“However beautiful the strategy, you should occasionally
look at the results”
Winston CHURCHILL
Metodi di formulazione dei progetti orientati ai risultati
I principali approcci metodologici alla formulazione dei progetti di sviluppo sono stati mutuati dagli studi di pianificazione strategica e di project management e dalle “lezioni dell’esperienza” di complessi progetti implementati negli Stati Uniti, a partire dagli anni Cinquanta, nei settori delle opere civili, militare e aereospaziale.
Muovendo da una logica di pianificazione strategica, l’approccio alla formulazione, alla gestione e alla valutazione dei progetti, sin dagli anni Settanta, viene informata ai c.d. “logic models”, che si possono rappresentare graficamente in vari modi, ma si fondano tutti sull’idea che si possa definire una “catena di risultati” (“results chain”) che lega le risorse investite in un progetto ai suoi effetti (impatti) finali.
Un aspetto chiave di ogni modello logico (“catena logica di nessi causali”) è la corretta verifica della validità logico-analitica dei nessi causali in cui si sostanzia la logica di intervento del progetto. In altri termini, si deve attentamente ponderare come la realizzazione di determinate azioni si “traduce” negli obiettivi intermedi (spesso indicati come “risultati attesi”) e negli obiettivi finali del progetto, nel presupposto che ogni azione o evento avrà sempre un effetto causale su altri eventi e sui risultati del progetto.
In altri termini, i logic models sviluppati negli anni Settanta erano fortemente ancorati a una logica mezzi-fini (“If … then”).
Nei decenni successivi, invece, sono andati affermandosi approcci che hanno teso a ribaltare questa logica “ingegneristica” che va dai mezzi ai fini, molto legata al “ciclo PDCA” (Plan Do Check Act).
Tali approcci, di converso, tendono a focalizzare l’attenzione, almeno per i progetti sociali, su problemi e desiderata dei destinatari finali (end beneficiaries) e dei contesti locali [1]. Si fa riferimento, in particolare, a:
- Goal Oriented Project Planning (GOPP), metodo sviluppato a partire dagli anni Ottanta, soprattutto su impulso dell’agenzia di cooperazione internazionale tedesca GTZ,
- Results-Based Management approach, affermatosi dalla seconda metà degli anni Novanta soprattutto sulla spinta delle agenzie di sviluppo delle Nazioni Unite e dello United Nations Development Programme (UNDP),
- Outcome mapping, metodo simile al RBM, sviluppato soprattutto dall’International Development Research Centre di Ottawa negli anni più recenti, anche con il contributo metodologico di esperti che avevano già lavorato per l’agenzia di cooperazione canadese (Canadian International Development Agency – CIDA), dal 2013 inglobata all’interno del Dipartimento per gli Affari Esteri del Governo canadese [2].
Approccio “Results-Based Management”
Nello specifico, l’approccio Results-Based Management (RBM approach), si può considerare una applicazione dei logic models in cui la “results chain” (catena dei nessi causali) viene definita a partire da problemi/desiderata dei destinatari finali e dai conseguenti obiettivi del progetto, invece che da risorse disponibili e da azioni fattibili, dato il vincolo delle risorse.
Il RBM approach, indicato anche “Managing for Development Results” (MfDR), più in particolare, si discosta dai “logic models” tradizionali per i seguenti motivi:
- si fonda sulla logica di progettare “per obiettivi” e non per attività [3]. In pratica, applicando il RBM approach si capovolge il percorso di lettura delle “catene di risultati”.
Il percorso di lettura tradizionale è ancorato alla logica “mezzi-fini”. Il percorso logico del RBM approach, invece, una volta definiti gli obiettivi, impone di valutare, a partire da quegli obiettivi, quali siano le azioni più opportune da implementare per raggiungerli. Ciò significa che in via prioritaria si identificano obiettivi/risultati da ottenere e, percorrendo un percorso logico a ritroso, si individuano outputs da realizzare, attività da implementare e, di riflesso, risorse umane, finanziarie e tecniche da impiegare (inputs). L’approccio alla ricostruzione dei nessi causali non si fonda sulla logica “If … then”, ma su una logica basata sulle domande “How?” e “Why?“. Infatti, a fronte dell’identificazione di un dato obiettivo focale di un progetto, si ragiona su “come” si possono raggiungere quegli obiettivi (“How do we get the expected results?”). A seguire, si valida la trama di nessi causali chiedendosi continuamente “Why?“. In questo approccio, solo a seguito della chiara individuazione del nesso causale (ossia, la risposta alla domanda “Why?“), si ragiona su quali azioni implementare (“What?“); ; - privilegia una valutazione di impatto sin dalla fase di ideazione/formulazione degli interventi, rispetto alla tradizionale valutazione ex ante. In sostanza, si ragiona su “How to make a difference?” per i beneficiari finali (proiezione dei possibili impatti), rispetto alla consueta valutazione iniziale sulla fattibilità tecnica, amministrativa, finanziaria e ambientale, tipica degli Studi di Fattibilità degli investimenti pubblici. In altri termini, si privilegia una logica “expected results” rispetto alla logica tradizionale “planned activities/results”;
- sostiene un orientamento alla formulazione degli interventi fortemente incentrato su problemi e desiderata dei destinatari (gli utenti dei servizi del progetto), proprio per il fatto che viene sempre più enfatizzata l’efficacia degli interventi e la loro capacità di “fare la differenza” per le condizioni di vita dei destinatari finali.
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[1] Il Plan Do Check Act, sviluppato nei primi decenni del XX secolo soprattutto da Walter Shewhart, considerato il progenitore del controllo statistico di qualità, è ritenuto un metodo fondamentale del project management e dei processi di miglioramento continuo della qualità. Come indica il nome completo – “ciclo PCDA” – esso si fonda su un metodo iterativo:
- si pianificano le attività,
- si eseguono,
- si valutano gli scostamenti fra atteso e realizzato,
- si riformulano obiettivi e azioni pianificati nella fase iniziale.
[2] Anche l’outcome mapping, com il RBM approach, enfatizza moltissimo il ruolo chiave degli obiettivi di lungo termine. “The team should clearly express the long term, downstream impacts that they are working towards, bearing in mind that the programme will not ahcieve them single-handedly. These goals provide reference points to guide strategy formulation and action plans (rather than acting as performance indicators)” Cfr. SMUTYLO T. (2005), Outcome mapping. A method for tracking behavioural changes in development programmes, ILAC Brief 7, p. 2. Si veda anche EARL S., CARDEN F., SMUTYLO T. (2001), Outcome mapping. Building learning and reflection into development programmes, International Development Research Centre, Ottawa
[3] Nell’Handbook del programma UNDP datato 2009, a p. 13 si legge: “Planning, monitoring and evaluation processes should be geared towards ensuring that results are achieved not towards ensuring that all activities and outputs get produced as planned”.