Nuovi modelli di funding delle Organizzazioni Non Profit
I “25 lettori” di questo blog conoscono ormai il personale percorso di ricerca su strumenti, nuovi o adattati, volti a migliorare la gestione delle organizzazioni senza scopo di lucro e il loro finanziamento.
Le riflessioni di questo post muovono dalla utile esperienza del corso “Modelli di funding degli enti non profit: strategie di fundraising e accesso ai fondi europei”, organizzato a Firenze il 12 e 13 novembre us da Eurosportello, corso che verrà replicato nel 2016 anche in altre città italiane.
Grazie agli utili rilievi critici dei partecipanti, infatti, ho avuto modo di organizzare meglio le idee in merito all’importanza, nell’ambito di una strategia di finanziamento “multi-canale” delle ONP, strategia ai giorni nostri strettamente necessaria, del modello di business canvas e della matrice di finanziabilità delle Organizzazioni Non Profit (ONP).
Come credo sia emerso in precedenti contributi in questo blog, la questione del finanziamento delle Organizzazioni Non Profit (ONP) va oltre il fundraising da privati ed investe anche l’accesso a:
- i finanziamenti pubblici,
- i finanziamenti delle grandi fondazioni dei ‘nuovi filantropi’ 2.0 (Schwab Foundation, Bloomberg Philanthropies, Bill & Melinda Gates Foundation, altre),
- microcredito e obbligazioni “sociali”,
- fondi di philanthropy venture capital per creare strumenti di finanziamento assimilabili al capitale di rischio delle imprese commerciali (si segnala l’Iniziativa ‘Social Impact Accelerator’ del “gruppo BEI”) [1],
- strumenti di finanza strutturata, quali i Social Impact Bonds (SIBs), che interessano in primo luogo il vasto tema della riforma dei sistemi di welfare (si veda il post del 20 novembre us) [2] .
Nel momento in cui si amplia così considerevolmente il novero dei possibili canali di finanziamento di una ONP, una efficace strategia di finanziamento richiede necessariamente un salto di qualità anche dei processi gestionali.
Come migliorare sensibilmente i processi di gestione? E’ sufficiente rivedere la “buona causa”(o “caso”) e la “dichiarazione buona causa”? [3]
A mio modesto avviso no. Una strategia di funding efficace si fonda su un modello di analisi e pianificazione strategica di una ONP ben fondato, ancor prima che su una chiara e motivante “dichiarazione buona causa”.
Dal modello “canvas” alla matrice di finanziabilità
Analisi strategica e modelli di pianificazione strategica vengono sviluppati sin dagli anni Cinquanta. Non è semplice darne una definizione.
Negli anni più recenti, si preferisce parlare di analisi dei “modelli di business”, da intendersi come analisi dei drivers della capacità di una organizzazione risolvere problemi e soddisfare aspettative di determinati segmenti di clientela e, quindi, consolidarsi nel mercato.
Su questa evoluzione dell’analisi strategica hanno inciso ampiamente:
- le varie critiche all’eccessiva rigidità e allo scarso realismo del modello di pianificazione strategica della Business school di Harvard (modello dominante dagli anni settanta);
- l’affermazione nella letteratura del concetto di “business”/“modello di business” introdotto in un contributo del 1980 da Dereck Abell [4].
A parere di chi scrive, il modello di business costituisce:
- l’autentico “cruscotto operativo” (dashboard) di una qualsiasi organizzazione, molto di più dei piani strategici e dei business plan, che sono strumenti sempre meno utili in contesti competitivi sempre più variabili;
- il ponte di passaggio fra orientamento strategico e matrice di finanziabilità di una qualsiasi organizzazione.
Fra i vari possibili “modelli di business”, negli anni recenti si è affermato soprattutto il canvas model, perfezionato da Alexander Osterwalder e Yves Pigneur, con il supporto di una vasta platea di esperti e dirigenti d’azienda internazionali [5].
Il canvas model, infatti, è stato sviluppato per migliorare l’approccio alla formulazione dei modelli di business delle imprese (e infatti, in generale, è indicato come “business model canvas”). Il “business model canvas” per le imprese commerciali individua quattro “macro aree” e nove elementi-chiave sulla cui base definire il modello di business:
- infrastruttura (risorse chiave, attività chiave, partners chiave),
- offerta di valore per la clientela (benefici materiali e immateriali),
- clientela (gruppo target, relazioni con il target, canali di distribuzione),
- viabilità finanziaria (basata su struttura dei costi e flussi previsti di ricavi).
Tale modello, peraltro, è anche applicabile alle ONP, come evidenzia la figura riportata sotto.
Come si può osservare nella figura, l’elemento-chiave centrale – ossia la proposta di valore – costituisce un ponte fra l’organizzazione/processo produttivo (lato sinistro del canvas) e il gruppo target di una organizzazione, che può essere il segmento di clientela per una impresa commerciale o i destinatari degli interventi nel caso delle ONP (lato destro del canvas).
Figura 1 – Il “canvas” di una Organizzazione Non Profit
Per giungere alla conclusione, si ricorda che gli “elementi di finanziabilità” (building blocks) che non possono mancare nella matrice di finanziabilità di una organizzazione sono:
- Destinatari (gruppo target),
- Settore di attività (ambito di intervento),
- Azioni chiave,
- Risorse chiave (assets e fattori produttivi specifici),
- Forma giuridica dell’organizzazione,
- Localizzazione.
Se poniamo a confronto gli elementi chiave del canvas e quelli della matrice di finanziabilità, appare evidente non solo la coincidenza di alcuni di essi, ma anche quanto il modello di business canvas sia un autentico perno che tiene insieme revisione dei modelli di gestione e dei modelli di funding delle ONP.
Il canvas, peraltro, è uno strumento così versatile che si può anche adottare quale strumento per impostare la strategia di fundraising ordinaria delle ONP.
Sui rilievi critici che sono stati mossi alla matrice di finanziabilità nel corso citato sopra, per ora rimando al nuovo post del 20 gennaio.
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[1] Il “gruppo BEI” è costituito dalla Banca Europea degli Investimenti, che dipende dall’UE, e dal Fondo Europeo per gli Investimenti.
[2] A fronte della crescente esternalizzazione dei servizi pubblici, i SIBs legano la remunerazione dei capitali investiti e, in alcuni casi, parte dei compensi agli enti privati, in primo luogo quelli non profit, affidatari della realizzazione degli interventi, al conseguimento di un impatto sociale significativo. Recentemente UBI BANCA ha annunciato il lancio del primo SIB italiano.
Sui SIBs la letteratura internazionale è vastissima. In Italiano, due contributi recenti molto utili sono: DEL GIUDICE A. (2015), I Social Impact Bond, Franco Angeli, Milano; PASI G. (2015), I Social Impact Bond: nuovi schemi negoziali tra misurazione sociale e finanza strutturata, in “Secondo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia 2015”, disponibile sul portale del progetto Secondo Welfare.
[3] Su questi concetti, si rinvia a due pregevoli Manuali piuttosto recenti: MELANDRI V. (2012), Manuale di Fundraising; Ed. Maggioli – Philanthropy Forlì, ZANELLA E. (2015), Professione fundraiser. Ruolo, competenze, strumenti e tecniche, Franco Angeli, Milano.
Molto utile e interessante è anche l’intervista che la brillante fundraiser Elena Zanella ha avuto la cortesia di rilasciarmi per questo blog il 10 ottobre us.
[4] Cfr. ABELL D.F. (1980), Defining the Business: The Starting Point of Strategic Planning, Prentice Hall, Englewood Cliffs
[5] I modelli di business (e il canvas non fa eccezione), rispetto agli approcci affermatisi negli anni settanta e ottanta alla pianificazione strategica e al marketing, pongono più attenzione all’analisi “interna” di una impresa e alla sua capacità di soddisfare il suo “segmento di clientela”, che non alle varie analisi del macro-ambiente esterno. Nel canvas gli elementi realmente determinanti del successo competitivo di un’azienda sono il segmento di clientela e la proposta di valore.
Maggiori delucidazioni su questo modello si possono trovare in vari siti e blog internazionali che, soprattutto dopo la pubblicazione dell’Handbook “business model generation” nel 2010, sono ormai autentiche “comunità di pratiche”. Il portale più noto è quello che prende il nome dal titolo del libro: http://www.businessmodelgeneration.com.
Da questo portale si può scaricare il template del modello.
Un’ampia presentazione di come questo modello si possa adattare alle social enterprises è disponibile all’indirizzo web dell’incubatore sociale canadese, dal quale si può scaricare il toolkit per creare una impresa sociale: http://www.marsdd.com/entrepreneurs-toolkit/workbooks/.