Si fa presto a parlare di diversificazione delle aziende agricole orientata allo sviluppo di servizi di cura alla persona e alla comunità e agricoltura sociale. Molte Misure e Sottomisure dei nuovi Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) 2014-2020 possono sostenere l’agricoltura sociale e, più in generale, l’innovazione sociale nelle zone rurali. [1]
Si fa un pò meno presto a identificare dei percorsi di diversificazione delle aziende del comparto agricolo nella direzione dell’agricoltura sociale che siano economicamente sostenibili e “scalabili” nel corso del tempo.
Se da un lato è vero che vi è una domanda latente di servizi di welfare nelle aree rurali che potrebbe essere soddisfatta diversificando il “core business” di vecchie aziende agricole (servizi didattici, servizi di assistenza per particolari forme di disabilità, percorsi d inserimento lavorativo “protetto” per diverse categorie di lavoratori svantaggiati), dall’altro è parimenti vero che ad oggi mancano delle indagini di mercato e/o studi di caso che forniscano sufficienti ragguagli sulle prospettive di redditività di tali esperienze nel medio termine e sulle condizioni di contesto necessarie per il loro sviluppo.
In particolare, mi pare ci siano tre aspetti che meritano ricerche specifiche e iniziative pilota volte a favorire l’affermazione di orientamenti di policy e di interventi/progetti informati al paradigma emergente dell’innovazione sociale anche nelle aree rurali:
1. il primo riguarda l’esigenza di una migliore comprensione di come dei particolari modelli di business, quali sono i modelli delle aziende agricole convenzionali, possono essere combinati (e/o trasformati) con modelli di business altrettanto particolari che caratterizzano quelle organizzazioni “ibride” che riescono a garantire una sufficiente redditività, pur operando in mercati “sottili” quali sono, in genere, i mercati per i servizi socio-assistenziali o quelli per i servizi culturali. [2]
Come già evidenziato nel post “Multifunzionalità e natura “terziaria” delle attività agricole. Cosa sono le imprese agro-sociali?” del 30 agosto scorso, nel momento in cui, come accennavo sopra, si vanno ad aggiungere molti altri servizi all’attività tradizionale delle aziende agricole, inevitabilmente, si forzano le “vecchie” aziende agricole a diventare degli autentici “ibridi organizzativi”, almeno sotto due punti di vista:
- tende aregistrarsi un disallineamento del ciclo produttivo della “vecchia” azienda agricola e della “nuova” azienda che eroga servizi di cura alla persona e alla comunità (si veda il post del 30 agosto);
- i titolari di “vecchie” aziende agricole che completano con successo il percorso di diversificazione, dovranno necessariamente rivedere ampiamente l’originario modello di business, inteso come modello concettuale che «descrive la logica attraverso la quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore economico e sociale» (Osterwalder. A., Pigneur Y., Business Model Generation, Wiley and Sons, Hoboken, New Jearsey, 2010, p. 14). Va anche considerato, peraltro, che la diversificazione produttiva più legata al concetto di agricoltura sociale, quindi, richiede anche un notevole adattamento/rafforzamento delle competenze gestionali ed economiche-finanziarie dei titolari delle aziende agricole.
Di conseguenza, serve una ulteriore riflessione su quali particolari modelli di business dovrebbero adottare le aziende agricole che effettuano una diversificazione del “core business” nella direzione di forme di agricoltura sociale. Su questo aspetto tornerò con un nuovo post il prossimo 10 settembre.
In questo senso, un progetto da prendere a riferimento è certamente il progetto “3C4Incubators – Developing territories through culture and creativity” coordinato dalla Regione Lazio e finanziato, nel ciclo 2007-2013, dal Programma MED.
In questo progetto, focalizzato sul contributo del settore culturale/creativo allo sviluppo dei territori, in particolare è stata ampiamente approfondita la questione di come rinnovare i modelli di business usati nel settore culturale/creativo. Mutatis mutandis, un progetto di ricerca del genere dovrebbe essere sviluppato per il comparto agricolo.
2. Il secondo concerne il c.d. “eco-sistema innovativo”. Tale concetto, fondamentalmente, rimarca che ogni unità produttiva non si sviluppa in vitro, ma in un determinato contesto socio-economico e territoriale. Le condizioni di contesto contano per lo sviluppo delle unità produttive.
Quali sono le condizioni di contesto da tentare di creare intorno alle molteplici esperienze di agricoltura sociale e alle “imprese agro-sociali”, soprattutto nelle zone rurali più marginali? In termini concreti, le Sottomisure dei PSR regionali più orientate alla ricerca e alla competitività, quali azioni dovrebbero concretamente attuare per creare condizioni favorevoli alle “imprese agro-sociali” e alla sperimentazione sociale anche nelle aree rurali? [3]
3. Il terzo aspetto concerne gli interventi pubblici di sostegno.
Nei PSR regionali, non vi è sufficiente attenzione ai seguenti elementi di criticità:
• il fatto che una “impresa agro-sociale” (“fattoria sociale”) deve necessariamente adottare un modello di business ben diverso da quello di una impresa agricola (e più complesso), implica parimenti che gli interventi di sostegno alla diversificazione produttiva per lo sviluppo di funzioni sociali dovrebbero tenere conto sia della rischiosità del processo di diversificazione, sia della circostanza che questo avrà delle traiettorie diverse a seconda delle funzioni sociali che verranno sviluppate (un conto è mantenere sostanzialmente inalterato il tradizionale ciclo tecnico-produttivo delle aziende agricole ed innestarvi delle funzioni di inserimento lavorativo “protetto” per disabili ed un conto è introdurre dei servizi di ricovero ed assistenza per persone anziane); [4]
• i titolari delle prime dovranno avere/acquisire un bagaglio di competenze gestionali ben più ricco e articolato. Su questo aspetto proporrò delle riflessioni nel prossimo post del 10 settembre. [5]
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[1] Le Sottomisure/operazioni del PSR Lazio che maggiormente potrebbero favorire il consolidamento dell’agricoltura sociale e, più in generale, dell’innovazione sociale sono:
• la Sottomisura/operazione 7.4.1 “Supporto agli investimenti nella creazione, miglioramento o espansione di servizi di base locali per la popolazione rurale”;
• la Sottomisura/operazione 7.7.1 “Sostegno a investimenti finalizzati alla rilocalizzazione di attività e alla riconversione di fabbricati o altri impianti situati all’interno o nelle vicinanze di centri rurali, al fine di migliorare la qualità della vita o i parametri ambientali del territorio interessato”;
• la Sottomisura 6.2 “Aiuti all’avviamento aziendale per attività extra-agricole nelle aree rurali”;
• la Sottomisura 6.4 “Sostegno a investimenti nella creazione e nello sviluppo di attività extra-agricole” (Operazione 6.4.1 “Diversificazione delle aziende agricole”);
• la Sottomisura/operazione 16.9.1 “Diversificazione agricola in attività sanitarie, di integrazione sociale, agricoltura per comunità e/o educazione ambientale/alimentare”.
Una menzione merita anche la prevista istituzione della Fondazione Italia Sociale per la quale la Legge Delega per la Riforma del Terzo Settore (art. 10) stabilisce che essa ha «lo scopo di sostenere, mediane l’apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali, la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del terzo settore, caratterizzati dalla produzione di beni e servizi con un elevato impatto sociale e occupazionale».
[2] La letteratura sui c.d. “modelli di business” è ormai sconfinata. A mio modesto parere la definizione più chiara è quella proposta da David Teece che indica che i business model sono “a conceptual, rather than financial, model of a business”. Cfr. Teece D. (2010), Business Model, Business Strategy and Innovation, “Long Range Planning”, 43, p. 173.
Il modello di business attualmente più noto ed usato, che suggerisco sempre anche io, è il c.d. “canvas” introdotto da Alexander Osterwalder e Yves Pigneur. Il template del business model canvas si può scaricare dal portale www.businessmodelgeneration.com.
[3] Le Sottomisure del PSR Lazio in questione, fondamentalmente, sono:
• le due Sottomisure 1.1 e 1.2 della Misura 1 “Trasferimento di conoscenze e azioni di informazione”;
• le due Sottomisure 2.1 e 2.3 della Misura 2 “Servizi di consulenza, di sostituzione e di assistenza alla gestione delle aziende agricole”.
[4] Il fatto che nei PSR queste criticità vengano trascurate è particolarmente preoccupante, in quanto una mancata riflessione su quali siano i driver di sviluppo di imprese agricole tradizionali e di “imprese agro-sociali” comportano almeno due rischi di non poco conto per la stessa efficacia dei PSR:
• potrebbero essere calibrati male gli interventi di sostegno e, di conseguenza, potrebbero essere “sprecate” delle risorse pubbliche per aziende che, nel giro di pochi anni, rischiano di uscire dal mercato;
• si potrebbero registrare elevati tassi di moria dei progetti ammessi a beneficio, semplicemente per il fatto che, a fronte delle difficoltà nell’operare la diversificazione e della lentezza con cui maturano i risultati economici attesi, le aziende sovvenzionate rinunciano a completare il progetto e al finanziamento.
[5] Avrò il piacere di approfondire tali questioni nel corso del Seminario del CEIDA “Sviluppo locale e servizi di welfare nelle zone rurali: i finanziamenti dei Programmi di Sviluppo Rurale 2014-2020 per gli Enti Locali” (Roma, 10 e 11 ottobre p.v.)
Per una anticipazione di alcune riflessioni personali sui modelli di business delle aziende agricole mi sia consentito rinviare a una intervista che avevo rilasciato il 3 dicembre 2015 alla Cooperativa ELP di Frosinone, al termine del loro convegno “Ruralità del Lazio: tra rilancio produttivo dei territori ed internazionalizzazione. Tecnici e politici a confronto” (il video dell’intervista è disponibile su YouTube e al seguente link http://www.elpcoop.it/?page_id=486).