“La Repubblica, una e indivisibile,
riconosce e promuove le autonomie locali”.
Costituzione Italiana, art. 5
L’esigenza di una riforma organica delle autonomie locali
Nel post “Sviluppo place-based, riforma istituzionale delle giurisdizioni locali e nuove funzioni dei GAL” del 10 agosto scorso, muovendo da alcuni limiti della riforma dell’ordinamento istituzionale prevista dalla L. 56/2014 (“legge Delrio”), ho proposto alcune sperimentazioni istituzionali che guardino ai nuovi Gruppi di Azione Locale 2014-2020 come nuovi possibili soggetti a cui delegare funzioni di governo (alla stregua di enti di secondo livello) di “aree vaste” intermedie fra il territorio delle Regioni e quello dei Comuni.
La proposta, un po’ provocatoria, è stata criticata. Mi pare opportuno, pertanto, proporre dei post in cui spiego meglio alcune debolezze della “legge Delrio” e la conseguente necessità di ripensare in modo più organico il sistema delle autonomie locali di primo e secondo livello. In questo processo di revisione delle autonomie locali/intermedie, a mio avviso, vi sono i margini per delegare determinate funzioni, eventualmente su base temporanea, ai Gruppi di Azione Locale (GAL).
Per spiegare meglio, vorrei ricordare due elementi di analisi essenziali per capire i sistemi istituzionali in cui vi è una certa decentralizzazione delle funzioni di governo:
1. tali sistemi si possono interpretare sulla base del modello indicato come Multi Level Governance istituzionale, modello per cui sussiste una relazione gerarchica fra più livelli di governo e ciascun ente ha una specifica perimetrazione geografica (si veda il grafico che segue). [1]
Figura 1 – Sistema di MLG e problemi di governo delle aree vaste
2. La delimitazione geografica degli enti locali è una questione essenziale per garantire:
• un efficace disegno delle politiche locali e del sistema di fornitura dei servizi pubblici locali (questione spiegata meglio in post successivi, in quanto cruciale) [2];
• una adeguata rappresentatività politica a comunità di persone che hanno interessi comuni e, di solito, una identità comune. [3]
La “legge Delrio” ha alcuni pregi – su tutti, finalmente, l’istituzione “a Costituzione invariata” delle Città Metropolitane, già previste dalla L. 142/1990 – e alcuni evidenti limiti. Qui ricordo alcuni aspetti pertinenti rispetto a questa discussione:
• a fronte dell’istituzione delle Città Metropolitane che, de facto, sostituiscono le pre-esistenti Province, la L. 56/2014 declassa tutte le altre Province a enti di secondo livello. Peraltro, “in attesa della riforma costituzionale del titolo V e delle relative norme di attuazione”, comunque viene confermato l’obiettivo di fondo di abolire le Province e, non ultimo, vengono anche ridimensionate le loro funzioni (cfr. Pica 2014, Furno 2015);
• nelle regioni in cui sono presenti si ingenera, anche sul piano socio-economico, una frattura fra Città Metropolitane e Province “declassate” (ambedue definite “enti territoriali di area vasta”). [4] Le Città Metropolitane, infatti, hanno caratteristiche ben diverse dalle “nuove” Province, in quanto le prime sono fortemente urbanizzate e caratterizzate da livelli elevati di integrazione, mentre le seconde non presentano affatto queste caratteristiche. Le prime, anche a causa di questi elementi caratteristici (destinati a consolidarsi nel tempo, qualora le Città Metropolitane, in futuro, venissero realmente governate come un unico “sistema funzionale”), si configurano, per usare una felice espressione di Juillard, come una autentica “armatura urbana“, in grado di beneficiare di notevoli economie di agglomerazione statiche e dinamiche. [5] Questo è un aspetto particolarmente delicato in una regione, quale il Lazio, già ampiamente condizionata nel bene e nel male dalla dimensione e dalla forza dell’economia romana. Rischia, infatti, di acuire ulteriormente i divari nei livelli di sviluppo delle varie aree del Lazio, penalizzando ulteriormente la dorsale appenninica della regione, che sconta modesti livelli di accessibilità fisica e digitale;
• non vi sono indicazioni su altri enti intermedi fra l’ente Regione e i Comuni che svolgono funzioni “specific purpose” quali le Comunità Montane e i consorzi tra enti locali territoriali;
• viene rafforzata ulteriormente la centralità amministrativa dei Comuni e viene anche rivista la disciplina delle Unioni di Comuni (in particolare, il comma 104 abroga le c.d. “Unioni speciali”, ossia le Unioni di piccoli Comuni fino a 1.000 abitanti).
Revisione degli enti locali e possibili funzioni aggiuntive dei GAL
Semplicemente guardando il grafico precedente, è evidente che con il “declassamento” temporaneo delle Province (temporaneo in quanto esse sono comunque destinate ad essere soppresse), si crea uno “spazio intermedio”, sia nel sistema di Multi Level Governance istituzionale sia in termini di aree vaste da amministrare, che inevitabilmente richiederebbe un profondo ripensamento del sistema di enti intermedi fra ente Regione e Comuni, informato ai principi del c.d. rescaling istituzionale, concetto ormai ampiamente centrale nell’analisi politica (Agranov 2004, Gualini 2006, Brennan 2009, Baldersheim, Rose 2010).
In termini molto semplici, è evidentemente fuori luogo abolire le Province senza rivedere il sistema generale di enti locali, come è stato rimarcato da ben più autorevoli analisti.
Questa revisione generale del sistema degli enti locali dovrebbe:
• puntare a conseguire una adeguata simmetria tra “area di governo” (“policy domain“) degli enti locali, ossia il territorio su cui esercitano la loro “sovranità” e “scale territoriali” su cui si espandono le esternalità (“effetti spillovers”) delle politiche pubbliche, come verrà spiegato meglio in successivi post. Tali “scale territoriali” dovrebbero corrispondere alla dimensione ottimale delle “aree di governo” (“policy domains”) degli enti locali (Alesina, Wacziarg 1999, Alesina et al. 2005, Bagarani, Bonetti 2005, 2006, Bagarani et al., 2009, Hooghe, Marks 2009);
• contribuire a rendere più razionale l’allocazione delle competenze giurisdizionali ed amministrative (in altri termini, della titolarità delle politiche pubbliche) fra Regione, enti intermedi e Comuni, anche attraverso il ricorso ad Accordi di Programma Quadro e/o protocolli di intesa pluriennali ad hoc che permettano di governare meglio le relazioni inter-istituzionali;
• garantire ai cittadini la possibilità di esprimere direttamente la propria “voce”, secondo principi e metodi propri della democrazia “partecipativa”. Questo elemento, a parte il fatto che ha anche effetti importanti sull’efficacia delle politiche pubbliche, è comunque essenziale se si considera che, ad oggi, il disegno di riforma istituzionale non contempla enti intermedi elettivi, a parte le Città Metropolitane. [6]
A fronte dello “spazio intermedio” che si apre con la prevista abolizione delle Province, è lecito chiedersi: vi è spazio per individuare nei GAL delle autentiche pietre angolari di futuri accordi istituzionali, anche informati alla struttura giuridica ed operativa degli Accordi di Programma Quadro, per cui la gestione di alcune politiche pubbliche – in accordo con i limiti alle funzioni dei GAL stabiliti dalla normativa europea – viene delegata a questi particolari organismi?
E’ lecito iniziare a porre i GAL, almeno sotto il profilo funzionale, sullo stesso piano di altri enti intermedi non elettivi che hanno funzioni specifiche, quali sono Comunità Montane e consorzi tra enti locali territoriali?
A mio modesto avviso, la risposta a tali quesiti è positiva e praticabile. E la mia proposta è assolutamente coerente con lo spirito dell’approccio LEADER, che era stato avviato nel 1991 in primo luogo per sperimentare nuovi approcci alla gestione delle politiche di sviluppo locale. Evidentemente nei post del 10 e del 20 agosto non lo avevo spiegato con sufficiente chiarezza.
Per questo, nei post successivi spiegherò meglio la questione cruciale della simmetria fra aree vaste “istituzionali-amministrative” e aree vaste “funzionali” e per quali motivi è possibile migliorare la gestione delle politiche pubbliche locali potenziando le funzioni dei GAL.
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[1] A dire il vero, l’art. 114 novellato della Costituzione riformata nel 2001 non prevede formalmente un sistema di governance multi-livello. Anzi, l’art. 114 prevede il perfetto policentrismo istituzionale (con l’equiparazione di Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato). Nei fatti, tuttavia, le politiche pubbliche sono state comunque formulate sulla scorta dell’attribuzione “gerarchica” di determinate competenze a giurisdizioni disposte secondo un assetto istituzionale multi-livello stabilita dall’art. 117.
[2] Nelle considerazioni sul livello amministrativo più adeguato di gestione delle politiche di sviluppo, riecheggia l’annoso dibattito sugli effetti della discrasia fra geografia “fisica” di un territorio e geografia “amministrativa” (in Italia normata proprio dall’art. 114 della Costituzione).
La discrasia fra geografia “fisica” di un territorio e geografia “amministrativa” conduce a definire due raggruppamenti di analisi statistiche del territorio:
• analisi “normativa” (o “istituzionale”): legata alle aggregazioni territoriali basate sul sistema istituzionale-amministrativo dell’UE e degli Stati Membri;
• analisi “funzionale”, riferita alle regioni “analitiche”. Per regioni “analitiche” si intendono aggregazioni di aree territoriali “omogenee” (bacini idrografici) o “funzionalmente omogenee”.
Nell’analisi territoriale si possono considerare diverse aree “funzionali”:
• aree omogenee per caratteristiche fisiche, climatiche o anche dei sistemi rurali;
• aree omogenee per determinate “funzioni economiche” (si fa riferimento a dei flussi di beni e servizi e/o di individui e alle interazioni economiche all’interno di queste aree).
[3] Come ha scritto con molta chiarezza in un contributo recente sulle Città Metropolitane il giurista Patroni Griffi, «il dimensionamento territoriale è un tema biunivocamente collegato alle fondamentali funzioni riconosciute alle Città Metropolitane con conseguente esigenza di far corrispondere l’unità amministrativa ad una comunità di persone, legate da comuni interessi anche di rilievo economico e sociale; pur nella consapevolezza che la perimetrazione di enti territoriali è tema da sempre, anche costituzionalmente, assai sensibile e per di più politicamente complicato, toccando profili attinenti all’identità delle popolazioni interessate».
Cfr. Patroni Griffi A. (2016), Le Città Metropolitane nel guado costituzionale, Federalismi.it, n. 14/2016, p. 17.
[4] Sempre facendo riferimento al contributo citato sopra, va evidenziato che a seguito della “legge Delrio” «si delinea anche un nuovo assetto territoriale “asimmetrico” nelle regioni, in ragione del fatto che [la Città Metropolitana] sia presente oppure no, ma anche in relazione al “peso” specifico della singola Città Metropolitana». Cfr. Patroni Griffi (2016, p. 6).
[5] Cfr. Juillard E. (1967), Histoire de la notion de régions dans la géographie français, in “Région at Reégionalisation dans le géographie français et dans d’autre sciences sociales. Bibliographie analytique”, Dalloz, Paris.
Su economie di agglomerazione e localizzazione e sui modelli di causazione cumulativa per cui processi di crescita diseguale fra aree territoriali si possono rafforzare progressivamente nel tempo, la letteratura è sconfinata. Per tutti si veda: Conti S. (1996), Geografia economica. Teorie e metodi, UTET, Torino.
[6] Va anche considerato, peraltro, che la stessa razionalizzazione/riduzione del numero di Camere di Commercio, previsto dalla “riforma Madia” della Pubblica Amministrazione, contribuisce ad indebolire la rappresentatività delle comunità locali. Nel Lazio, peraltro, rischia di acuire indirettamente i problemi di arretratezza relativa delle aree periferiche, dal momento che questo elemento concorre a ridimensionare la forza negoziale di aree “non metropolitane” ed aree periferiche.
Riferimenti bibliografici
Agranoff R. (2004), Autonomy, devolution and intergovernmental relations, Regional & Federal Studies, 14(1), 26-65.
Alesina A., Wacziarg R. (1999), Is Europe going too far?, Carnegie-Rochester Conference Series on Public Policy, n. 51, 1-42.
Alesina A., Angeloni I., Schuknecht L. (2005), What does the European Union do?, Public Choice, n. 123, 275-319.
Bagarani M., Bonetti A. (2005), Politiche regionali e Fondi Strutturali. Programmare nel sistema di governo della UE, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)
Bagarani M., Bonetti A. (2006), Evoluzione del sistema di governo delle politiche comunitarie e cambiamenti nella politica regionale nazionale, paper presentato al IX Congresso AISPE, Padova.
Bagarani M., Bonetti A., Zampino S. (2009), Multilevel Governance e decentralizzazione: un’applicazione al caso italiano, in: Borri D., Ferlaino F. (a cura di); Crescita e sviluppo regionale: strumenti, sistemi, azioni, Angeli, Milano, pp. 261-284
Baldersheim H., Rose L. E. (2010), Territorial choice: the politics of boundaries and borders, Palgrave Macmillan, Basingstoke.
Brenner N. (2009), Open questions on state rescaling, Cambridge Journal of Regions, Economy and Society, 2(1), 123-139.
Furno E. (2015), Il nuovo governo dell’area vasta: Province e Città Metropolitane alla luce della c.d. legge Delrio nelle more della riforma costituzionale degli Enti Locali, Federalismi.it, n. 1/2015.
Gualini E. (2006), The rescaling of governance in Europe: New spatial and institutional rationales, European Planning Studies, 14(7), 881-904.
Hooghe L., Marks G. (2009), Does efficiency shape the territorial structure of government?, Annual Review of Political Science, 12, 225-241.
Patroni Griffi A. (2016), Le Città Metropolitane nel guado costituzionale, Federalismi.it, n. 14/2016.
Pica F. (2014); Servizi pubblici locali, Città Metropolitane e abolizione delle Province, Rivista Giuridica del Mezzogiorno (SVIMEZ), N. 4/2014.