«La condivisione riguarda […]
i frutti dello sviluppo,
ma prima ancora la sua progettazione.
Solo in questo modo
la società locale può diventare
protagonista del suo sviluppo»
Laura Zanfrini 2001, p. 35
Il particolare sistema di governance dei GAL – un sistema “multistakeholder” orientato alla promozione di sistemi decisionali pubblici “partecipativi” – fornisce lo spunto per una riflessione sullo stato del dibattito attuale su sviluppo locale e partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche.
Negli anni Novanta le politiche europee sono state fortemente riorientate nella direzione di un forte ancoraggio dei processi di sviluppo economico ai “luoghi” (sviluppo “place-based”) e sono state informate a un maggiore coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali. Il leit motiv era che i “luoghi”, con i loro assets specifici e con le loro tradizioni civiche e culturali, contano per lo sviluppo, così come conta il c.d. “capitale sociale” dei territori.
Il mio umile parere è che, malgrado le dichiarazioni di intenti e la documentazione ufficiale sembrerebbero affermare il contrario, sia nella programmazione 2007-2013 dei fondi europei, sia in quella in corso, vi è stato un marcato ridimensionamento dell’approccio “place-based” nell’ambito della “politica di coesione”.
Viene confermata, invece, la propensione a un maggiore coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali pubblici e, soprattutto, nei percorsi di formulazione “dal basso” dei piani di sviluppo locale. [1]
Anche qui, tuttavia, emergono autorevoli distinguo su un approccio “bottom up” che, specialmente nel nostro Paese, è stato implementato soprattutto per rispettare formalmente le disposizioni dei Regolamenti dell’UE sull’utilizzo dei Fondi Strutturali, piuttosto che per ampliare la capacità delle comunità locali di incidere sulle decisioni pubbliche (si vedano Barca 2011, Calvaresi 2016).
La tanto invocata apertura dei processi decisionali agli stakeholders locali infatti, può essere controproducente se non si tiene conto del fatto che fra questi vanno annoverati anche:
• élite locali dominanti che, rischiando di essere le “parti lese” dei processi di riforma, lavoreranno in senso contrario alle riforme, e
• gruppi di pressione e rent seekers, i quali partecipano ai processi decisionali non per contribuire a migliorare le politiche pubbliche, ma per cercare di incanalare a loro favore i benefici di processi di riforma e politiche locali di sviluppo.
Nel dibattito sulle politiche di sviluppo territoriale, negli anni recenti, si registra una evidente rivalutazione dell’importanza dei trend socio-economici esterni ai “luoghi” e degli assetti politico-istituzionali per la sostenibilità dei processi di sviluppo “dal basso”. Di conseguenza, viene parimenti rivalutata la funzione di indirizzo e di regolazione dei livelli di governo superiori. [2]
Questo non significa che, attualmente, viene messa in discussione la centralità delle comunità locali nella formulazione e nell’implementazione di politiche/progetti di sviluppo locale, ma va maturando una maggiore consapevolezza che l’efficace valorizzazione delle risorse e dei saperi locali deve anche passare per «l’incorporazione selettiva di elementi esogeni e la partecipazione a reti trans-locali » (Zanfrini 2005, p. 59).
In sostanza, nella fase corrente è venuta meno la retorica di un approccio “bottom up” capace sempre e comunque di portare a risultati migliori rispetto a quello “top down” e, quindi, viene un po’ messo in dubbio “il cosa possano fare le comunità locali per il loro sviluppo”. Aspetto non secondario collegato al precedente è che vengono persino messi in discussione gli stessi esercizi di progettazione partecipata, in quanto – ed era ora – si evidenzia che, in precedenza, venivano eccessivamente enfatizzati gli aspetti positivi, dimenticando come anche in questi esercizi di progettazione aperta “fra pari” si possono facilmente innescare processi competitivi che, oltre a rallentarli, ne pregiudicano l’efficacia. [3]
Per questo motivo, la ricerca sociale e la pratica dei c.d. “think and do tanks” sono perennemente alla ricerca di nuovi approcci e metodi per potenziare l’efficacia dei workshop partecipativi. [4]
Una volta di più è in primo luogo rispetto a tali questioni (ossia, rispetto alla capacità di svolgere con efficacia i prossimi anni le attività di animazione), che si dovrà misurare il grado di maturità dell’approccio LEADER e dei nuovi GAL 2014-2020. [5]
I GAL, in primo luogo, dovranno saper andare oltre il loro mandato “istituzionale” ex Regolamenti dell’UE e disposizioni delle Amministrazioni regionali per la loro selezione, come evidenziato nel position paper “Territori in cerca di nuove strategie di sviluppo e di nuove istituzioni locali: come valorizzare ruolo e funzioni dei GAL” della Cooperativa ELP, di cui sono co-autore. [6]
I GAL dovranno anche saper andare oltre sia l’approccio “top down”, sia quello “bottom up”.
In sostanza, si dovrebbe convintamente seguire una ‹‹idea di ‘sviluppo condiviso’ [che] va oltre lo stesso approccio locale e assume una valenza sia descrittiva sia normativa, come strategia utile a sostenere il consolidamento delle società locali economicamente più dinamiche e a promuovere la crescita di quelle che ancora soffrono di condizioni di arretratezza›› (Zanfrini 2005, p. 55).
L’approccio dello ‘sviluppo condiviso’ va oltre la tradizionale contrapposizione fra lo sviluppo ‘endogeno’ e quello ‘esogeno’ – come si evince dalla colonna finale della tabella che segue – e ‹‹si fonda primariamente sulla concertazione, che peraltro, non riguarda solo l’allocazione delle risorse, ma anche e soprattutto la definizione degli assi prioritari dello sviluppo del territorio; si tratta inoltre di un processo di tipo incrementale che si autoperpetua, giacchè le risorse che lo alimentano – in particolare risorse di natura fiduciaria – hanno la prerogativa di accrescersi quanto più vengono impiegate›› (Zanfrini 2005, p. 58).
Tabella – Le teorie dello sviluppo dall’alto e dello sviluppo dal basso e la prospettiva dello “sviluppo condiviso” [7]
Fonte: Zanfrini, 2005, p. 56
Si tratta di valorizzare sperimentazioni informate al paradigma emergente dell’innovazione sociale anche nelle aree rurali e continuare a sperimentare nuove forme di “self-guiding society” (Lindblom 1990), che possano integrare il “primo welfare” (garantito in modo equo ed efficiente dal Settore Pubblico), con forme condivise di “secondo welfare” [8]
Si tratta, in conclusione, di guardare con una lente nuova all’approccio “bottom up”, riconoscendo che, come magistralmente spiegato da Fabrizio Barca (2011), se da un lato i “luoghi” e le conoscenze e i desiderata della comunità locali contano (e, quindi, va rilanciato l’approccio “place-based”), dall’altro bisogna saper sviluppare progetti innovativi di valorizzazione delle risorse e delle conoscenze locali, e, soprattutto, saper integrare competenze tacite (anche informali) delle comunità locali e inputs e conoscenze specifiche esterne.
Come si evince dalla tabella riportata sopra, gli attori locali debbono avere un ruolo “propositivo e ricettivo”, al fine di perseguire interessi “endogeni, ma proiettati su scala sovra-locale”.
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[1] Come già evidenziato in diversi post su questo blog, da ultimo quello del 25 luglio 2016 “La Misura 7 del PSR Lazio, i Progetti Pubblici Integrati e i processi partecipativi”, il miglioramento dei processi di open government, il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali e anche nella gestione della “cosa pubblica” e la maggiore accountability delle azioni di sviluppo sono ormai quasi unanimemente considerati aspetti centrali del “buon governo”.
[2] Per una critica molto aspra dell’approccio allo sviluppo locale e dei metodi “partecipativi” come sviluppati finora, si rinvia a Meyer-Stamer (2003, 2004). Una valutazione molto critica delle esperienze di progettazione integrata territoriale in Italia si trova in: Rossi (2005).
Una strenua difesa dei “processi deliberativi” collettivi e della ricerca di “soluzioni condivise” ai problemi sociali si ritrova, invece, in “Cosa fare. Come fare” (2012) di Iolanda Romano, fondatrice nel 2002 di Avventura Urbana. La stessa Romano, tuttavia, suggerisce di coinvolgere maggiormente nei “processi deliberativi” aperti anche le parti lese e le élites, valorizzando soprattutto l’approccio “consensus building”, da lei indicato come particolarmente adatto per la mediazione dei conflitti.
[3] Per tutti, si veda: Kieboom M. (2014), Lab Matters: challenging the practice of social innovation laboratories, Kennisland, Amsterdam (licensed under CC-BY).
[4] La ricerca sociale e la prassi della cooperazione allo sviluppo hanno consentito di individuare molteplici tecniche per gestire workshops di progettazione partecipativa (per tutti, si veda Chambers 2002). Esse sono parimenti molto utili per stimolare l’individuazione di nuove soluzioni per problemi sociali, tecnologici e di mercato (nuove idee) da parte dei potenziali beneficiari e la loro implementazione viene sempre più facilitata dallo sviluppo di reti informatiche, di applicazioni per smartphones e del web 2.0. Tali tecniche (magistralmente presentate nell’Open Book of Social Innovation) vanno dai “dialogue cafés” alle conferenze destrutturate e ai BarCamps.
[5] La validità dell’approccio LEADER è stata confermata dalla dichiarazione finale “A better Life in Rural areas” della Conferenza Cork 2.0, tenutasi nella città irlandese il 5 e 6 settembre 2016. Tale Conferenza, in sostanza, ha già aperto il confronto sulla nuova revisione post 2020 dei due Pilastri della PAC. In particolare, l’orientamento n. 8 “Enhancing rural governance” conferma appunto la centralità, anche nel periodo di programmazione post 2020, dell’approccio LEADER, rimarcando che «bottom up and locally led initiatives should be rolled out to mobilise rural potentials».
[6] Il position paper è stato elaborato come contributo al dibattito del Convegno “GAL chiama Europa: network e governance come fattori di sviluppo sociale e economico”, organizzato da GAL Terre di Argil e COPAGRI Frosinone, con il supporto della Cooperativa ELP, che si è tenuto il 22 ottobre 2016 presso Rocca d’Arce (Frosinone).
[7] La Zanfrini riconosce che la paternità delle colonne sullo sviluppo “dall’alto” e su quello “dal basso” è da attribuire a Trigilia (1992) e INEA (1999). A titolo di completezza si ricorda che l’INEA è stata di recente ribattezzata CREA.
[8] Come rimarcano Maino e Ferrera (2013), «il secondo welfare si aggiunge agli schemi del primo welfare (quello pubblico), integra le sue lacune, ne stimola la modernizzazione sperimentando nuovi modelli organizzativi, gestionali, finanziari e avventurandosi in sfere di bisogni ancora inesplorate (e in parte inesplorabili) dal pubblico».
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Riferimenti bibliografici
Barca F. (2011), Alternative approaches to development policies: intersections and divergencies, OECD Regional Outlook 2011, Paris
Bonetti A., Salvadori M. (2016),Territori in cerca di nuove strategie di sviluppo e di nuove istituzioni locali: come valorizzare ruolo e funzioni dei GAL, position paper della Cooperativa ELP (Frosinone)
Calvaresi C. (2016), Innovazioni dal basso e imprese di comunità: i segnali di future delle aree interne, AgriRegioniEuropa, anno 12, 45
Chambers R. (2002), Participatory Workshops: a Sourcebook of 21 Sets of Ideas and Activities, Earthscan, London
INEA (1999), Animazione sociale e cultura locale. Ruolo, metodologie e strumenti per lo sviluppo rurale, Roma
Kieboom M. (2014), Lab Matters: challenging the practice of social innovation laboratories, Kennisland, Amsterdam.
Lindblom C. (1990), Inquiry and Change, Yale University Press, New Haven.
Maino F., Ferrera M. (2013), Primo rapporto sul secondo welfare in Italia, Centro di ricerca Luigi Einaudi, Torino .
Meyer-Stamer J. (2003), Why is Local Economic Development so difficult?, Mesopartner Working Paper 3
Meyer-Stamer J. (2004), Governance and Territorial Development. Policy, Politics and Polity in Local Economic Development, Mesopartner Working Paper 7
Romano I. (2012), Cosa fare. Come fare, Ed. ChiareLettere, Milano
Rossi N. (2005), Mediterraneo del Nord. Un’altra idea del Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari
Trigilia C. (1992), Sviluppo senza autonomia. Effetti perversi delle politiche nel Mezzogiorno, Il Mulino Bologna
Zanfrini L. (2001), Lo sviluppo condiviso. Un progetto per le società locali, VitaePensiero, Milano
Zanfrini L. (2005), Lo sviluppo locale in una prospettiva sociologica, in: Ciciotti E., Rizzi P. (2005), Politiche per la competitività territoriale, Carocci, Roma, pp. 37-62