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I progetti di sviluppo socio-economico come leve di cambiamento e generatori di un ‘futuro desiderato’

‹‹vision is a snapshot of the desired future››
UN-HABITAT, ECOPLAN INTERNATIONAL (2005)

Gli elementi portanti della definizione di progetti di sviluppo socio-economico

Come ho cercato di argomentare negli ultimi post, anche presso la comunità professionale degli operatori di sviluppo locale si sta diffondendo in misura crescente il ricorso a una serie di pratiche e di strumenti mutuati dal manuale del Project Management Institute (A Guide to the Project Management Body Of Knowledge – PMBOK) e da altre guide alla gestione dei progetti informate al Total Quality Management (TQM). [1]

Come scrivevo nel post del 20 luglio scorso, la questione critica rispetto alla quale la comunità professionale degli operatori di sviluppo locale, a mio avviso, continua a fare confusione è inerente alla corretta individuazione delle caratteristiche distintive dei progetti di sviluppo socio-economico.

A mio avviso, per quel che concerne la definizione di progetto e la determinazione del suo ‘ambito’ (‘scope‘), gli elementi realmente imprescindibili sono i seguenti cinque (sui quali avanzerò delle ulteriori riflessioni nei post successivi):

1. qualsiasi progetto vuole produrre un cambiamento e generare un certo ‘futuro desiderato’, considerato migliorativo di una data situazione attuale (negativa).

2. Le dimensioni-chiave di un progetto sono:
2.1. la dimensione strategica, definita da:
• un gruppo target (beneficiari finali del progetto);
• una chiara individuazione di problemi/bisogni insoddisfatti dei beneficiari;
• una ‘visione di sviluppo’ e degli obiettivi pertinenti rispetto ai problemi;

2.2. la dimensione operativa, definita da:
• una serie di attività chiave (e relative sotto-attività);
• gli output da realizzare (per i quali vanno ben definite le specifiche tecniche e di qualità);
• una durata temporale prestabilita (timescale) e le principali milestones;

2.3. la dimensione ‘risorse’ (umane, fisiche e finanziarie);

2.4. la dimensione ‘ambito settoriale’ di intervento (‘ambito di policy’ per interventi finanziati e realizzati da Istituzioni pubbliche).

3. Ogni progetto di sviluppo socio-economico ha una specifica dimensione tecnico-ingegneristica e una specifica dimensione geografica (dimensione questa, a sua volta, definita dalla localizzazione del progetto/piano di area vasta e dall’ampiezza del territorio interessato dal progetto).

4. I progetti vanno formulati in modo rigoroso, ma non costruiti secondo un approccio ‘blueprint‘ (approccio per cui il piano operativo costituirà una sorta di intoccabile ‘to-do-list’), ma secondo un approccio di ‘processo’. In altri termini, si deve riconoscere, già nella fase di ideazione del progetto, che un grande valore aggiunto del progetto potrà derivare dalla sua concreta attuazione (finanche dalle sue criticità).

5. I progetti di sviluppo socio-economico vanno formulati in una logica di empowerment dei destinatari finali e delle comunità locali. Destinatari finali e stakeholders, pertanto, vanno adeguatamente informati e coinvolti nella fase di identificazione/formulazione.

La ‘visione’ al centro dei progetti di sviluppo socio-economico

La definizione dei progetti di sviluppo socio-economico non può che partire dalla constatazione che qualsiasi progetto, a partire da una data situazione attuale (negativa), vuole produrre un cambiamento e generare un certo ‘futuro desiderato’.
Questo ‘futuro desiderato’ (espresso dalla ‘visione di sviluppo’) è il punto di approdo del progetto (indicandone l’obiettivo centrale o, se si preferisce, il suo ‘obiettivo specifico’).

Il termine progettare, infatti, viene dal latino proiectare, ossia ‘gettare avanti’. [2] Questo significa che attraverso il progetto si interviene su una situazione data negativa (problema) e si proietta in avanti quella situazione, ‘ribaltata’ in termini positivi. Un progetto di sviluppo socio-economico è una leva di cambiamento sociale ed economico e l’obiettivo specifico del progetto – ossia la ragion d’essere del progetto stesso – corrisponde appunto a una ‘visione di sviluppo’ (una fotografia del ‘futuro desiderato’), come evidenzia in maniera inequivocabile il seguente schema grafico, tratto dell’Handbook del 2009 di UNDP sulla valutazione degli impatti dei progetti di sviluppo. [3]

Ci si deve sempre porre la domanda: “qual è il cambiamento che si vuole produrre con questo progetto”? (vision e obiettivi strategici di un progetto).

Non a caso, l’importanza di applicare il ‘visioning’ non solo per definire l’orientamento strategico di una start-up o il percorso di sviluppo di un’azienda attiva, ma anche per formulare un progetto è ben noto agli animatori di workshops di formulazione partecipata dei progetti che, in genere, avviano i lavori con la domanda, solo apparentemente retorica, ‘come vedete la vostra comunità – o la vostra città/il vostro territorio – fra 5/10 anni?

Per questo motivo, fra le tante, è da considerare una definizione particolarmente significativa quella dell’ex Ufficio di Cooperazione EuropeAid della Commissione Europea, riportata nel manuale del 2004 sulla gestione degli aiuti allo sviluppo dell’UE [4]:

‹‹ A project is a series of activities aimed at bringing about clearly specified objectives
within a defined time-period and with a defined budget ››

Questa definizione, nella sua semplicità, indica chiaramente che un progetto, quale che sia l’Ente finanziatore:
• ha sempre l’obiettivo di produrre un cambiamento (sintetizzato dagli obiettivi del progetto), che germoglia su una ‘visione’ ben esplicitata (il concetto di vision – che sintetizza una chiara prospettiva di cambiamento socio-economico – è cruciale sia nella pianificazione strategica di aziende e organizzazioni ‘a vocazione sociale’, sia nella concezione di strategie di sviluppo locale); [5]
• per quanto possa essere complesso, il suo DNA sarà sempre rappresentabile con i tre elementi del cosiddetto ‘triple constraint’ dei progetti (un obiettivo, una durata temporale definita e un budget finanziario). [6]

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Immagine ex Pixabay

Immagine ex Pixabay

[1] Varie edizioni del PMBOK (A Guide to the Project Management Body Of Knowledge – PMBOK) sono state rilasciate dal Project Management Institute (PMI) a partire dagli anni Ottanta.
La sede principale del PMI si trova negli Stati Uniti, ma ha delle sedi locali in tutto il mondo (anche in Italia). E’ un’associazione che è stata costituita sul finire degli anni Sessanta da un gruppo di consulenti privati per favorire la diffusione della cultura e delle tecniche del Project Management per la gestione dei progetti complessi, soprattutto all’interno delle aziende e per la gestione di interventi pubblici di infrastrutturazione del territorio.
Molto interessante ed utile è anche il c.d. ‘Excellence Model’ della European Foundation for Quality Management (EFQM), che ha sede in Bruxelles.
[2] Progettare v. tr. [dal fr. projeter, che è dal lat. tardo proiectare «gettare avanti» (v. proiettare)] (io progètto, ecc.). – 1. Fare il progetto di qualche cosa, cioè idearla e studiare le possibilità e i modi di eseguirla: p. la costruzione di un palazzo, l’apertura di un canale, il prolungamento d’una ferrovia; p. un nuovo ospedale. 2. Con sign. più generico, ideare, avere l’intenzione di fare qualcosa: p. una gita, un viaggio; p. la fuga; anche seguito da un verbo: progettava di andarsene; sto progettando di rinunciare all’impresa.
Fonte: TRECCANI – Vocabolario online della Lingua Italiana.
[3] La pertinenza del ‘visioning’ anche rispetto alla formulazione di progetti di sviluppo locale trova ampia conferma, pertanto, anche nell’Handbook del 2009 di UNDP sulla valutazione degli impatti dei progetti di sviluppo, in cui l’intero framework metodologico per la formulazione, la gestione e la valutazione dei progetti è stabilito a partire dalla definizione di una visione di sviluppo (si veda la figura a p. 10).
A p. 13 dell’Handbook si legge: ‹‹Planning, monitoring and evaluation processes should be geared towards ensuring that results are achieved not towards ensuring that all activities and outputs get produced as planned››.
Cfr. UNDP (2009), Handbook on Planning, Monitoring and Evaluating for Development Results, New York.
L’approccio del ‘Development Programme’ delle Nazioni Unite (UNDP), quindi, correttamente pone al centro dell’attenzione problemi da risolvere e desiderata di destinatari finali (e comunità locali). In pratica, è la “visione” di cambiamento socio-economico che raccoglie il consenso delle comunità locali che deve guidare gli esperti nella formulazione dei progetti/piani di sviluppo locale. In altri termini, si devono applicare quegli approcci alla formulazione dei progetti ‘orientati ai risultati’ che hanno guadagnato crescente consenso negli ultimi trenta anni, a partire dai lavori innovativi sulla GOPP degli anni Ottanta. Pertanto, non si deve pianificare ‘per attività’, ma per ‘risultati attesi’. Mutatis mutandis vale quanto scrivevano Rich e Gumpert in relazione al business planning: ‹‹ write your business plan by looking outward to your key constituencies rather than by looking inward at what suits you best ›› (Rich, Gumpert 1985, 8).
Cfr. RICH S.R., GUMPERT D.E. (1985), ‘How to write a winning business plan’, Harvard Business Review, May-June.
[4] EUROPEAN COMMISSION-EUROPEAID (2004), Aid Delivery Methods. Volume 1 Project Cycle Management Guidelines. Integrated Approach and Logical Framework, Evaluation Unit, Brussels.
[5] Una definizione magistrale di ‘visione’ di un progetto è fornita dal manuale di UN-Habitat ed EcoPlan International (p. 11) in questi termini: ‹‹it is a snapshot of the desired future››.
UN-HABITAT, ECOPLAN INTERNATIONAL (2005), Promoting Local Economic Development through Strategic Planning. Volume 1. Quick Guide.
Gli esperti di sviluppo locale Ciciotti e Rizzi forniscono la seguente definizione di ‘visione’: ‹‹la ‘visione’ esprime il consenso degli stakeholders sul futuro economico e sociale del sistema locale›› (CICIOTTI E., RIZZI P. (2005), Politiche per lo sviluppo territoriale: teorie, strumenti, valutazione, Carocci, Roma, p. 94).
Con riferimento alle organizzazioni, una definizione di ‘visione’ molto interessante si trova nel manuale ‘Common Assessment Framework – CAF’ dell’EIPA, elaborato quale ‘modello di eccellenza’ delle le organizzazioni pubbliche europee. Il CAF (v. p. 76) descrive così la ‘vision’: «The achievable dream or aspiration of what an organisation wants to do and where it would like to be».
L’EIPA – European Institute of Public Administration – ha sede in Maastricht.
[6] Questo contributo è un ‘work in progress’ elaborato nell’ambito del progetto di ricerca del Centro Studi Funds for Reforms Lab ‘Theory of Change e valutazione di impatto dei progetti’.
Molti elementi di analisi qui proposti sono stati ripresi da: BONETTI A. (2018); Progettazione per risultati, Logic Models e Approccio di Quadro Logico, Centro Studi Funds for Reforms Lab, Policy Brief 5/2018.

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