Questo articolo è in italiano / This post is in italian language Questo articolo è in italiano / This post is in italian language

Appunti su leadership nella PA, management pubblico e ciclo di policy making

‹‹La leadership è una pratica, non tanto un ruolo,
e deve caratterizzare le persone
che hanno livelli di responsabilità diversi»
Raffaella SaporitoPublic Leadership, 2023

1. Nell’intrigante saggio Public Leadership (Edizioni EGEA, 2023), Raffaella Saporito – docente dell’Università Bocconi e della Scuola Nazionale dell’Amministrazione – affronta una questione che, nella seconda metà del Novecento, ha suscitato un dibattito così articolato da portare al superamento del modello weberiano di burocrazia, magistralmente riassunta dal titolo del capitolo 3: “chi è il leader nel pubblico – il politico o il dirigente?”.
Il confronto di idee su tale questione – a partire dal saggio del 1961 “Who Governs?” di Robert Dahl – ha portato alla definizione di nuovi modelli di management pubblico – più orientati ai risultati che non al mero rispetto della norma e dei desiderata dei decisori politici – e anche a nuove interpretazioni dei modelli decisionali pubblici. [1]
2. Il saggio della professoressa Saporito fornisce il destro alla considerazione che si può ragionevolmente ritenere superata la “dicotomia” tra politica e amministrazione che, di fatto, è un elemento portante del modello di burocrazia ideale tratteggiato da Max Weber (si ricorda che l’analista politico statunitense Woodrow Wilson, ponendosi su posizioni ben diverse da quella di Max Weber, parlava espressamente di Politics-Administration Dichotomy). [2]
Il superamento della “dicotomia” fra politica e amministrazione implica che non è corretto considerare la PA come una scatola nera al cui interno si muovono dei “burocrati” nel senso tradizionale del termine, “senza volontà” e completamente asserviti:
• al rispetto degli indirizzi strategici e delle scelte di politica pubblica del decisore politico;
• al mero rispetto della norma. (si veda la figura 1).
Il modello di riferimento realisticamente da considerare, a mio modesto avviso, è quello che Andrea Lippi – fra i massimi esperti italiani di analisi delle politiche pubbliche, docente presso l’Università di Firenze – nel saggio del 2007 Valutazione delle politiche pubbliche indicava come paradigma “debole” del policy making, o governance. [3]

Fig. 1 – Superamento del modello weberiano di burocrazia e paradigmi del policy making

3. Nel paradigma “debole” del policy making si deve assolutamente entrare dentro la scatola nera della burocrazia, esaminare attentamente le varie articolazioni interne della macchina amministrativa e considerare i comportamenti strategici del personale della PA. In altri termini, è necessario aprire la scatola nera della macchina amministrativa e considerare i “burocrati” per quelli che sono, ossia persone con delle volontà, delle strategie e dei sistemi di valori che ne condizionano motivazioni e operato. [4]
La riflessione che ne consegue è che:
• la leadership può essere esercitata ai vari livelli organizzativi della PA (si veda la figura 2);
• la leadership non va intesa come esercizio del potere di scelta del decisore politico (in quanto il paradigma “debole” del policy making si fonda sull’idea che nelle democrazie mature il processo decisionale pubblico si è aperto nel tempo a più “attori”);
• i dirigenti in posizione apicale nella PA possono incidere sulle scelte pubbliche dei decisori politici.

Fig. 2 – Paradigmi “debole” e “forte” di policy making a confronto

4. Un aspetto critico che emerge dall’analisi della professoressa Saporito è che ancora oggi nelle Istituzioni pubbliche italiane non è ben chiaro cosa debba intendersi per leadership pubblica e cosa debba intendersi per management pubblico.
La Saporito giustamente rimarca che ‹‹la leadership è una pratica, non tanto un ruolo, e deve caratterizzare le persone che hanno livelli di responsabilità diversi»
Ancor oggi, invece, anche dirigenti in posizioni apicali (Direttori di Dipartimenti o di Direzioni Generali di Regioni o Ministeri) confondono l’esercizio del potere del decisore politico con la leadership.
Se si considera superato il modello burocratico tradizionale delineato da Weber, allora, come già accennato, i Direttori (o altri dirigenti apicali nella PA) non hanno solo funzioni di management pubblico, ma anche di leadership, in quanto hanno la possibilità di incidere sulle decisioni del decisore politico e di dare un orientamento strategico al personale della PA che lavora direttamente con loro (si veda la figura che segue sull’interpretazione dei concetti di leadership e di management proposti dalla professoressa Saporito).

Fig. 3 – Management e leadership (nelle organizzazioni private e in quelle pubbliche)

5. Se si devono considerare le relazioni fra più persone – ciascuna delle quali persegue delle deliberate strategie e ha attitudini e valori diversi – che si collocano su livelli organizzativi diversi della PA e se l’esercizio della leadership significa assicurare adesione e convergenza dei comportamenti dei membri dell’organizzazione, quali sono i meccanismi di coordinamento e le leve di varia natura che i dirigenti in posizione apicale possono utilizzare più efficacemente?
In base all’analisi proposta dalla professoressa Saporito, si possono prendere in considerazione tre principali meccanismi:
rigidi meccanismi di comando e controllo;
leve economiche, quali i premi retributivi (premi di produttività);
leve motivazionali (le tre riportate nella figura 4 – potere; risultato/successo e affiliazione – che la professoressa Saporito ha ripreso dagli studi sui “fattori motivazionali” di David McClelland). [5]

Fig. 4 – Confronto fra i profili motivazionali degli individui

6. Alla luce di quanto discusso in precedenza, vi sono due altre questioni su cui sarà bene fare una ulteriore riflessione nei prossimi post:
• Nel processo di creazione di valore pubblico, la gestione delle relazioni interpersonali e la necessità di coordinare più strategie individuali, genera dei costi aggiuntivi da esaminare meglio?
• Nel momento in cui sui si supera la dicotomia fra politica e amministrazione, inevitabilmente si devono considerare più relazioni “principale-agente” all’interno delle organizzazioni pubbliche. Questo implica solo costi aggiuntivi, oppure questi costi possono essere controbilanciati da i benefici di una migliore interlocuzione fra decisore politico e dirigenti apicali della PA?

******

[1] Cfr.: Dahl R.A. (1961); Who Governs? Democracy and Power in an American City, Yale U.P., Yale (New Haven).
[2] Sui concetti di “dicotomia” fra politica e amministrazione e di leadership pubblica si vedano: Peters B.G. (1978); The politics of bureaucracy: a comparative approach; Longman, New York; Ridolfi M. (2019); La distinzione tra politica e amministrazione nella struttura e nell’organizzazione della PA; Rivista Italiana di Public Management, Vol. II n. 1; Lippi A. (2022); Modelli di Amministrazioni Pubbliche, Il Mulino, Bologna; Saporito R. (2023); Public leadership. Cinque modi di fare il dirigente pubblico, EGEA, Milano..
[3] Cfr.: Belligni S. (2005); Ms Governance, I presume; Meridiana, N. 50/51; pp. 35-52; Lippi A. (2007); Valutazione delle Politiche Pubbliche, Il Mulino, Bologna
[4] Per capire l’importanza della crescente attenzione degli analisti politici e dei sociologi per i comportamenti strategici dei vari attori delle organizzazioni pubbliche per il superamento progressivo del modello ideale di burocrazia proposto da Weber si vedano: Crozier M. (1969); Il fenomeno burocratico; Etas Kompass, Milano (ed. originale 1963); Bonazzi G. (2002); Storia del pensiero organizzativo. Volume II La questione burocratica; F. Angeli, Milano.
[5] McClelland D.C. (1985); How motives, skills, and values determine what people do; American Psychologist, Vol. 40, N. 7; McClelland D.C. (1987); Human Motivation; Cambridge U.P.; Cambridge.

Contact me!

If you have any question or you'd like to have more information about this post, you can write me using this form!

[bestwebsoft_contact_form]