«Plans are useless.
But planning is everything»
Dwight D. EISENHOWER
Nel precedente post del 30 Giugno evidenziavo che il “ciclo del progetto” canonico, come descritto in vari Manuali, presenta alcune lacune:
• viene discussa in maniera spesso semplicistica la fase di definizione (avvio); [1]
• viene trascurata la fase di approvazione (o di rigetto) di una proposta progettuale;
• viene trascurata la fase, successiva alla chiusura formale di un progetto, di maturazione degli impatti strutturali e delle “lezioni dell’esperienza”.
A mio modesto avviso la fase di avvio (indicata anche come fase di ideazione o di definizione) dovrebbe essere suddivisa in tre sub-fasi (step):
1. Sub-fase di “identificazione”, in cui si sviluppano le seguenti attività:
• identificazione di problemi e/o bisogni insoddisfatti in un dato contesto socio-economico;
• identificazione del gruppo target che esprime certe necessità e/o deve superare certe criticità (beneficiari diretti e indiretti del progetto);
• identificazione di possibili soluzioni per i problemi riscontrati dal gruppo target (in genere, si parla di “sviluppo dell’idea chiave” del progetto);
• identificazione degli stakeholders da coinvolgere nel progetto (e anche quelli da non coinvolgere, fra cui vanno annoverate anche le “parti lese”, ossia quei portatori di interesse che, per vari motivi, potranno subire delle perdite – economiche e non – a causa del progetto e che, quindi, opereranno per ostacolarne la realizzazione).
La sub-fase di identificazione non richiede necessariamente l’elaborazione di documenti strutturati. Eventualmente si può redigere una breve nota con le prime idee sul progetto, anche facendo ricorso a una semplice tavola sinottica che, coerentemente con il gergo anglosassone ampiamente usato nel Project Management, si potrebbe chiamare “project brief”.
2. Sub-fase di “analisi” (che si può considerare una sorta di studio di “pre-fattibilità”):
• analisi circostanziata dei problemi/bisogni (si ricordi, ad esempio, che in tutti gli “studi di fattibilità” uno degli elementi cardine è l’analisi della domanda);
• analisi approfondita di beneficiari diretti e indiretti del progetto e dei loro problemi/bisogni;
• analisi della pertinenza delle soluzioni ipotizzate per i problemi riscontrati dal gruppo target e anche della loro fattibilità (avendo cura che le soluzioni non siano solo pertinenti, ma siano anche compatibili con abitudini/routines dei destinatari e, nei limiti del possibile, siano sviluppate coinvolgendoli direttamente nella loro identificazione);
• analisi degli stakeholders, del tipo di contributo che potrebbero apportare al progetto i partners e anche delle possibili azioni ostative da parte delle “parti lese”. [2]
La sub-fase di analisi si dovrebbe chiudere con l’elaborazione del “business case” che, a mio parere, dovrebbe essere un documento molto semplice, volto solamente a descrivere in termini coincisi i “termini della questione” (il “case” appunto), con la finalità di fissare le idee in merito ai motivi che spingono a formulare un certo progetto. Per usare il gergo usato da varie Direzioni Generali della Commissione Europea si potrebbe indicare questo documento anche come “concept note”. [2]
3. Sub-fase di “formulazione”, in cui si portano a termine le seguenti attività:
• formulazione della strategia;
• definizione dell’ambito (“scope”) del progetto (intendendosi per “scope” del progetto la chiara individuazione di cosa sia fattibile e da inserire nel progetto e di cosa non vada inserito); [3]
• identificazione di azioni portanti del progetto, milestones (punti di svolta del progetto) e deliverables (prodotti da consegnare al committente, che possono essere dei casi di studio nel caso dell’elaborazione di un piano di sviluppo locale, o dei prototipi del prodotto finale commissionato da un’azienda cliente);
• stima dei tempi delle fasi di attività principali (e dell’intero progetto), dei costi e dei possibili rischi di “scope creeping”, da intendersi come rischi di un ampliamento, in corso d’opera, della portata e, quindi, delle attività da realizzare;
• individuazione delle assunzioni e dei principali rischi di progetto (le assunzioni sono variabili esterne al progetto o anche situazioni di contesto abbastanza note e/o prevedibili, ma su cui non vi è modo di intervenire).
Figura 1 – La fase di avvio (definizione) di un progetto
La sub-fase di formulazione – che chiude la fase di avvio – si estrinseca nell’elaborazione di una “proposta di progetto” (che si potrebbe anche indicare come “progetto preliminare” o, per usare un anglismo molto usato, come “statement of work”).
Personalmente non concordo con alcuni autori che indicano che la prima fase di ideazione si chiuda con il “project chapter”. Questo appunto per il fatto che molti Manuali trascurano una fase quasi data per scontata che è quella dell’approvazione (o meno) del progetto. [5]
Ma questa è una storia buona da raccontare nel post del prossimo 25 Luglio. [6]
*****
[1] La Guida più conosciuta al mondo sul Project Management – A Guide to the Project Management Body Of Knowledge (PMBOK) – progressivamente perfezionata dal Project Management Institute (PMI) a partire dagli anni Ottanta, individua a pagina 6 dell’edizione del 2000 cinque “aree di processo” (fasi di attività) di un progetto:
• avvio (initiating);
• pianificazione (planning);
• esecuzione (executing);
• controllo (control);
• chiusura (closing).
A mio modesto avviso solo articolando la fase di avvio del PMBOK nelle tre sub-fasi Identificazione, Analisi e Formulazione si attribuisce la giusta valenza al famigerato “approccio problem solving” che, sovente, non è affatto sviluppato in modo soddisfacente. Sulle origini del Project Management si veda il capitolo 3 della più recente edizione in Italiano del manuale di Harold Kerzner (Project Management 2.0. Strumenti, metodologie e metriche per il successo dei progetti; Hoepli, Milano, 2017).
[2] Gli stakeholders di un progetto possono essere esaminati da vari punti di vista e, quindi, classificati in vari modi. A mio parere è molto utile la loro classificazione in tre gruppi:
• stakeholders che, potenzialmente, potranno beneficiare direttamente del progetto;
• gate-keepers, ossia quegli stakeholders che possono agevolare o meno la formulazione e anche la realizzazione di un progetto (pensiamo ai media, a dei soggetti che potrebbero apportare dei contributi finanziari aggiuntivi, a lobbisti e gruppi di pressione organizzati ed anche ad associazioni che svolgono in loco delle attività di advocacy);
• “parti lese” (coloro che subiscono una perdita del progetto e certamente sono orientati ad ostacolarlo).
[3] E’ buona regola generale, quando si elaborano delle proposte progettuali, ricordare che il “business case” (“concept note”) si concentra sulla domanda WHY? La proposta di progetto (o “full proposal”), invece, si concentra sulla domanda HOW?
[4] Il termine “scope” non è facilmente traducibile in Italiano. Si potrebbe tradurre come “ambito” del progetto (oppure come “portata” o anche, in modo più approssimativo, come “dimensione fisica” del progetto). Il PMBOK, infatti, indica che l’area di conoscenza Project Management Scope (PMS) “include i processi richiesti per assicurare che tutte le attività da realizzare per sviluppare un progetto, e soltanto quelle attività, vengano inserite fra quelle per garantire il completamento del progetto” (v. p. 51 dell’edizione del 2000 del PMBOK).
[5] L’aspetto ampiamente trascurato dalla manualistica sul Project Management è che fra la fase di definizione e la fase di pianificazione vi è un “burrone”, ossia una fase “fantasma” che è quella dell’approvazione del progetto.
Il ‘progetto preliminare’ potrebbe essere:
• approvato. Solo nel caso di approvazione verrà ratificato un contratto o una lettera di intenti nel caso di rapporti commerciali B2B, o all’interno di un’azienda verrà elaborato un documento di autorizzazione formale da parte di un socio/dirigente che autorizza i manager alla realizzazione del progetto. Il documento autorizzativo – contratto fra le parti nel caso di rapporti commerciali – sarà il vero “project charter”. Personalmente, quindi, sarei dell’avviso che per “project charter” vada inteso semplicemente il documento autorizzativo del progetto che, ovviamente, riporterà in ampia parte o integralmente il “progetto preliminare”;
• respinto. Ciò che resterebbe sarebbe il “progetto preliminare” e non verrebbe mai elaborato un “project charter” (e non verrebbe realizzato quel progetto).
Nella fase successiva di pianificazione (che chiude il blocco “Plan” del Ciclo “Plan-Do-Check-Act”) verrà elaborato il progetto definitivo (o “piano esecutivo del progetto”).
L’espressione “burrone” (o anche “valle della morte”) è ripresa, ovviamente, da uno dei libri di management più interessanti e utili che siano mai stati scritti, ossia “Crossing the Chasm” di Geoffrey Moore (trad. italiana: Moore G. (2003), Attraversare il burrone. Promuovere e vendere prodotti high-tech al cliente del largo mercato, F. Angeli, Milano; ed. originale 1991).
[6] Questo contributo è un “work in progress” elaborato nell’ambito del progetto di ricerca del Centro Studi Funds for Reforms Lab “Theory of Change e valutazione di impatto di progetti e programmi complessi”.