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Il “Green Deal europeo” quale riferimento strategico del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 e di Next Generation EU

«Una volta tuo padre buonanima ci disse che
non si può misurare il tempo in giorni come si misura il denaro in centesimi o pesos,
perché i pesos sono tutti uguali mentre ogni giorno è diverso e forse anche ogni ora»
JORGE LOUIS BORGES (tratto dal racconto ‘Juan Muraña’)

Next Generation EU (NGEU) andrebbe correttamente considerato come il piano strategico – al tempo stesso emergenziale e di medio-lungo termine – che la Commissione propone per l’intero nuovo periodo di programmazione 2021-2027. È un piano emergenziale nel senso che è la base di una mobilitazione di urgenza di risorse finanziarie che possano fronteggiare gli effetti recessivi della terribile pandemia di COVID-19, soprattutto in quei paesi europei che ne sono stati colpiti prima e più intensamente (sia in termini sanitari, sia in termini economici). [1]
Al tempo stesso fornisce un autentico “framework strategico” di medio termine (almeno fino al 2027) per le politiche pubbliche europee. [2] Esso è imperniato su tre pilastri strategici:
Europa verde (interventi direttamente riconducibili al “Green Deal europeo” e, indirettamente, agli accordi internazionali sul clima di Parigi – COP 21 – e agli “Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile” della c.d. “Agenda 2030” dell’ONU, volti a favorire una radicale transizione ecologica nel vecchio continente);
Europa digitale (interventi indirizzati a rafforzare la dotazione di autostrade telematiche e la digitalizzazione dei sistemi produttivi e sociali europei);
Europa resiliente, capace di fare tesoro delle lezioni dell’esperienza della pandemia e dei suoi effetti sui sistemi sanitari e sistemi socio-economici e di migliorare, quindi, le sue politiche pubbliche nel loro insieme. Questo al fine di rafforzare la resilienza di questi sistemi e l’orientamento all’inclusione e all’innovazione sociale delle politiche europee (i principali riferimenti per la dimensione “sociale” della nuova UE “post COVID-19” saranno il Pilastro Europeo dei diritti sociali e la nuova “agenda sociale” delineata dalla Commissione nel corso del 2020 sull’abbrivio della Comunicazione COM(2020) 14 “Un’Europa sociale forte per giuste transizioni” del 14 Gennaio 2020). [3]

L’intelaiatura strategica di NGEU è definita in primo luogo nella Comunicazione COM(2020) 456 “Il momento dell’Europa: riparare i danni e preparare il futuro per la prossima generazione” ed anche nella Comunicazione COM(2020) 442 “Il bilancio dell’UE come motore del Piano per la Ripresa Europea”, entrambe datate 27.05.2020.
In queste Comunicazioni la Commissione rimarca che la duplice transizione ecologica e digitale sarà il faro delle politiche dell’Unione nei prossimi anni e parla esplicitamente di un piano di ripresa “per un’Europa verde, digitale e resiliente”.
La Commissione sottolinea anche che il piano NGEU e, più in particolare, il suo strumento principale – il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (in Inglese “Recovery and Resilience Facility e, quindi, da non confondere con lo Strumento dell’UE per la ripresa, in Inglese “EU Recovery Instrument”) – saranno negli anni a venire i principali strumenti per sostenere i Paesi europei che sono stati colpiti più duramente, a livello sanitario ed economico, ma non potranno essere semplicemente utilizzati per il rilancio economico di breve termine.
Essi dovranno sostenere tutti gli Stati Membri in un percorso di forte rinnovamento delle politiche pubbliche. Questo per il fatto che NGEU non dovrà solo favorire la ripresa post-pandemica, ma dovrà anche segnare l’avvio di un nuovo modello di sviluppo per l’intera Europa, i cui pilastri sono stati delineati dalla Commissione sia nelle Comunicazioni richiamate sopra, sia nella “Strategia Annuale per la Crescita Sostenibile 2021” rilasciata il 17.09.2020:
• sostenibilità ambientale (“transizione verde”);
• produttività (innovazione e “transizione digitale”);
• equità (coesione economica, sociale e territoriale ed inclusione sociale);
• stabilità macroeconomica.
Questi quattro pilastri erano già stati posti al centro della “strategia annuale 2020” (e, quindi, al centro del c.d. “semestre europeo”, dal momento che la Strategia Annuale per la Crescita Sostenibile è, di fatto, il documento che lo apre), ma acquisiscono ben altra valenza il 1° Dicembre 2019, con l’insediamento della nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen e, a maggior ragione, l’11 Dicembre successivo con la presentazione, da parte della Commissione, del c.d. “Green Deal europeo” (si veda la Comunicazione COM(2019) 640), che costituisce, di fatto, l’autentico faro del programma di lavoro 2019-2024 della Commissione guidata dalla von der Leyen. [4]
Il “Green Deal europeo” pone al centro dell’azione di policy dell’UE l’obiettivo della neutralità climatica nel 2050 e altri ambiziosi obiettivi di riduzione dell’emissione di gas ad effetto serra e di promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili e di miglioramento dell’efficienza energetica.
Il “Green Deal europeo”, quantunque focalizzato su obiettivi di tutela ambientale e di contrasto dei cambiamenti climatici in atto, si può considerare il principale framework strategico delle politiche europee dei prossimi anni. Il raggiungimento dei suoi obiettivi, infatti, comporta inevitabilmente un ripensamento delle politiche pubbliche in molteplici ambiti di intervento.

Immagine ex Pixabay

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Attraverso il “Green Deal europeo”, l’UE, di fatto, recepisce più convintamente gli indirizzi dell’agenda sullo “sviluppo sostenibile” dell’ONU (i 17 “obiettivi di sviluppo sostenibile” della c.d. “Agenda 2030”) e avvia un profondo ripensamento delle sue politiche pubbliche in molteplici ambiti di intervento.
Anche se non è stato deliberatamente affermato dalle Istituzioni dell’UE, il “Green Deal” rappresenta de facto il successore della strategia “Europe 2020”, che ha rappresentato il quadro di policy di riferimento per i Fondi/programmi del Quadro Finanziario Pluriennale 2014-2020.
Il “Green Deal europeo”, come evidenzia la Figura 1 che segue, costituisce certamente il quadro strategico di riferimento per il Piano per la Ripresa Europea approvato dal Consiglio Europeo del 23.04.2020 e per il piano NGEU (e, quindi, per i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza che saranno finanziati a valere del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza). Tuttavia, alla luce della sua capacità di influenzare molteplici ambiti di policy, sarà parimenti il faro del Quadro Finanziario Pluriennale e dei Programmi Nazionali di Riforma (PNR) che gli Stati debbono annualmente presentare alle Istituzioni comunitarie nell’ambito del “semestre europeo”. [5]

Figura 1 – Il “Green deal” quale autentico faro delle politiche dell’UE nel nuovo decennio,
del QFP 2021-2027 e di NGEU

Non a caso, già nelle Comunicazioni rilasciate a fine Maggio dello scorso anno su NGEU/Strumento dell’UE per la Ripresa e sul Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, la Commissione ha ampiamente rimarcato che essi da un lato sono assolutamente ancorati al “Green Deal” (uno dei pilastri strategici, infatti, è la “transizione verde”) e, dall’altro, i processi di riforma e gli investimenti che saranno sostenuti dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza in tutti gli Stati Membri dovranno essere coerenti con l’intero “semestre europeo” e, specificamente, con le “Country Specific Recommendations” (il documento di indirizzo delle politiche pubbliche degli Stati Membri che viene rilasciato dal Consiglio al termine del “semestre europeo”).
A conferma di queste considerazioni si evidenzia che:
• nella “Strategia Annuale per la Crescita Sostenibile 2021” (si veda p. 2), la Commissione rimarca che «il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza affonda le sue radici nell’obiettivo dell’UE di conseguire una sostenibilità e una coesione competitive mediante una nuova strategia di crescita: il “Green Deal europeo”»;
• i due Consigli Europei del 17-21 Luglio 2020 e del 10-11 Dicembre 2020 hanno deciso di fissare al 30% la quota delle risorse complessive del QFP e di NGEU da investire negli obiettivi climatici fissati per il 2030 dal “Green Deal europeo” e nell’obiettivo della neutralità climatica dell’UE fissato per il 2050 (a fronte della quota del 25% proposta dalla Commissione).
Quanto sopra implica, come hanno magistralmente evidenziato Buti e Messori (2020, p. 11), che NGEU «rappresenta un punto di svolta nell’evoluzione della governance economica, in quanto segna un salto di qualità nel coordinamento delle politiche dell’Unione, affiancando alla sorveglianza ‘orizzontale’ rispetto alle politiche fiscali nazionali un coordinamento ‘verticale’ tra tali politiche e il bilancio europeo». [6]

******

[1] L’autore ringrazia il professor Massimo Bagarani (Università Telematica Guglielmo Marconi) per aver letto e commentato una precedente versione del post. Le responsabilità di errori ed opinioni espresse, ovviamente, sono da attribuire solo all’autore.
[2] Come argomentato in vari post, NGEU è il piano strategico direttamente funzionale, al pari del QFP 2021-2027, all’implementazione del “Piano per la Ripresa Europea” che era stato sottoscritto dai Capi di Stato e di Governo dell’UE nel corso del Consiglio Europeo del 23.04.2020 tenuto in video-conferenza. Si veda la Figura 2.

Figura 2 – Il Quadro Finanziario Pluriennale e Next Generation EU
quali strumenti gemelli per l’attuazione del Piano per la Ripresa Europea

Immagine ex Pixabay

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NGEU ha una valenza politica straordinaria. Questo per molteplici motivi che non si possono trattare in contributi sintetici da postare su un blog. Va anche aggiunto, tuttavia, che la duplice natura di strumento di breve termine e di medio-lungo termine di NGEU può destare alcune perplessità, che si possono riassumere come segue:
• la pandemia di COVID-19 è assolutamente uno shock esogeno che, anche per effetto dei provvedimenti di lockdown resisi necessari per contenere la diffusione del virus, ha avuto – e sta ancora avendo – immediate ripercussioni pesantissime su vari settori economici. Pertanto, da un lato è certamente apprezzabile lo sforzo, prima della Commissione e poi dei Capi di Stato e di Governo degli Stati Membri e del Parlamento Europeo, di valorizzare NGEU non solo come strumento di risposta immediata alla recessione, ma anche come veicolo di un cambiamento dell’impronta delle politiche europee. D’altro canto, tuttavia, è lecito chiedersi se non vi sia stato un “overshooting” nelle buone intenzioni di definire un quadro di politica economica “future proof”. E’ certamente condivisibile che transizione verde e transizione digitale diventino il faro delle politiche europee dei prossimi anni, ma nella fase attuale l’esigenza immediata è quello di contenere le conseguenze più estreme sull’economia della pandemia (chiusure generalizzate di esercizi commerciali e anche di PMI, forte emorragia di posti di lavoro e rischi di pesanti ripercussioni anche per i liberi professionisti, con conseguenze sociali drammatiche). Mutatis mutandis, si rischia che si avveri la cupa profezia di Keynes, che scriveva che “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Si rischia, infatti, che fra qualche anno si avrà un’economia più verde e più “smart”, ma si potrebbe anche dover fare i conti con dei drammatici fenomeni di desertificazione produttiva e delle ancor più drammatiche conseguenze su diffusione della povertà e impoverimento della vita sociale degli individui;
• la centralità della transizione verde nell’ambito di NGEU ha una valenza politica che, dopo l’approvazione del “Green Deal europeo”, è di gran lunga ben superiore che non in precedenza. Al tempo stesso, va ricordato che già la strategia “Europe 2020” si caratterizzava per un notevole “greening” delle politiche europee. Questa considerazione sul fatto che certe priorità di policy si pongano comunque in continuità con gli orientamenti del decennio appena concluso e con le priorità della Commissione Juncker vale a maggior ragione per la transizione digitale.
Sono debitore di queste riflessioni ad uno utilissimo scambio di pareri con il professor Bagarani, uno dei massimi esperti italiani di politica regionale e politica economica europea.
[3] Si veda il post del 25.11.2020 “FSE Plus e nuove proposte, avanzate dalla Commissione nel 2020, per le politiche dell’UE per l’istruzione, l’occupazione e l’inclusione sociale”.
[4] Il “Green Deal europeo” – presentato nella Comunicazione COM(2019) 640 del 11 Dicembre 2019 – si può considerare il quadro di riferimento delle politiche pubbliche dell’UE per il nuovo decennio (certamente lo sarà per il mandato quinquennale della Commissione von der Leyen insediatasi il 1° Dicembre 2019). Il raggiungimento dei suoi obiettivi, infatti, comporta un profondo ripensamento delle politiche pubbliche in molteplici ambiti di intervento (si pensi alla politica industriale e al dibattito sulla c.d. “economia circolare”, al rafforzamento della tutela della biodiversità e al varo della nuova strategia “farm to fork” nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC), o ancora alla nuova “skills agenda” lanciata dalla Commissione il 1° Luglio 2020 per far fronte alla richiesta di nuove figure professionali, destinata a crescere grazie alla duplice transizione verde e digitale).

Il “Green Deal” pone al centro dell’azione di policy dell’UE l’obiettivo della neutralità climatica nel 2050. A latere vengono anche fissati i seguenti obiettivi (da raggiungere nel 2030), rafforzati, rispetto alle proposte iniziali, dagli accordi raggiunti nel corso del più recente Consiglio Europeo del 10 e 11 Dicembre 2020:
• una riduzione netta dell’emissione di gas ad effetto serra (in tutti gli Stati Membri) pari almeno al 55% rispetto ai livelli del 1990;
• la produzione di almeno il 32% dell’energia da fonti rinnovabili;
• un miglioramento dell’efficienza energetica pari almeno al 32,5%.
Il Consiglio Europeo del 10-11 Dicembre 2020 ha parimenti richiesto che tali obiettivi siano inseriti nella “legge sul clima” e che questa venga approvata al più presto (sulla “legge sul clima” si veda la Comunicazione della Commissione COM(2020) 80 del 4 Marzo 2020).
[5] Il “semestre europeo” è il processo di controllo multilaterale delle politiche degli Stati Membri e delle condizioni di stabilità delle loro finanze pubbliche. Esso nella sua forma attuale è stato varato nel 2010, ma di fatto la sua definizione risale alla seconda metà degli anni Novanta, quando in vista dell’introduzione dell’Euro, vennero decisamente rafforzati i meccanismi di coordinamento delle politiche degli Stati Membri. Non a caso, i riferimenti giuridici del “semestre” continuano ad essere:
• gli articoli 120 e 121 del Trattato sul Funzionamento dell’UE;
• il Reg. (CE) 1997/1466.
Il “semestre europeo” è finalizzato, in primo luogo, a migliorare il coordinamento delle politiche economiche e a garantire un ambiente macroeconomico stabile. Le innovazioni del 2010 sono particolarmente rilevanti, in quanto trasformano quello che era un monitoraggio a posteriori delle politiche nazionali in un autentico controllo ex ante.
Come si legge in diversi documenti ufficiali delle Istituzioni dell’UE «il semestre europeo fornisce il quadro per il costante coordinamento delle politiche economiche e dell’occupazione nell’Unione». Si veda il dossier del Servizio Studi del Senato “Il Semestre europeo in Senato: procedure e prassi” (2019).
[6] Cfr. BUTI M., MESSORI M. (2020), Next Generation EU: una guida ragionata; LUISS SEP, Policy Brief 29/2020.

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