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Fondi europei, Comuni e strategie di sviluppo locale integrate nel Lazio

“L’economia regionale non
è lo studio dell’economia
a livello di regioni amministrative”
ROBERTA CAPELLO (2015, p. 26)

Recentemente la Commissione Europea ha pubblicato il Rapporto “Integrated territorial and urban strategies: how are ESIF adding value in 2014-2020?” (dicembre 2017), elaborato dallo European Policies Research Centre (EPRC) e dalla University of Strathclyde (Glasgow).
In estrema sintesi, le indicazioni principali che emergono sono:
• le strategie integrate di sviluppo locale sono state ampiamente attuate nei vari Stati Membri, soprattutto nella forma di strategie di sviluppo urbano. Per il prosieguo, peraltro, vi sono ampi margini per una loro ulteriore valorizzazione;
• appare necessario un ulteriore rafforzamento delle azioni di capacity building, sia per migliorare l’efficienza dei processi di governance a livello locale, sia per implementare nuovi processi decisionali più orientati al coinvolgimento dei cittadini-utenti (citizens engagement);
• vanno rafforzati i sistemi di monitoraggio e valutazione per rilevare l’effettivo impatto di queste strategie.

Le indicazioni di questa indagine della Commissione Europea mi hanno fatto riflettere una volta di più su come il rapporto fra fondi europei e Comuni vada interpretato anche alla luce del sistema di Multi-Level Governance che si è dato il nostro Paese negli ultimi anni con la L. 56/2014 (“riforma Delrio” dell’ordinamento istituzionale a Costituzione invariata). [1]
La “riforma Delrio” ha imposto una forte accelerazione ai processi di riforma dell’ordinamento istituzionale, prevedendo fra le altre cose:
• l’istituzione delle Città Metropolitane (14), attuando finalmente il dettato della L. 142/1990;
• la sostituzione di queste alle ex omonime Province;
• un significativo svuotamento dei poteri delle altre Province, che vengono ridimensionate a Enti di secondo livello non elettivi. La L. 56/2014, peraltro, ha previsto una riduzione delle funzioni delle Province nell’attesa della loro definitiva soppressione con legge di rango costituzionale.

Alla luce di questa riforma, di altre scelte in merito alle politiche strutturali di sviluppo compiute sia dal Governo centrale, sia dalla Regione Lazio e dei limiti territoriali agli interventi di sviluppo co-cofinanziati dal Programma di Sviluppo Rurale (PSR) regionale legati alla c.d. “zonizzazione” in aree prevista dall’Accordo di Partenariato e dal PSR, qualsiasi ragionamento sulle potenzialità di accesso ai fondi dell’UE per i Comuni deve muovere da una classificazione di questi che vada ormai oltre i confini provinciali. I Comuni, allo stato attuale, si potrebbero classificare in almeno cinque cluster, per ciascuno dei quali, come spiegato in diversi post su questo blog, cambiano ampiamente le possibilità di accesso ai fondi europei:
Roma Capitale (Comune capoluogo della Città Metropolitana di Roma);
altre città (medie e piccole) dell’ex Provincia di Roma, anch’esse collocate nel nuovo perimetro amministrativo della Città Metropolitana di Roma;
città medie;
città piccole non appartenenti alle “zone” svantaggiate individuate dal PSR regionale, ossia le Aree C (aree rurali intermedie) e le Aree D (aree rurali con problemi complessivi di sviluppo);
città piccole appartenenti alle “zone” svantaggiate individuate dal PSR regionale (Aree C e Aree D).

Queste semplici considerazioni evidenziano la necessità per la Regione Lazio di rivedere sia le strategie di sviluppo locale sia le attività di sostegno ai Comuni per l’accesso ai fondi dell’UE sulla base di un ampio ripensamento del sistema di governo multi-livello in ambito regionale, fondato su “aree vaste omogenee”. Anche le attività di supporto ai Comuni per facilitare l’accesso ai fondi europei, infatti, dovrebbero essere ripensate sulla base di caratteristiche ed esigenze di cluster di Comuni (e non di singoli Comuni), accomunati in primo luogo dall’appartenenza ad “aree vaste omogenee”. Tali “aree vaste omogenee” possono anche travalicare le ripartizioni territoriali di ordine amministrativo.
In merito a tali questioni, a mio modesto avviso può rappresentare una buona pratica da studiare e cercare di replicare nel Lazio la L.R. 18/2012 della Regione Veneto. La L.R. 18/2012 costituisce la base di un sistema di organizzazioni sovra-comunali (Intese Programmatiche di Area – IPA) delineato a partire, appunto, di una ripartizione in aree geografiche omogenee dell’intero Veneto. [2]
In questa luce non è banale chiedersi:
cosa intende fare davvero la Presidenza/Giunta Regionale quando lancia l’idea di un assessorato “per i piccoli Comuni e per le aree interne”? In altri termini, come vengono considerati, in questa proposta, i piccoli Comuni e come vengono considerate le “aree interne”? Se mi si perdona una considerazione banale, non tutti i piccoli Comuni sono uguali. Le possibilità di sviluppo dei piccoli Comuni non dipendono solo dalla disponibilità di finanziamenti (come, purtroppo, sovente sono inclini a pensare un po’ tutti gli amministratori pubblici), ma anche e soprattutto dal grado di “omogeneità territoriale” delle aree in cui si collocano e dalla propensione degli amministratori locali a cooperare e a sostenere lo sviluppo di queste aree con azioni di sistema che vanno oltre il perimetro amministrativo dei Comuni. In altri termini, il nuovo assessorato dovrebbe lavorare molto di più su sistemi di incentivazione della cooperazione e su azioni di capacity building per i Comuni di quanto fatto nel passato;
qual è lo stato di attuazione della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) della regione e, se del caso, come la Presidenza/Giunta Regionale intende rilanciarla? Questo quesito è molto rilevante dal momento che la SNAI si applica ad aree definite omogenee principalmente in base a caratteristiche socio-economiche e, solo in parte, ai loro connotati politici e geofisici. Le strategie di sviluppo, pertanto, sono slegate da ripartizioni meramente amministrative dei territori oggetto di intervento. [3]

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Immagine ex Pixabay

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[1] Per alcune considerazioni su tali questioni e sull’applicazione nel Lazio del c.d. “approccio LEADER” (Misura 19 del PSR regionali), mi sia consentito rinviare a: Bonetti A. (2017); Sviluppo locale di tipo partecipativo: limiti e nuove opportunità dell’approccio LEADER, Centro Studi FUNDS FOR REFORMS LAB; Policy Brief 5/2017.
[2] Il sistema di organizzazioni sovra-comunali del Veneto (Intese Programmatiche di Area – IPA) delineato dall’art. 7 della L.R. 18/2012, peraltro, costituisce realmente un riferimento ineludibile per le strategie di sviluppo locale della Regione Veneto, come dimostrano i continui riferimenti a questa legge regionale del bando di selezione dei Gruppi di Azione Locale (GAL) e dei relativi piani di azione per l’attuazione del c.d. “approccio LEADER” (DGR N. 12.14 del 15.09.2015).
[3] A livello europeo il concetto di aree interne si può ricondurre ai concetti di Internal Rural Peripheries e di Inner Peripheries. In merito, si vedano i seguenti contributi:
Territorial Agenda of the European Union (2007);
Territorial Perspectives of the EU –TSP2011 update (2011);
Inner Peripheries: a socio-economic territorial specificity (rapporto di ricerca finale sulle periferie interne del progetto di ricerca GEOSPECS, finanziato dal Programma di cooperazione dell’UE ESPON).
Per quanto concerne la genesi e l’attuazione della SNAI suggerisco la lettura della raccolta di saggi: Meloni B. (a cura di) (2016); Aree interne e progetti di area, Rosemberg & Sellier, Torino.
Sul contributo del PSR all’attuazione delle strategie di sviluppo integrate, consiglio: Mantino F., De Fano G. (2016); Approcci territoriali tra aree interne e aree rurali: il contributo dei Piani di Sviluppo Rurale, AgriRegioniEuropa, anno 12, 45.
Per un inquadramento teorico più generale di tali questioni, consiglio la lettura almeno del capitolo introduttivo del seguente Manuale: Capello R. (2015), Economia regionale. Seconda edizione, Il Mulino, Bologna.

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