazione diretta con i beneficiari. [8]
******
[1] La sede principale del Project Management Institute (PMI) si trova negli Stati Uniti, ma ha delle sedi locali in tutto il mondo (anche in Italia). E’ un’associazione che è stata costituita sul finire degli anni Sessanta da un gruppo di consulenti privati per favorire la diffusione della cultura e delle tecniche del project management per la gestione dei progetti complessi, soprattutto all’interno delle aziende e per la gestione di interventi pubblici di infrastrutturazione del territorio.
Molto interessante ed utile è anche il c.d. ‘Excellence Model’ della European Foundation for Quality Management (EFQM), che ha sede in Bruxelles.
[2] Sulle origini del Project Management si veda il capitolo 3 della più recente edizione in Italiano del Manuale di Harold Kerzner (Project Management 2.0. Strumenti, metodologie e metriche per il successo dei progetti; HOEPLI, Milano, 2017).
[3] Si pensi all’importanza dei contributi degli anni Settanta dell’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo statunitense USAid per il trasferimento di certe pratiche di formulazione e gestione dei progetti già in uso presso la NASA al comparto della cooperazione internazionale.
[4] ARCHIBALD R.D. (1985), Project Management. La gestione di progetti e programmi complessi, Franco Angeli, Milano
BUSSI F. (2001), Progettare in partenariato. Guida alla conduzione di gruppi di lavoro con il metodo GOPP, F. Angeli, Milano
[5] Il termine ‘scope’ non è facilmente traducibile in Italiano. Si potrebbe tradurre come ‘ambito’ del progetto (oppure come ‘portata’ o anche, in modo più approssimativo, come ‘dimensione fisica’ del progetto). Il PMBOK, infatti, indica che l’area di conoscenza Project Management Scope (PMS) ‹‹include i processi richiesti per assicurare che tutte le attività da realizzare per sviluppare un progetto, e soltanto quelle attività, vengano inserite fra quelle per garantire il completamento del progetto›› (v. p. 51 dell’edizione del 2000 del PMBOK).
[6] Il percorso di elaborazione di un progetto si può articolare, inter alia, in una serie di step/documenti ineludibili, che a parere dello scrivente non sono ben descritti nel PMBOK, ed eseguibili quali che siano le tipologie di progetti:
• elaborazione del business case. Il termine ‘business case’ conferma come l’intero PMBOK sia pensato in primo luogo per i progetti di organizzazioni private orientate al profitto, in quanto a parere di chi scrive, questo documento non dovrebbe essere così ampio e articolato come viene indicato in alcuni contributi sul project management, ma dovrebbe essere un documento più snello che si limita a focalizzare l’attenzione su (i) individuazione del problema (per un determinato gruppo target); (ii) analisi delle esigenze del gruppo target e di quali possano essere le conseguenze del problema per quel gruppo target; (iii) analisi della natura e della fattibilità delle soluzioni ipotizzate per la soluzione dei problemi (analisi degli obiettivi del progetto) e (iv) analisi degli stakeholders (distinguendo fra possibili partners, possibili sostenitori esterni, possibili finanziatori e, non ultimo, parti lese);
• elaborazione della proposta di progetto (o progetto preliminare o, per usare un anglismo molto diffuso, ‘statement of work’). Oggettivamente è un documento molto utile, in quanto fornisce una prima intelaiatura di massima del progetto, sulla cui base si richiede l’autorizzazione allo ‘sponsor’ del progetto (il committente privato, oppure l’ente finanziatore di un intervento) o al dirigente interno all’organizzazione a dare corso a un progetto. Può essere più o meno dettagliata a seconda di vari fattori (in primo luogo risorse di tempo e finanziare da destinare a questa fase di analisi preliminare). Nel caso di progetti più complessi, costituisce una sorta di ‘studio di fattibilità’;
• elaborazione/condivisione del project charter (il project charter è il documento di formale autorizzazione all’avvio del progetto);
• elaborazione del piano operativo di dettaglio (che, per usare, il linguaggio discutibile del PMBOK corrisponde al project management statement definitivo). Il PMBOK rimarca che il project management statement definitivo costituisce l’elaborato che mette d’accordo il progetto e i destinatari finali di un progetto, identificando puntualmente gli obiettivi dei progetti, i deliverables, i vincoli alla realizzazione dei progetti e le assunzioni alla base di un efficiente svolgimento dell’intero progetto (v. p. 55 dell’edizione del 2000 del PMBOK).
Preme evidenziare che questa articolazione delle macro-fasi di un progetto e dei documenti principali che costituiscono l’output delle macro-fasi si discosta in maniera significativa da quella proposta dal PMI. Le “aree di processo” (fasi del ‘ciclo di vita’ del progetto), individuate dal Project Management Body Of Knowledge del PMI sono: (i) definizione, (ii) pianificazione, (iii) esecuzione, (iv) controllo, (v) chiusura.
[7] ROSSI M. (2004), I progetti di sviluppo. Metodologie ed esperienze di progettazione partecipativa per obiettivi, Franco Angeli, Milano.
[8] Questo contributo è un ‘work in progress’ elaborato nell’ambito del progetto di ricerca del Centro Studi Funds for Reforms Lab ‘Theory of Change e valutazione di impatto dei progetti’.