“Tutto è correlato con tutto in geografia,
ma le cose vicine sono più correlate di quelle lontane”.
Principio di Tobler (Waldo Tobler, 1970)
Nuovi GAL e nuove forme di governo delle “aree funzionali omogenee”
Nel post del 10 agosto, muovendo dall’esperienza dei GAL nelle precedenti programmazioni e dai contenuti della riforma dell’ordinamento istituzionale, in divenire, prevista dalla “legge Delrio” (L. 56/2014), ho proposto alcune sperimentazioni istituzionali che guardino ai nuovi GAL 2014-2020 come nuovi possibili soggetti istituzionali che governino (alla stregua di Enti di secondo livello) “aree funzionali omogenee” intermedie fra Regioni e Comuni.
La proposta, come mi è stato fatto osservare, è certamente un pò provocatoria e piuttosto complessa da realizzare, ma è necessaria, in quanto il disegno di riforma istituzionale ex “legge Delrio” è ampiamente incompleto, non chiarendo come verranno sostituite le Province, ed è parimenti ampiamente fondata sul piano teorico. Qui mi concentrerò, anche riprendendo risultati di lavori ricerca a cui ho partecipato una decina di anni fa, in ampia parte ancora attuali, su tre aspetti:
- limiti del sistema di Multi-Level Governance (MLG) istituzionale e riforma istituzionale;
- vantaggi dei sistemi di governance partecipativi;
- sistemi di governance partecipativi e “beni comuni”.
Limiti del sistema di MLG istituzionale
Nelle considerazioni sul livello amministrativo più adeguato di gestione delle politiche strutturali di sviluppo, riecheggia l’annoso dibattito sugli effetti della discrasia fra geografia “fisica” di un territorio e geografia “amministrativa” (in Italia normata dal Titolo V della Costituzione, segnatamente dall’art. 114 della Costituzione). [1]
In sede di decisione dell’estensione della potestà legislativa e amministrativa delle varie giurisdizioni sarebbe sempre opportuno tenere conto dell’esigenza di ricercare una adeguata simmetria tra giurisdizioni (stabilite dalla geografia “amministrativa”) e “scale territoriali” su cui si espandono le esternalità delle politiche pubbliche, che dovrebbero corrispondere alla dimensione territoriale ottimale delle giurisdizioni locali (Bagarani, Bonetti 2005, 2006, Bagarani et al., 2009).
Inoltre, non va dimenticato che fattori quali preferenze dei cittadini, grado di omogeneità sociale (in termini religiosi, etnico-linguistica, di sistemi di valori condivisi) e propensione alla cooperazione sono sempre fortemente condizionati, oltre da fattori antropologici, dai limiti “fisici” delle giurisdizioni. In termini molto semplici, tutti gli individui sono naturalmente più propensi a legarsi ad un territorio, piuttosto che agli enti amministrativi che governano quel territorio (basti pensare al campanilismo fra Comuni capoluoghi e frazioni). Anche questi fattori, infatti, sono particolarmente rilevanti nelle decisioni sul livello di decentramento istituzionale (o, se si preferisce, di federalismo fiscale) di un dato stato (Cerniglia 2003).
In questa sede va rimarcato che il sistema di MLG “istituzionale” è un sistema in cui:
• più livelli di governo (nel caso dell’Italia, stato membro dell’UE, nei fatti questi livelli vanno dall’UE, per il principio di supremazia del Diritto dell’UE, ai Comuni) concorrono alla formulazione e all’attuazione delle politiche pubbliche;
• a ciascun livello di governo sono associate ben delimitate aree territoriali e ben determinate “competenze”;
• le giurisdizioni su uno stesso livello del sistema di MLG sono mutamente esclusive a livello territoriale, per cui vale il principio “un territorio una giurisdizione” e non è prevista (tranne pochissimi casi, quali ad esempio aree protette che interessano più regioni e bacini idrografici) una sovrapposizione territoriale delle competenze (la Regione X ha competenze sul suo territorio e non oltre e così per gli altri livelli di governo). [2]
I principi di questo sistema di MLG “istituzionale”, ripresi da vari contributi degli analisti politici Gary Marks e Liesbet Hooghe, sono riportati nel prospetto che segue.
Fig. 1 Principi del sistema di MLG “istituzionale”
Qui due considerazioni:
• questi principi lo rendono assolutamente rigido e, peraltro, poco orientato alla formulazione di politiche pubbliche “aperte ai cittadini” (secondo direttrici di civic engagement e participatory decision-making), in quanto fortemente legato ai pilastri della democrazia “rappresentativa” (si veda il paragrafo che segue);
• i GAL – su piccola scala – costituiscono una eccezione al principio “un territorio una giurisdizione” semplicemente per il fatto che travalicano i confini amministrativi, potendo gestire un novero ristretto di azioni pubbliche (contenute nei loro Piani di Sviluppo Locale) sul territorio di più Comuni e, in alcuni casi, di più Province.
Vantaggi dei sistemi di governance partecipativi
Nei sistemi di democrazia rappresentativa, i decisori pubblici ricevono una delega a scegliere ed attuare le politiche pubbliche nelle tornate elettorali (rapporto “elettore – eletto” come rapporto “principale – agente”). In un siffatto sistema i decisori pubblici che vengono eletti sono, in linea di principio, quelli che riescono a capire meglio i “segnali” dei cittadini e sanno tradurli in proposte di politiche pubbliche più rispondenti a domande di sviluppo e aspettative dei cittadini.
Nei sistemi informati a principi di “democrazia partecipativa”, invece, non si registra un’attuazione così rigida del principio di rappresentanza politica. Anzi, le politiche pubbliche maturano sulla base di una sorta di consultazione permanente fra “delegati” (decisori pubblici) e cittadini-utenti. [3]
Per sua natura, un GAL privilegia un sistema di governance partecipativo che risulta:
- in parte alternativo a quello tradizionale, per cui, qualora si volesse trasformare i GAL in nuove forme di giurisdizioni locali, andrebbe capito non solo come stabilire e conciliare la dimensione territoriale del GAL e di altre possibili giurisdizioni locali, ma anche come conciliare il sistema di governo del GAL con quello di altri enti che si pongono sullo stesso livello giurisdizionale;
- più incline a privilegiare la “voice” dei cittadini nella fase costruttiva delle politiche e, quindi, a prevenire forme di “voice” che si palesano con manifestazioni più estreme (dagli scioperi, alle proteste di piazza e, finanche, a forme di rivolta fiscale);
- più complesso da gestire (e anche più costoso), ma anche in grado di aumentare il “commitment”, la “loyalty” e il senso civico dei cittadini-utenti, e, non ultimo, di favorire quel monitoraggio continuo delle politiche pubbliche da parte dei cittadini che, fra l’altro, costituisce il principale antidoto alla corruzione.
Le questioni davvero dirimenti, come si rimarca anche sotto, riguardano la capacità di innovare i sistemi di governance informandoli a una più ampia partecipazione dei cittadini al processo di decision-making, e al contempo trovare il modo di allocare le competenze istituzionali fra i livelli di governo senza eccessive sovrapposizioni e l’esigenza di rendere compatibili i processi deliberativi delle giurisdizioni locali con il processo di “ascolto” e di condivisione delle scelte pubbliche con la cittadinanza. Il processo di civic engagement, infatti, deve comunque garantire anche il raggiungimento di obiettivi di riduzione dei costi amministrativi e di incremento dell’efficacia dell’azione pubblica. [4]
In altri termini si tratta di stabilire come conciliare il principio di sussidiarietà verticale – che, nell’ambito di un sistema di MLG molto rigido quale quello “istituzionale” penalizza la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, ma è strutturato in modo rigido anche per ridurre i costi amministrativi – e quello della sussidiarietà orizzontale, che invece è un po’ il substrato dei sistemi di governo partecipativi.
Sistemi di governance partecipativi e “beni comuni”
Come già ricordato nel post del 10 agosto “Sviluppo place-based, riforma istituzionale delle giurisdizioni locali e nuove funzioni dei GAL“, le forme di governo “flessibili” che sono aperte alla partecipazione delle comunità locali (o addirittura organizzate secondo principi di auto-organizzazione dal basso) sono quelle più adatte per gestire i “beni comuni”, specialmente quei “beni comuni” – quali fiumi, laghi, aree protette, boschi – che coprono parte del territorio di più Regioni e/o Province.
Per questi “commons”, come ha dimostrato Elinor Ostrom (1990, 1997), meccanismi partecipativi di auto-gestione da parte degli utenti risultano più efficaci rispetto sia a forme di regolamentazione secondo meccanismi di mercato, sia a una loro gestione diretta da parte dei pubblici poteri. [5]
Anche sotto questo profilo, pertanto, i GAL – sia considerando che, almeno sulla carta, sono una particolare forma di auto-organizzazione sociale dal basso, sia considerando il novero di “competenze” particolare attribuito loro dalla normativa europea, che privilegia lo sviluppo di beni e servizi collettivi nelle aree rurali – potrebbero presentare degli elementi di superiorità rispetto ad altri Enti di secondo livello (Unioni di Comuni, Comunità Montane e, dopo la riforma Delrio, le Province).
Qui emerge assolutamente la principale difficoltà. Come conciliare l’esigenza di aumentare efficacia ed efficienza dell’intero framework istituzionale – che, nell’ambito del sistema di MLG “istituzionale” è soddisfatta, tra l’altro, dalla previsione di un numero limitato di giurisdizioni locali, sovente non corrispondenti a delle “aree funzionali omogenee” – con quella di dare maggiore “voice” ai cittadini, al punto da lasciare ampi margini per forme di auto-gestione di “beni comuni”?
Bisogna andare oltre la riforma ex L. 56/2014 e tentare di delineare un framework istituzionale capace di far coesistere più livelli di governo definiti secondo la particolare architettura della MLG “istituzionale” e forme di governo innovative di “aree funzionali omogenee” che:
• travalichino i vecchi confini amministrativi;
• gestiscano delle competenze pubbliche che abbiano una “scala” adeguata rispetto alle dimensioni delle “aree funzionali omogenee”;
• si diano sistemi di governo informati ai principi della “democrazia partecipativa”. [6]
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[1] La discrasia fra geografia “fisica” di un territorio e geografia “amministrativa” conduce a definire due raggruppamenti di analisi statistiche del territorio:
• analisi “normativa” (o “istituzionale”): legata alle aggregazioni territoriali basate sul sistema istituzionale-amministrativo dell’UE e degli Stati Membri;
• analisi “funzionale”, riferita alle regioni “analitiche”. Per regioni “analitiche” si intendono aggregazioni di aree territoriali “omogenee” (bacini idrografici) o “funzionalmente omogenee”.
Nell’analisi territoriale si possono considerare diverse aree “funzionali”:
• aree omogenee per caratteristiche fisiche, climatiche o anche dei sistemi rurali;
• aree omogenee per determinate “funzioni economiche” (si fa riferimento a dei flussi di beni e servizi e/o di individui e alle interazioni economiche all’interno di queste aree).
I principi di riferimento più rilevanti nella costruzione delle aree “funzionali” sono:
• il principio di gravitazione: in un territorio esistono poli di attrazione (centri urbani, alcune infrastrutture di particolare rilievo, quali un Parco scientifico o un aereoporto) e delle “aree gravitazionali” (aree che hanno un baricentro nel polo di attrazione e su cui si dispiegano gli effetti economici di questo baricentro);
• il principio di Tobler (1970): “tutto è correlato con tutto in geografia, ma le cose vicine sono più correlate di quelle lontane”.
[2] In relazione alla gestione delle politiche strutturali dell’UE, queste caratteristiche si traducono come segue::
• più livelli giuridsdizionali intervengono nella formulazione e nell’attuazione dei Programmi (dalla Commissione Europea fino ai c.d. Organismi Intermedi, fra i quali si annoverano anche i Gruppi di Azione Locale che, appunto, gestiscono i Piani di Sviluppo Locale ex approccio LEADER);
• ad ogni livello di giurisdizione competono specifiche competenze ben separate da quelle delle altre unità di governo dello stesso livello giurisdizionale. Concretamente, si sta dicendo che ogni Regione, nell’ambito delle politiche strutturali dell’UE, ha il suo Programma Operativo Regionale e o il suo Programma di Sviluppo Rurale e tali Programmi, tranne sporadiche azioni, interessano il territorio amministrato da quella Regione e non vi saranno sovrapposizioni di autorità nella gestione dei Programmi.
[3] Fra i tanti contributi su questo tema così importante per la formulazione e la gestione delle politiche pubbliche, si vedano quelli di Downs (1957), Olson (1965), Hirschman (1970), Oates (1972), Eggers, O’Leary (2009).
[4] Altra questione davvero rilevante per ridurre i costi amministrativi e aumentare l’efficacia dell’azione pubblica riguarda l’allocazione delle competenze fra vari livelli di governo – nel caso di specie il livello regionale, quello degli enti territoriali intermedi (fra cui le “nuove” Province e, in linea di principio, anche i GAL) e Comuni.
[5] Nel Medioevo, in Inghilterra “the Commons” erano i prati che venivano lasciati a disposizione di tutti o per i raccolti o per il pascolo. Com’è intuitivo il loro uso collettivo può facilmente degenerare in abuso (comportamento da free rider degli utenti) e in questo risiede la c.d. “tragedia dei beni comuni”, tragedia che si può affrontare e sanare secondo formule consensuali di auto-gestione del loro uso comune.
[6] Per la redazione di questo post mi sono stati utili gli scambi di pareri con gli esperti della Cooperativa ELP (Earth Link Project), molto attivi sui temi dell’agricoltura sostenibile, dello sviluppo rurale e dell’innovazione sociale da diversi anni. Segnalo come particolarmente interessante il contributo degli esperti della Cooperativa ELP (pubblicato sul loro sito il 12 agosto): Territori in cerca di nuove strategie di sviluppo e nuove istituzioni locali: come valorizzare ruolo e funzioni dei GAL.
Riferimenti bibliografici
Arbia G., Espa G. (1996); Statistica economica territoriale; CEDAM; Padova
Bagarani M., Bonetti A. (2005), Politiche regionali e Fondi Strutturali. Programmare nel sistema di governo della UE, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)
Bagarani M., Bonetti A. (2006), Evoluzione del sistema di governo delle politiche comunitarie e cambiamenti nella politica regionale nazionale, paper presentato al IX Congresso AISPE, Padova
Bagarani M., Bonetti A., Zampino S. (2009), Multilevel Governance e decentralizzazione: un’applicazione al caso italiano, in: Borri D., Ferlaino F. (a cura di); Crescita e sviluppo regionale: strumenti, sistemi, azioni, Angeli, Milano, pp. 261-284
Cerniglia F. (2003), “Decentralization in the Public Sector: quantitative aspects in federal and unitary countries”, Journal of Policy Modelling, 25, 749-776
Downs A. (1957), An Economic Theory of Democracy, Harper & Row, New York
Eggers W.D., O’Leary J. (2009), If we can put a man on the moon: getting big things done in government, Harvard University Press, Cambridge (MA)
Hirschman A.O. (1970), Exit, voice and loyalty, Harvard University Press, Cambridge (MA)
Hooghe L., Marks G. (2001a), Multi-Level Governance and European Integration, Buolder: Rowman & Littlefield
Hooghe L., Marks G. (2001b), “Types of Multi-Level Governance”, European Integration online Papers, Vol: 5(2001)
Oates W. (1972), Fiscal federalism, Harcourt/Jovanovich, New York
Olson M. (1965), The logic of collective action. Public goods and the theory of groups, Harvard University Press, Cambridge (MA)
Ostrom E. (1990), Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press. Traduzione italiana: Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia, 2006.
Ostrom E. (1997), “A Behavioral Approach to the Rational Choice Theory of Collective Action: Presidential Address, American Political Science Association”, The American Political Science Review 92(1): 1-22. 1998.
Marks G., Hooghe L. (2004); “Contrasting Vision of Multi-Level Governance”, in Bache I., Flinders M. eds, Multi-Level Governance, Oxford University Press
Tobler W. (1970); “A computer movie simulating urban growth in the Detroit region“; Economic Geography Supplement, 46