A project is a series of activities
aimed at bringing about clearly
specified objectives
within a defined time-period
and with a defined budgetEuropean Commission, “Aid Delivery Methods –
Volume 1 Project Cycle Management Guidelines”, 2004, p. 8
Europrogettazione: miti e infondate aspettative
Alla vigilia dell’avvio del nuovo periodo di programmazione 2014-2020 dei Fondi dell’UE, si va rafforzando ulteriormente l’attenzione di politici, opinion leaders ed esperti della materia sull’importanza di una efficace europrogettazione per migliorare la capacità di spesa delle Amministrazioni Pubbliche italiane e incrementare il flusso di finanziamenti europei intercettati da imprese e organizzazioni senza scopo di lucro del nostro Paese.
In realtà, europrogettazione è un termine di gran moda in Italia da diversi anni. Si presume, quindi, che l’europrogettazione sia ampiamente praticata da funzionari pubblici ed esperti da vari anni. Ciò nonostante, la capacità dei spesa dei Fondi Strutturali continua ad essere molto bassa e, al tempo stesso, per molti Programmi dell’UE gestiti direttamente dalla Commissione o da Agenzie delegate, il tasso di successo delle proposte progettuali di partenariati guidati da organizzazioni (private o pubbliche) italiane è alquanto insoddisfacente.
Mi pare, quindi, sia anche tempo di avviare una riflessione critica sull’applicazione in Italia di fondamenti logici e tecniche della europrogettazione.
Il mio umile parere è che in Italia vi siano due problemi di ordine culturale da rimuovere:
- si ripongono eccessive (e, sovente, infondate) aspettative sull’europrogettazione;
- sul termine europrogettazione vengono caricati, sovente in modo confuso, approcci e tecniche di formulazione dei progetti che sono stati a lungo applicati in altri settori. Questo, a mio parere, conduce spesso a sovrastimare l’importanza di questi concetti e metodi e a sottostimare altri elementi fondamentali per una formulazione pertinente di progetti da candidare a un finanziamento europeo.
In merito al primo punto, mi limito a ricordare brevemente alcuni fatti ben noti che, spesso, vengono completamente trascurati:
- il Quadro Finanziario Pluriennale dell’UE (sulla cui base vengono poi approvati i bilanci annuali) ha previsto per il periodo di programmazione 2007-2013 un massimale per gli stanziamenti per impegni pari all’1,024% del Reddito Nazionale Lordo (RNL) dell’UE27. Questo massimale è destinato a ridursi all’1% del RNL dell’UE28 per il periodo di programmazione 2014-2020 (si attesta sull’1,04% se si considerano anche gli strumenti contabilizzati “fuori bilancio”). Detto in termini meno tecnici, significa che poco più dell’1% del RNL dell’UE viene riservato a finanziare le politiche europee;
- se consideriamo i Programmi dell’UE “a gestione diretta” e “a gestione indiretta” – ai sensi del Reg. (UE, Euratom) n. 966/2012, ossia il nuovo regolamento finanziario generale sui fondi dell’UE del 25 ottobre 2012 – dovremo tenere conto di una competizione aperta a tutti i soggetti giuridici dei 28 Stati Membri dell’UE. Questo significa che: (i) la competizione sarà sempre molto forte; (ii) tutti i Soggetti Giuridici italiani, negli anni a venire, dovranno rafforzare, ancor prima che la capacità di “fare europrogettazione”, quella di “fare lobbying” presso le Istituzioni comunitarie e le Agenzie attuatrici dei Programmi per conto della Commissione;
- il rispetto del principio di cofinanziamento (i finanziamenti europei a un progetto implicano una compartecipazione finanziaria dei beneficiari) si rileva, soprattutto per gli operatori privati, un vincolo che può pregiudicare il completamento del progetto. A tale riguardo, ricordo che, in un pregevole contributo del 2006 di tre noti esperti della Università Bocconi di Milano, si raccomandava alle aziende di adottare un autentico approccio strategico ai Fondi UE. Senza un approccio strategico si rischia solo di disperdere risorse invece che di raccoglierne di nuove (si veda Borgonovi V. E., Crugnola P., Vecchi V., Finanziamenti comunitari, Ed. EGEA, 2006, cap. 6);
- il rispetto del principio del “bilancio in pareggio” (del progetto) implica che, diversamente da quanto ritenuto da diversi operatori privati, il progetto non consente di realizzare dei margini (tutto quanto speso deve essere rendicontato e se vi sono “economie di risorse”, queste andranno restituite alla Commissione o alla Agenzia delegata che hanno erogato il contributo).
In estrema sintesi, l’europrogettazione è una pratica impegnativa e costosa, rischiosa e che, anche laddove la proposta progettuale venga finanziata, non garantisce dei ritorni finanziari al termine del progetto. Ciò che concretamente si ricava con il finanziamento del progetto è la possibilità di portare avanti la propria “missione”.
Per qualsiasi organizzazione, inoltre, il finanziamento del progetto comporta anche un forte ampliamento del “capitale relazionale” (reti di contatti), ma sul piano strettamente finanziario, almeno al termine del progetto stesso, non vi sono dei ritorni.
Europrogettazione: la dura realtà
In merito alla seconda criticità sottolineata in precedenza, vorrei richiamare quanto già da me rimarcato in una Guida all’Europrogettazione che ho curato per il Centro Studi POLITEIA (Avigliano, Basilicata),
‹‹l’espressione “europrogettazione”, in genere, fa riferimento, forse in modo confuso, a tecniche di elaborazione dei progetti che sono applicate tanto a livello di management aziendale, quanto a livello di politiche pubbliche.
Appare corretto affermare che “fare europrogettazione” significa, in sostanza, partecipare a una particolare procedura di evidenza pubblica gestita dalla Commissione Europea – o da Agenzie che operano in suo conto – tramite “Calls for Proposals”, per accedere a dei finanziamenti dell’UE e realizzare i progetti che consentono ai proponenti di perseguire la loro mission istituzionale›› (la Guida è disponibile all’indirizzo: http://www.politeiaonline.it/Edizioni.asp#/18/).
Il parere di chi scrive, sempre valorizzando idee già riportate nella Guida, è che in sede di europrogettazione (in termini semplici, si risponde a una Call for Proposals della Commissione o di Agenzie delegate):
- si utilizzano metodologie e tecniche di elaborazione dei progetti applicate in modo sistematico quantomeno sin dagli anni Cinquanta nel campo aereo-spaziale e nel campo militare (la vastissima letteratura internazionale sul Project Management conferma inequivocabilmente tale posizione). Tali tecniche, poi, sono state applicate anche ad altri settori, a partire dalla progettazione per la cooperazione allo sviluppo (i contributi degli anni Settanta dell’Agenzia governativa degli Stati Uniti USAid e degli anni Ottanta dell’Agenzia tedesca GTZ sono delle pietre angolari nello sviluppo dell’Approccio di Quadro Logico, ampiamente usato anche per formulare progetti in risposta a Calls for Proposals europee).
Appare corretto dire, quindi, che quando si affronta la questione “europrogettazione”, andrebbe considerato assodato che certi approcci logici (approccio problem solving, orientamento al “break down” di problemi e di progetti formulati per risolvere quei problemi, applicazione di principi generali di pianificazione strategica) e certe tecniche di formulazione dei progetti siano ben conosciute, e che tali tecniche non siano affatto, come si crede, il valore aggiunto dell’europrogettista; - le conoscenze specifiche richieste in sede di europrogettazione (e, quindi, il reale valore aggiunto dell’europrogettista) sono più limitate e attengono soprattutto alla conoscenza delle politiche dell’UE, del diritto dell’UE e del sistema di finanza pubblica dell’UE.
Il bagaglio di conoscenze specifiche che si deve possedere per elaborare dei progetti che possano superare il processo di selezione e accedere al contributo finanziario dell’UE, alla luce delle considerazioni riportate sopra, è alquanto articolato. Come ho già riportato nel paragrafo 17 della Guida all’Europrogettazione elaborata per il Centro Studi POLITEIA, per sommi capi esso include:
- le politiche interne ed esterne dell’UE (su cui ci si deve aggiornare giornalmente);
- il sistema di finanza pubblica dell’UE e i principali strumenti finanziari (Programmi di spesa settoriali e Fondi a gestione concorrente);
- l’assetto istituzionale e il sistema legislativo dell’UE (probabilmente i migliori europrogettisti sono i “lobbisti europei”, in quanto l’attività di formulazione dei progetti non andrebbe avviata quando viene pubblicata la “Call for Proposals”, ma quantomeno quando vengono pubblicate delle nuove “Comunicazioni” della Commissione, in quanto poi dalle “Comunicazioni” deriveranno la base giuridica delle politiche e degli stessi Programmi di spesa dell’UE);
- le procedure di implementazione dei Programmi settoriali di interesse e anche la normativa in materia di appalti pubblici;
- le procedure di gestione dei progetti, secondo le metodologie più accreditate di Project Management (fra i vari Manuali in materia, suggerirei come imprescindibile “A guide to the Project Management Body of Knowledge” del Project Management Institute), e le procedure di rendicontazione delle spese;
- l’approccio di quadro logico e altre metodologie consolidate di elaborazione, secondo un approccio bottom up, di progetti e di piani territoriali di sviluppo (su queste tecniche, la manualistica internazionale è sconfinata. Per tutti, si veda: Stroppiana A., Progettare in contesti difficili, Ed. Franco Angeli, 2009).
Riguardo alla “dura realtà” dell’europrogettazione, mi vorrei soffermare, in particolare, sulla questione, sovente indigesta per i proponenti italiani, del “mainstream” della proposta progettuale.
Tale concetto si spiega facilmente con l’esempio di un grande fiume e dei suoi affluenti. Sia il grande fiume sia i suoi affluenti hanno il loro corso (stream). Nel momento in cui l’affluente si getta nel grande fiume, tuttavia, il suo stream inevitabilmente si perde e viene a coincidere con quello del grande fiume (mainstream).
Possiamo pensare alle politiche dell’UE come al grande fiume e ai progetti finanziati con i suoi fondi come ai suoi affluenti. Una proposta progettuale avrà probabilità di essere finanziata solo se i proponenti hanno l’umiltà di accettare l’idea che devono elaborare delle proposte assolutamente in linea con il mainstream delle politiche pubbliche europee. Per dirla in termini semplici, la proposta progettuale non va fatta come si vorrebbe, ma come vorrebbe che sia fatta dalla Commissione o dall’Agenzia delegata. La proposta progettuale deve essere coerente con il mainstream (ossia con quelle che sono le direttrici strategiche – settore per settore – delle politiche europee) e deve essere innovativa semplicemente nel senso che deve contribuire a innovare e migliorare le direttrici di politica economica, nei vari settori di intervento, già stabilite dai vertici istituzionali dell’UE.
Libri verdi, Libri bianchi, Piani di azione, Comunicazioni, base giuridica e Piani di lavoro annuali dei vari Programmi di spesa servono appunto a capire quali sono i confini del mainstream delle politiche pubbliche europee, settore per settore.
E qualora vi fossero dei dubbi, il ponderoso “Info Package” allegato a ogni Call for Proposals, assolutamente da esaminare con grande attenzione, aiuta a delimitare il campo di azione ragionevole e consigliato della proposta progettuale. Aggiungerei anche che, in sede di formulazione delle proposte progettuali, è sempre utile finanche rivedere il Titolo del Trattato sul Funzionamento dell’UE, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, che disciplina lo specifico settore di interesse per il progetto.
La pratica dell’europrogettazione, quindi, dovrebbe essere anzitutto un esercizio di umiltà. Come magistralmente evidenziato da Massimo Rossi, ‹‹progettare dovrebbe essere, in primo luogo, un esercizio di modestia, o meglio, di mitezza›› (si veda Rossi M., I progetti di sviluppo, Ed. Franco Angeli, 2004, p. 46).
Aggiungo anche un altro elemento ben noto, ma che diversi proponenti italiani, sovente, faticano a inquadrare correttamente. I progetti finanziati dall’UE devono avere una “dimensione europea” sia ex ante che ex post. In altri termini, una proposta progettuale per corrispondere a una Call for Proposals della Commissione o di Agenzie delegate deve affrontare non un problema specifico locale, ma problematiche che si possono manifestare in tutto il continente. Inoltre, le soluzioni di quel problema, che verranno proposte come risultati finali del progetto, devono esse stesse essere replicabili su tutto il territorio comunitario. Questo è il motivo di fondo per cui la Commissione è sempre alla ricerca ossessiva di “best practices”. Le “best practices” non sono altro che soluzioni valide e/o innovative di problemi generali, che possano essere facilmente “replicate” in ciascuno degli Stati Membri dell’UE.
La “dimensione europea” dei progetti, pertanto, non richiede solo di costruire un partenariato transnazionale (obbligatorio quando si risponde a delle Calls for Proposals), ma anche di sviluppare progetti i cui risultati possano effettivamente contribuire a migliorare le politiche europee su tutto il continente.
Europrogettazione: alcuni umili consigli per inquadrarla più correttamente e renderla più efficace
Chiudo questo breve articolo con alcuni suggerimenti generali per migliorare l’efficacia dell’europrogettazione (termine che, come forse si sarà intuito, a me non convince molto):
- il primo suggerimento che mi sento di avanzare, alla luce di quanto detto sopra e dando per scontata una buona conoscenza delle Istituzioni dell’UE e delle fonti del Diritto dell’UE, è quello di seguire con costanza e grande attenzione il vivace dibattito sulle politiche settoriali europee. E seguire con altrettanta attenzione il processo legislativo europeo;
- un altro suggerimento, legato al precedente, è quello di cercare di capire molto bene due elementi sovente trascurati dai proponenti italiani: (i) la struttura dei Quadri Finanziori Pluriannuali (QFP) dell’UE e la distribuzione per “headings” del QFP dei programmi di spesa; (ii) la distinzione fra Programmi (strumenti di finanziamento) “a gestione diretta”, “a gestione concorrente” e “a gestione indiretta”, come attualmente normata dal Capo 2 del Titolo V del Reg. (UE, Euratom) n. 996/2012;
- il suggerimento più importante concerne lo stesso approccio alla formulazione dei progetti. In merito, ribadisco in primo luogo che l’europrogettazione, de facto, richiede l’applicazione di metodologie e tecniche che sono mutuate dalla “pianificazione strategica”, sia essa applicata allo sviluppo di strategie aziendali o di piani di sviluppo locale.
Come ho già evidenziato nel par. 2 della Guida alla Europrogettazione reperibile sul sito del Centro Studi POLITEIA, ‹‹ questo significa:
- individuare chiaramente il gruppo dei destinatari (target group) e le loro problematiche;
- individuare l’ambito di intervento del progetto (può essere formazione per giovani disoccupati, rafforzamento della competitività delle piccole imprese di un dato territorio, altro);
- definire una data localizzazione di un progetto, ma ragionare sin dalla fase di formulazione anche sulla sua “scalabilità” (capacità di estenderlo a un territorio più vasto e/o a un gruppo di destinatari più ampio) e sulla sua “replicabilità” (capacità di replicarlo in altri territori);
- stabilire una vision (cambiamenti da apportare/obiettivi) e una mission del progetto (su questi concetti si rinvia alla vastissima manualistica internazionale. Per tutti, si veda: Friend G., Zehle S.; Guide to Business Planning, The Economist Publisher, 2009);
- formulare il progetto secondo l’approccio Results-Based Management (in estrema sintesi, si deve progettare “per obiettivi” e non “per attività”);
- elaborare un piano operativo coerente (inclusivo di un piano di attività per tutte le risorse umane coinvolte, un cronogramma e un piano finanziario);
- definire un efficace sistema di monitoraggio del progetto, quale fulcro del c.d. “rettangolo di controllo” dei progetti;
- formulare il progetto e poi attuarlo in una logica di empowerment dei destinatari, in quanto se e solo se i destinatari “apprenderanno a fare” dal progetto, questo si rileverà parimenti “sostenibile” (ossia capace di produrre effetti che dureranno nel tempo)››.
Significa, inoltre, avere sempre ben presente che ogni progetto dovrebbe essere pensato come uno strumento per produrre un cambiamento. Ogni progetto va formulato per generare un certo “futuro desiderato”, considerato migliorativo della situazione attuale. In altri termini, l’obiettivo specifico del progetto può essere paragonato alla “vision” di una organizzazione e il progetto può essere paragonato alla “mission” di una qualsiasi organizzazione.
Infine, vorrei rimarcare che i progetti possono anche essere molto complessi, ma in fondo, come evidenzia la letteratura internazionale sul Project Management, possono essere “sintetizzati” tramite quello che viene indicato come il “triple constraint” di un progetto (vedi la figura che segue).
Queste ultime due osservazioni giustificano l’apertura dell’articolo con la citazione della definizione di progetto riportata in una delle Guide più autorevoli in materia, Guida che, peraltro, è stata elaborata dalla stessa Commissione Europea. Quella definizione, nella sua semplicità, indica chiaramente che un progetto, quale che sia l’agenzia finanziatrice dello stesso:
- ha sempre l’obiettivo di produrre un cambiamento (sintetizzato dagli obiettivi del progetto);
- per quanto possa essere complesso, il suo DNA sarà sempre rappresentabile con i tre elementi del “triple constraint” (un obiettivo, una durata temporale definita e un budget finanziario).
In conclusione, “fare europrogettazione” è molto più complicato di quanto si pensi.
Non basta, infatti, conoscere le tecniche di pianificazione strategica, applicarle secondo il Results-Based Management approach e seguire i principi cardine del project management. Bisogna parimenti acquisire, in primo luogo, la consapevolezza che ogni progetto va formulato per produrre un cambiamento. Inoltre, bisogna conoscere molto bene diritto e sistema di finanza pubblica dell’UE. E, soprattutto, bisogna conoscere davvero molto bene le grandi direttrici strategiche e le linee di azione delle politiche europee.
Questo perché un progetto deve puntare a produrre cambiamenti in modo innovativo, ma dandosi sempre, come termine di riferimento invalicabile, il mainstream delle politiche pubbliche europee.