«Non basta un visconte completo
perché diventi completo
tutto il mondo»Italo Calvino – Il visconte dimezzato (1952)
Il progetto “Metropoli strategiche”, come ho evidenziato nel post del 10 maggio “Il progetto Metropoli strategiche, le aree rurali e i piccoli Comuni”, riconferma una visione discutibile delle priorità politiche e delle riforme in Italia, per cui la priorità assoluta è quella di potenziare le Città Metropolitane, trascurando in modo palese la necessità di una visione più bilanciata dei profili di riforma costituzionale dei sistemi di governo locali, dei rapporti socio-economici fra le Città Metropolitane e le altre aree urbane delle regioni e, non ultimo, dei rapporti fra città e aree rurali. [1]
A proposito di quest’ultimo aspetto, vorrei richiamare alcuni elementi di riflessione che avevo già in parte trattato nel post “I nuovi GAL del Lazio oltre il 2020. Due suggerimenti per un percorso di istituzionalizzazione” del 5 novembre 2016.
L’enfasi sugli interventi di sostegno alle Città Metropolitane in una regione quale il Lazio, in cui vi è da sempre un ampio divario territoriale fra Roma Capitale e gli altri territori, rischia di creare una autentica frattura – nei livelli di sviluppo economico e anche in termini di rappresentanza politica – fra Roma Capitale, la relativa Città Metropolitana e gli altri territori (specialmente le aree rurali marginali e le aree pedemontane e montane della dorsale appenninica). [2]
L’Amministrazione Regionale a me pare che continui a trascurare questo aspetto, come dimostra la mancanza di chiarezza, ad oggi, su:
- quelli che saranno gli interventi a favore delle città medie che, com’è noto, l’Accordo di Partenariato prevede vengano implementati dalle Regioni attraverso i POR FESR;
- l’attuazione nel Lazio della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI). [3]
A fronte della ritardata attuazione nel Lazio della “strategia per le aree interne”, prevista dall’Accordo di Partenariato sui Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE) e del debole dibattito sull’attuazione della c.d. “agenda urbana” nelle città piccole e medie della regione, si pone un problema di rappresentanza degli interessi politici ed economici delle aree interne e/o marginali, che i Comuni, anche a causa delle sempre più limitate disponibilità di risorse finanziarie, faticano a svolgere adeguatamente.
Inoltre, sappiamo molto bene come nella nostra regione, più che in altre, vecchi e nuovi “campanilismi” hanno sempre azzoppato e rese poco efficaci le forme di governo intermedie di secondo livello, quali le Comunità Montane e le Unioni dei Comuni.
A mio modesto avviso, queste criticità, come indicato in più post nel 2016 e, per altri versi, in quello del 20 aprile scorso – “I nuovi GAL del Lazio: cruciale che si ritaglino un ruolo di primo piano nel negoziato sulla PAC post 2020” – creano una rilevante finestra di opportunità per i nuovi GAL per accreditarsi come una sorta di ente intermedio di secondo livello “già costituito” che può gestire, su delega dei Comuni aderenti alla base associativa dei GAL, delle politiche strutturali di sviluppo per le aree geografiche interessate. Questo per almeno due motivi:
- i GAL, proprio in virtù di quanto previsto dai regolamenti comunitari per il loro mandato, gestiscono degli interventi di sviluppo strutturale – quelli inerenti le misure di sviluppo rurale della PAC – su aree vaste più o meno omogenee;
- i GAL hanno già a disposizione una “pacchetto finanziario” costituito dalla dotazione di risorse pubbliche del PSR regionale a loro riconosciuta dall’Amministrazione regionale con l’approvazione dei Piani di Sviluppo Locale (PSL).
Dal momento che i Comuni che hanno aderito alla base associativa hanno già operato, più o meno implicitamente, una delega di funzioni ai GAL, si tratterebbe per i Sindaci solo di continuare a delegare, in modo lungimirante, delle funzioni aggiuntive, fra cui spiccano:
- la partecipazione al negoziato sulla revisione di medio termine della PAC 2014-2020 e sulla struttura logica e sugli obiettivi strategici della PAC post 2020 (si veda il post del 20 aprile scorso);
- la partecipazione a dei tavoli di lavoro nazionali e/o regionali sull’attuazione della SNAI e, più in generale, delle politiche di sviluppo territoriale;
- una attività costante di lobbying presso il Governo centrale (e la stessa Regione), anche in relazione all’attuazione in Italia del “patto di Amsterdam” sull’agenda urbana europea, dal momento che questa, fortunatamente, ha ben presente l’importanza di una migliore relazione fra città e aree rurali;
- la ricerca di fondi pubblici (europei e non) complementari a quelli delle Sottomisure della Misura 7 “Servizi di base e rinnovamento dei villaggi rurali” del PSR Lazio e della Sottomisura/operazione 16.9.1 “Diversificazione agricola in attività sanitarie, di integrazione sociale, agricoltura per comunità e/o educazione ambientale/alimentare”. [4]
A tale riguardo, chiudo l’articolo segnalando che sarebbe molto importante che i GAL affianchino le Amministrazioni Comunali nella valorizzazione delle risorse del PON Governance e Capacità Istituzionale, segnatamente di quelle dell’Asse 3 “Rafforzamento della governance multi-livello nei programmi di investimento pubblico” di questo PON, che è quello più specificamente tarato su Enti Locali e obiettivi di miglioramento delle politiche di sviluppo territoriale.
Ma, come rimarcato nel post del 10 maggio scorso, anche le risorse dell’Asse 3 del PON GOV, in linea di principio a disposizione di tutti gli Enti Locali, vengono riservate in via prioritaria alle Città Metropolitane, come dimostra il progetto “Metropoli strategiche”. [5]
Calvino ne “Il visconte dimezzato” scriveva che «non basta un visconte completo perché diventi completo tutto il mondo». Mutatis mutandis, si può dire che non basta una Città Metropolitana di Roma ben funzionante e con una struttura economica competitiva perché diventi florida l’intera economia regionale.
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[1] Sotto il profilo istituzionale, peraltro, si pongono due problemi non di poco conto:
- non si può continuare a rafforzare profilo istituzionale e capacità amministrative delle Città Metropolitane e, al tempo stesso, continuare a perpetrare, specialmente dopo la consultazione referendaria del 4 dicembre 2016, la progressiva abolizione delle Province, senza considerare che al di fuori delle Città Metropolitane, laddove venissero effettivamente abolite le Province, vi sarebbe un problema di governo di aree vaste da affrontare, in modo da garantire una gestione ottimale di funzioni pubbliche;
- la rappresentanza politica dei cittadini è un elemento fondante dei sistemi di democrazia rappresentativa e, quindi, sarebbe opportuno considerare anche i profili di costituzionalità di interventi di sostegno così sbilanciati a favore di Città Metropolitane (e, più in generale, delle città più grandi).
[2] Nel Lazio, infatti, a seguito della “Riforma Delrio”, vi è in primo luogo il rischio di una ulteriore frattura economica fra la Città Metropolitana di Roma e le città piccole e medie (specialmente quelle delle aree già marginali e della dorsale appenninica). Inoltre, mentre la Capitale potrà contare sui finanziamenti certi del PON Città Metropolitane e potrà più facilmente accedere ad altri finanziamenti europei a sostegno della c.d. “agenda urbana”, le città medie e gli altri poli urbani regionali (in primo luogo capoluoghi di provincia e di regione), ad oggi non hanno affatto chiaro se, quando e in che termini potranno contare sui finanziamenti dedicati della declinazione regionale dell’agenda urbana nazionale. Per le città piccole e medie, infatti, lo stesso Accordo di Partenariato prevede che debbano intervere le Regioni attraverso i POR FESR. Ad oggi non si hanno indicazioni di policy e/o bandi che vanno in questa direzione e, quindi, inter alia, non si sa se e come verrà replicata l’esperienza di PLUS Lazio. Il Programma Piano Locale Urbano di Sviluppo (PLUS), che è stato attuato nell’ambito del POR FESR 2007-2013 dopo la sua riprogrammazione di medio termine.
[3] Sia nel Lazio, sia a livello nazionale, peraltro, si trascura ampiamente l’importanza di una più attenta riflessione sulle relazioni fra città e aree rurali, che ponga al centro almeno due questioni:
- il contenimento dello sviluppo di aree peri-urbane pianificate male, che sottraggono solo terre coltivabili a un uso economicamente e socialmente più lungimirante e non dotate di sufficienti servizi di base per i residenti;
- il contenimento dell’uso del suolo, per cui l’espansione delle grandi città va ripensata, anche per non continuare a ridurre le aree coltivabili destinate alla produzione agricola e all’allevamento.
A tale riguardo, va ricordato che il Consiglio informale dei Ministri dei Paesi dell’UE responsabili per le questioni regionali e urbane sulla c.d. “agenda urbana europea” (tenutosi ad Amsterdam il 30 maggio 2016) ha stabilito, con la ratifica del “patto di Amsterdam”, che l’agenda urbana europea dovrà essere portata avanti sulla base di 12 Partenariati che si occuperanno di altrettante aree tematiche prioritarie per lo sviluppo delle città, ossia: 1) integrazione dei migranti e dei rifugiati, 2) qualità dell’aria, 3) povertà urbana, 4) alloggi, 5) economia circolare, 6) posti di lavoro e competenze professionali nell’economia locale, 7) adattamento ai cambiamenti climatici, 8) transizione energetica, 9) uso sostenibile del territorio e soluzioni fondate sulla natura, 10) mobilità urbana, 11) transizione digitale, 12) appalti pubblici innovativi e responsabili.
Come si può osservare, il “patto di Amsterdam”, pur dettando le linee di una autentica politica comune per le “aree urbane”, ha ben presente l’importanza di un equilibrato rapporto fra queste e le aree rurali e lo colloca nell’area tematica “uso sostenibile del territorio e soluzioni fondate sulla natura”.
[4] Per una presentazione più ampia del PON Città Metropolitane, si veda: Bonetti A., Politiche pubbliche e finanziamenti per le smart cities, Factsheet N. 1/2017, Centro Studi Funds for Reforms Lab, aprile 2017
Per una presentazione più ampia del PON Governance e Capacità istituzionale, si veda: Bonetti A., Politiche pubbliche e finanziamenti per la PA digitale, Policy Brief N. 1/2017, Centro Studi Funds for Reforms Lab, aprile 2017
Avrò il piacere di approfondire in parte tali aspetti nel corso del Seminario del CEIDA “La programmazione dei fondi europei nel Lazio: le opportunità per gli Enti locali” (Roma, 8 e 9 giugno p.v.).
[5] Le 5 Azioni dell’Asse 3 del PON GOV sono:
3.1.1 – Realizzazione di azioni orizzontali per tutta la pubblica amministrazione funzionali al presidio ed la maggiore efficienza del processo di decisione della governance multilivello dei programmi di investimento pubblico, al rafforzamento della filiera di cooperazione tecnica anche a partire dai “Piani di Rafforzamento Amministrativo”.
3.1.2 – Miglioramento, diffusione e applicazione di metodi di valutazione appropriati (ex-ante, in itinere ed ex-post) e rafforzamento delle competenze e delle capacità del Sistema Nazionale di Valutazione e dei Nuclei di Valutazione per la realizzazione di valutazioni e ricerche valutative e/o supporto alle valutazioni effettuate da altri soggetti.
3.1.3 – Attuazione del Codice di condotta europeo sul partenariato.
3.1.4 – Rafforzamento e miglioramento della qualità delle informazioni statistiche con elevato grado di disaggregazione territoriale e di dati di dettaglio collegati ai singoli Programmi, elaborati sulla base di comuni standard di qualità (azione collegata alla condizionalità ex ante “Sistemi Statistici”).
3.1.5 – Interventi mirati di accompagnamento del processo di riforma degli Enti locali con riferimento all’attuazione delle politiche sostenute dal FESR e in chiave complementare agli interventi previsti in Asse 1 (quest’ultima Azione finanzia il progetto “Metropoli strategiche”).