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Il paradigma “open government” in Italia. Alcune considerazioni sulla rilevazione dell’ISTAT sull’ICT nella Pubblica Amministrazione Locale

“Data are the only scarce resource
in the economic analysis”
Robert Lucas jr. (Economist)

L’approccio “open government” alla gestione delle politiche pubbliche è da alcuni anni il paradigma di riferimento sia nel dibattito accademico, sia nel percorso di incessante riforma di processi decisionali e prassi amministrative della Pubblica Amministrazione (PA). Tale paradigma emerge nell’ambito di un più ampio ripensamento del modus operandi della PA riassunto dal seguente grafico. [1]

Change Government Basics_Jan 2015

In estrema sintesi, alla PA tale paradigma chiede sempre di più di essere fortemente orientata a:
• coinvolgere i cittadini nei processi decisionali, combinando modelli di democrazia partecipativa delineati nelle scienze politiche e modelli di open innovation che sono ormai la frontiera del pensiero manageriale;
• amministrare “con i cittadini”, da non considerare più come meri beneficiari di servizi pubblici, ma autentici partner “attivi” per la soluzione di problemi collettivi;
• rafforzare sempre di più trasparenza e rendicontabilità sociale delle politiche e delle azioni amministrative.

Trasparenza

Immagine ex Pixabay

Al paradigma “open government”, pertanto, si affianca sempre di più un paradigma emergente nella gestione delle informazioni gestite dalla PA, che è quello degli “open data” [2]. I dati raccolti dalla PA, secondo tale paradigma, devono essere resi disponibili liberamente ai cittadini, per aumentare trasparenza e accountability delle politiche pubbliche e per facilitare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, ma anche per il fatto che i dati pubblici possono essere riutilizzati per creare nuovi servizi in vari settori e aprire nuovi mercati. Il rapporto della Commissione Europea Creating Value through Open Data – disponibile sullo European Data Portal prevede che il volume di affari legato a servizi innovativi basati sugli “open data” nel periodo 2016 – 2020 aumenti del 36,9%, attestandosi su 75,7 miliardi di Euro nel 2020. Il rapporto stima una crescita cumulata complessiva (diretta e indiretta) del volume di affari in questo periodo che si colloca fra 1.138 e 1.229 Miliardi di Euro. Inoltre, stima un impatto occupazionale diretto di 25.000 nuovi posti di lavoro. [3]
In questa luce, appare evidente quanto il dibattito italiano sulla necessità di riformare la PA per renderla più efficiente coglie certamente una necessità – quella di superare modelli organizzativi e pratiche amministrative obsolete – ma trascura ampiamente quanto l’intreccio tra applicazione di architetture informatiche sempre più complesse, implementazione di servizi digitali sempre più innovativi e ammodernamento della gestione della “cosa pubblica” renda di fatto la PA un formidabile motore potenziale di innovazione. Anche alla luce delle potenziali applicazioni commerciali del riuso degli “open data” di fonte pubblica, va ampiamente rivista l’immagine negativa di una PA sempre e comunque fardello per l’economia spesso usata nella pubblicistica, come magistralmente spiegato dall’economista Mariana Mazzucato in “Lo stato innovatore” (2014).

Certamente, la situazione della PA italiana, in troppi casi deficitaria di dotazioni all’avanguardia di tecnologie informatiche e di adeguate risorse umane nello staff, contribuisce ad alimentare l’immagine di una PA che inibisce gli “animal spirits” degli imprenditori e carica i cittadini tutti di oneri amministrativi eccessivi.
Questa situazione è sfortunatamente confermata dal rapporto dell’ISTAT “Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella Pubblica Amministrazione Locale”, rilasciato il 3 gennaio us.

In relazione alle considerazioni fatte sopra, mi pare ci siano tre risultati di ricerca di questo rapporto – basato su dati aggiornati al 2015 – che meritano una particolare attenzione:

1. la dotazione ICT della Pubblica Amministrazione Locale (PAL) è in aumento – anche in termini qualitativi – rispetto alla rilevazione del 2012, specialmente presso i Comuni più grandi e popolosi.
Nel complesso, tuttavia, emergono diverse criticità. In particolare, si evidenzia che:

  • solo il 16,8% delle PAL possono disporre di uffici di informatica autonomi;
  • è ancora modesta l’attenzione delle PAL per l’importanza di avanzati strumenti per la sicurezza informatica;
  • è troppo ristretta la quota di personale interno che si occupa di ICT e servizi gestiti via web (solo l’1,4% del totale);
  • risultano molto carenti sia l’informatizzazione delle relazioni con i cittadini, sia il ricorso a dispositivi come il Citizen Relationship Management per l’archiviazione, l’aggiornamento e l’analisi di dati inerenti l’utenza dei servizi.

2. L’approccio “open data” è seguito dal 29% delle varie tipologie di PAL. Questa quota sale oltre il 90% nel caso delle Regioni, mentre si attesta sul 28,7% nel caso dei Comuni. Le aree amministrative rispetto alle quali è maggiore la propensione a rendere disponibili i dati pubblici sono quelle più direttamente riconducibili alla forte richiesta diffusa di accountability delle politiche pubbliche, ossia “Economia, finanza e tributi” (67,4% delle PAL) e “Government e Settore Pubblico” (61,9%), mentre in fondo a questa graduatoria compaiono i settori “Sanità”, “Energia” e “Giustizia e sicurezza”.

3. I vincoli finanziari sono ampiamente considerati i maggiori fattori ostativi a un più ampio ricorso ad apparati e servizi basati sull’ICT nella PA. Le tre principali barriere all’uso dell’ICT sono individuate, nell’ordine, nella mancanza di risorse finanziarie (67,5% delle PAL), nella carenza di personale con adeguati skills per valorizzare ICT e relativi servizi (60,7%) e nella penuria di adeguata formazione in materia di ICT (50,2%).

In relazione a quest’ultimo aspetto vorrei evidenziare che la conclusione dell’esperta di ForumPA Valentina Piersanti sulla necessità di valorizzare PON Governance e PON Città Metropolitane per rafforzare l’offerta di servizi digitali della PA italiana e migliorarne l’operato è condivisibile, ma limitata (si veda l’articolo del 19 gennaio scorso “Le 12 mosse di Piacentini viste con le lenti dei dati ISTAT: quant’è lunga la strada per l’Italia digitale?”).
E’ condivisibile, in quanto, come ho cercato di evidenziare in diversi post pubblicati nel 2016, i due PON citati sopra sono un esempio concreto di come i Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE) siano un catalizzatore importante, se ben usati, delle riforme (con riferimento sia alla “riforma Delrio”, sia alla “riforma Madia”). Al tempo stesso, qualora le PAL provassero a dotarsi di un “approccio strategico” all’accesso ai fondi europei, emergerebbe chiaramente quanto il novero di potenziali strumenti di finanziamento pubblici europei e nazionali sia davvero alquanto articolato e vi siano margini per valorizzare in modo sinergico altri strumenti di finanziamento complementari al PON Governance e al PON Città Metropolitane. Pertanto, i vincoli del “patto di stabilità” costituiscono in generale un fattore certamente limitante per la possibilità delle PAL di potenziare dotazioni e servizi offerti ai cittadini (digitali e non), ma in questa fase, più che mai, si chiede a sindaci ed altri decisori pubblici locali di diventare dei veri “manager”, abili nell’attivare più linee di finanziamento pubbliche. [4]

******

[1] I contributi che rendono conto di questa trasformazione di modus operandi della PA e canoni fondamentali della “good governance” sono svariati. Fra i tanti segnalo:
BASON C. (2011), Leading public sector innovation: co-creating for a better society. Policy Press Bristol
CHRISTIANSEN J., BUNT L. (2012), Innovation in Policy: Allowing for Creativity, Social Complexity and Uncertainty in Public Governance, MINDLAB – NESTA, Copenaghen, London
DUNLEAVY P. ET AL. (2005), ‘New Public Management is dead: Long Live Digital Era Governance’; Journal of Public Administration Research and Theory, September.
EGGERS W.D., O’LEARY J. (2009), If we can put a man on the moon: getting big things done in government, Harvard University Press, Cambridge (MA)
EUROPEAN COMMISSION (2012), Trends and Challenges in Public Sector Innovation in Europe, Brussels
EUROPEAN COMMISSION (2013a), A vison for public services, Public Services Unit in DG CONNECT, Brussels
EUROPEAN COMMISSION (2013b), Powering European Public Sector Innovation: towards A New Architecture – Report of the Expert Group on Public Sector Innovation, Luxembourg
EUROPEAN COMMISSION (2014), The Urban Dimension of EU policies – Key Features of an EU Urban Agenda’, COM(2014) 490 final, Brussels 18.07.2014
HUERTA MELCHOR O. (2008), ‘Managing Change in OECD Governments: An Introductory Framework’, OECDWorking Papers on Public Governance, No. 12, OECD Publishing
JOHAR I., ADDARII F. (2014), ‘Governing the 21st Century: Reinventing Governance for a Successful Europe’ in SGARAGLI F., eds., Enabling Social Innovation Ecosystems for Community-Led Territorial Development, Quaderno n. 49, Fondazione Giacomo Brodolini, Rome
MULGAN G. (2014), Innovation in the Public Sector. How can public organizations better create, improve and adapt? NESTA, London
MULGAN G. (2016), New social contracts. How innovation in welfare will address changing needs and make use of new tools? NESTA, London
STAME N. (2012), Fare più e meglio con meno, e in modo democratico, “Rassegna Italiana di Valutazione”, a. XV, n. 53/54
[2] Va ricordato che “open data” è una delle azioni-chiave della “Strategia per la crescita digitale 2014-2020” dell’AGID (un autentico piano pluriennale per la digitalizzazione del Paese – e, in particolare, della PA – approvato dal Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2015). Tale strategia è articolata in tre pilastri:
• Azioni infrastrutturali trasversali,
• Piattaforme abilitanti,
• Programmi di accelerazione.
Nell’ambito del pilastro “piattaforme abilitanti” vengono indicate 10 azioni-chiave, fra cui appunto “open data”.
[3] Cfr. European Commission, Creating value through Open Data. A study on the impact of re-use of Public Sector Data;
European Commission, Open Data Maturity in Europe 2016.

Per una breve rassegna di alcuni casi di successo di riuso di “open data” pubblici per la creazione di nuovi servizi innovativi si veda il breve articolo di Aura Bertoni e Alfonso GambardellaTutti pazzi per i dati. Ma servono investimenti”, pubblicato su LaVoce.info il 4 novembre 2016.

[4] Avrò il piacere di approfondire in parte tali temi nel corso del Seminario del CEIDAFinanziamenti dell’UE e strumenti di ‘impact investing’ per le Smart Cities” (Roma, 21 e 22 marzo p.v.)

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