‘Italy’s economic problems are rooted in low productivity, unfavorable demographics,
and weak governance in many parts of the country’ – Lucrezia Reichlin (Project Syndicate 30.05.2018)
Come sanno bene i 25 lettori del mio blog, nei vari post tratto con passione le politiche settoriali dell’UE e i finanziamenti “diretti” e “indiretti” (finanziamenti gestiti da Stati Membri e Regioni), ma non mi occupo delle politiche macroeconomiche e della stabilità della c.d. Eurozona.
Qui faccio una eccezione, in quanto un articolato contributo di ricerca recente della Banca di Italia (pubblicato a gennaio 2018) ha posto in luce, magistralmente, alcuni nodi strutturali dell’economia italiana che meriterebbero ben altra attenzione nello sterile dibattito politico pre- e post-elezioni. [1]
Successivamente mi è capitato di leggere – e apprezzare moltissimo – un breve, ma davvero ricco di spunti di riflessione articolo del noto economista Jean Pisani Ferry, pubblicato il 26 aprile scorso su Project Syndicate (e poi ripreso anche sul blog del noto think tank Bruegel), che trae spunto anche dal contributo della Banca di Italia. L’articolo di Pisani Ferry – “The upheavel Italy needs” – muove da alcune considerazioni sull’esito delle elezioni politiche del 4 marzo e, passando per alcune illuminanti considerazioni su alcuni trend ormai ventennali di alcune variabili cruciali per la crescita economica sostenibile di ciascun Paese, giunge alla conclusione che, ‘dopo il grande cambiamento politico (sancito dalle elezioni), l’Italia ha anche bisogno di un grande cambiamento economico (e delle politiche economiche)’.
A mio avviso ci sono due riflessioni di Pisani Ferry che danno una bella scossa allo stantio dibattito italiano sui vincoli europei di finanza pubblica e sulle riforme istituzionali ed economiche necessarie in Italia per garantire la stabilità dei conti pubblici (obiettivo supremo sempre e comunque per quasi tutti i commentatori):
• il rapporto Debito/PIL in Italia è assolutamente di dimensioni ragguardevoli, ma è appunto un rapporto e, quindi, la sua dinamica nel tempo è il combinato disposto delle dinamiche della variabile al numeratore e di quella al denominatore;
• il confronto – a livello europeo e nazionale – sugli interventi volti a garantire la stabilità dei conti pubblici, induce l’uomo della strada a pensare che la stabilizzazione dinamica del rapporto Debito/PIL si giochi quasi esclusivamente sul versante del contenimento del rapporto Deficit/PIL (con il famoso totem del vincolo del 3% al rapporto Deficit/PIL per tutti gli Stati Membri dell’UE). Pisani Ferry ricorda che negli ultimi venti anni l’Italia, contrariamente a quanto a volte affermano pubblicamente i c.d. “falchi” dei paesi nord-europei, autentici pasdaran delle politiche di austerità fiscale, è stata, fra i grandi Paesi dell’UE, quella più virtuosa sotto il profilo fiscale e, quindi, come indicato già dalla Banca di Italia, necessita ormai di un ben diverso policy mix.
Ambedue i contributi puntano l’indice in primo luogo sul “gap di produttività” dell’economia italiana. Tale gap, sin dalla prima metà degli anni Novanta, è il principale fattore che condiziona la debole crescita dell’economia italiana e, indirettamente, la possibilità di invertire la tendenza del rapporto Debito/PIL (anche prima dello shock finanziario del biennio 2007-2008 e della successiva pesantissima crisi dell’economia reale).
Gli economisti della Banca di Italia stimano che, fra il 1995 e il 2016, in Italia si sia registrata una flessione in media annua di 0,1 punti percentuali della produttività totale dei fattori, mentre nello stesso periodo Spagna, Francia e Germania registrano un aumento di questa variabile.
Negli anni 2007-2013 della grande crisi del XXI secolo la flessione della produttività totale dei fattori nel nostro Paese è dello 0,9% in media annua, quando invece per Spagna e Germania, nello stesso periodo, si registra una sostanziale costanza di questa variabile.
Fra 2013 e 2016 la variazione di questa variabile in media annua torna ad essere positiva anche in Italia, ma la variazione percentuale (+ 0,2%) è inferiore a quella registrata dalla Francia (+ 0,3%) e, soprattutto, a quella registrata da Spagna e Germania (per ambedue i Paesi si attesta su + 0,9% medio annuo).
Il rapporto della Banca di Italia enuclea numerosi fattori che incidono sul gap di produttività, ma ancora una volta l’accento è, in particolare, su due annose criticità del sistema produttivo, ampiamente trattate dagli analisti più attenti alle caratteristiche strutturali dell’economia italiana:
• la maggiore numerosità – rispetto a quanto rilevato per gli altri Paesi dell’UE – e la maggiore inefficienza delle piccolissime imprese (se è vero che l’ossatura dell’apparato produttivo europeo si fonda su un numero elevatissimo di PMI, l’Italia è il Paese in cui le microimprese con meno di 10 addetti pesano maggiormente sul sistema produttivo in termini sia di addetti, sia di valore aggiunto); [2]
• la debole propensione alla ricerca e all’innovazione delle imprese italiane. In merito, è davvero un invito alla riflessione il grafico, riportato a p. 93 del contributo della Banca di Italia, sull’andamento dal 1970 fino al 2014 della spesa per R&ST delle imprese in % del PIL. Tale grafico evidenzia come una forte flessione delle spese per la R&ST delle imprese italiane si sia registrata proprio nella prima metà degli anni Novanta, in cui prese anche avvio l’ormai ventennale fase di declino della produttività in Italia. [3]
E’ per questi motivi che sia il breve articolo di Pisani Ferry, sia l’ampio contributo della Banca di Italia meriterebbero ben altra attenzione nel dibattito politico italiano, ma anche nel corso del negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale dell’UE post 2020. Sul negoziato, sulla dimensione complessiva del budget dell’UE post 2020 e sulle condizioni di accesso ai Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE) per Stati Membri e Regioni continua ad aleggiare, infatti, la minaccia dell’introduzione di condizionalità macroeconomiche ancora più stringenti di quelle già applicate nel periodo 2014-2020.
L’introduzione di tali condizionalità – le quali, de facto, condizionerebbero l’accesso ai Fondi SIE al rispetto dei rigidi vincoli di bilancio europei – non appare solamente contraria allo spirito del Titolo del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE) sulla “coesione economica, sociale e territoriale” (artt. 174 e ss. del TFUE), ma anche ampiamente opinabile. Questo per il fatto che tutta l’enfasi dei “falchi” sui benefici effetti dell’austerità fiscale risulta assolutamente infondata. Invero, il contributo della Banca di Italia e quello di Pisani Ferry evidenziano chiaramente la necessità di intervenire su alcuni nodi strutturali dell’economia italiana in modo da sostenere una più forte dinamica del denominatore del rapporto Debito/PIL. L’enfasi dei “falchi” sulle positive ricadute del rigore fiscale, quindi, appare solamente come il portato di discutibili posizioni ideologiche.
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[1] Bugamelli M., Lotti F. (a cura di) (2018), Productivity growth in Italy: a tale of a slow motion change. Banca di Italia. Questioni di Economia e di Finanza, Occasional Papers n. 442/2018.
Si vedano anche i due recentissimi contributi:
Reichlin L. What Italy’s crisis means for Europe; ProjectSyndicate 30.05.2018
Roubini N., Rosa B., Italy’s Slow-Motion Euro Train Wreck, ProjectSyndicate 1.06.2018
[2] Oltre ai dati pubblicati sul portale dell’Eurostat (si veda Key figures on European business), si consulti: ISTAT (2017), Annuario Statistico Italiano 2016, Roma. Le microimprese italiane sono meno efficienti delle imprese più grandi (più orientate all’innovazione e anche a una maggiore apertura internazionale) e, di conseguenza, si caratterizzano parimenti per la minore redditività, un più elevato indebitamento bancario e maggiori difficoltà di accesso al credito. In merito si veda: De Mitri S., De Socio A., Finaldi Russo P, Nigro V. (2013), Le microimprese in Italia: una prima analisi delle condizioni economiche finanziarie, Banca di Italia, Questioni di Economia e di Finanza, Occasional Papers n. 162/2013. Sulla struttura del sistema produttivo italiano e sulle condizioni di competitività delle PMI si veda anche: CERVED (2017), Rapporto CERVED PMI 2017, Roma.
[3] Si veda anche: ISTAT (2017), Ricerca e Sviluppo in Italia. 2015-2017, Roma.