La formulazione dei progetti: approccio di quadro logico e serendipity
‘Encumbered forever by desire and ambition
There’s a hunger still unsatisfied
Our weary eyes still stray to the horizon
Though down this road we’ve been so many times’Pink Floyd – High Hopes
(The Division Bell, 1994, Track # 11)
La formulazione dei progetti: approccio di quadro logico e analisi preliminare dei rischi
I professionisti che si occupano di progettazione per lo sviluppo, “oppressi per sempre da desiderio e ambizione” – per citare la bellissima canzone dei Pink Floyd – continuano a ricercare modalità sempre più sofisticate di formulare i progetti.
E’ per questo che viene adottato l’approccio di quadro logico come approccio metodologico cardine nella definizione dei progetti (si veda anche il mio post “Sviluppo locale: come usare meglio ciclo del progetto e quadro logico” del 15 gennaio scorso).
La matrice di quadro logico, che fornisce un quadro di sintesi del progetto, è uno strumento di pianificazione strategica ripreso dalla ricerca operativa, ampiamente usato da agenzie delle Nazioni Unite, Commissione Europea, Organizzazioni Non Governative e agenzie di cooperazione dei paesi maggiormente industrializzati, come dimostra la famigerata “The Rosetta Stone of Logical Frameworks”.
Per questo motivo, inoltre, dalla seconda metà degli anni Novanta si è cercato di perfezionare ulteriormente l’impostazione dei “logic models” e si è adottato l’approccio Results-Based Management che richiede:
- una maggiore focalizzazione su problemi e aspettative dei beneficiari finali dei progetti;
- una formulazione dei progetti informata ai “logic models”, ma che prevede che la “catena dei risultati” venga percorsa a ritroso partendo da risultati e impatti attesi (si veda il documento “Logic Models, Logical Framework Approach e Project Cycle Management”, disponibile su questo sito).
Ma c’è una fame – una aspettativa – ancora non soddisfatta. Ed è quella di migliorare sempre di più anche la gestione dei rischi (riportati nell’ultima colonna della matrice di quadro logico), laddove si dovessero concretizzare in sede attuativa, sebbene la questione della “gestione dei rischi” sia “una strada già percorsa così tante volte”.
E’ per questo che, in genere, alla formulazione del Quadro Logico del progetto, si affianca quella di un autentico “piano dei rischi”. Esso costituisce una sorta di piano operativo “di riserva” nel caso si verifichino molteplici condizioni esterne negative.
L’attuazione dei progetti: il valore aggiunto delle criticità non previste e la magia della serendipity
L’analisi preliminare dei possibili rischi, la corretta quantificazione del loro possibile impatto sul progetto e del loro grado di probabilità e l’identificazione di opportune azioni di mitigazione del rischio e/o azioni alternative a quelle inizialmente indicate sono certamente steps ineludibili di una progettazione professionale. Questo specialmente laddove un progetto interessi ambiti di intervento ad alto rischio tecnologico (la realizzazione, ad esempio, di “campi eolici” estesi o di una diga) o aree caratterizzate da forti rischi ambientali (aree, ad esempio, interessate da uragani) e, di conseguenza, possano addirittura emergere rischi che mettano a repentaglio la vita dei professionisti impegnati nel progetto.
Al tempo stesso, bisogna considerare con umiltà e pragmatismo che qualsiasi progetto, anche se elaborato con prudenza e in modo professionale, non sarà ma scevro di imperfezioni e/o di criticità attuative causate dal verificarsi di condizioni esterne che non erano state adeguatamente ponderate all’inizio. Inoltre, non va mai trascurata l’esistenza di quelli che in statistica vengono definiti tail risks (ossia i rischi altamente improbabili che si collocano nelle “code” delle distribuzioni di frequenza degli eventi), rischi che Nassim Taleb, con il suo fortunatissimo saggio del 2008, ha reso famosi con il nome “cigni neri”.
In primo luogo, quindi, un progetto di sviluppo socio-economico va formulato con professionalità e cura, ma non andrebbe mai formulato secondo l’approccio “blueprint”, intendendosi per blueprint quel ‹‹procedimento grafico usato per la riproduzione su carta sensibilizzata con sostanze chimiche. Sviluppando in acqua, i tratti appaiono bianchi su sfondo azzurro, di qui il riferimento all’azzurro, in italiano come in inglese›› (Rossi, 2004, p. 19, nota 1).
I progetti di sviluppo socio-economico non dovrebbero mai essere formulati quasi fossero ‹‹progetti completi in ogni dettaglio e per i quali si richiede una esecuzione fedele, tipica di grandi infrastrutture fisiche›› Massimo Rossi (2004, p. 19).
Si deve avere sempre l’umiltà di formulare il progetto, accettando che questo sarà condizionato da eventi imprevisti e che, anche laddove questo non accada, sovente i risultati finali possono risultare non pienamente soddisfacenti.
In secondo luogo va ricordato che il verificarsi di condizioni esterne sfavorevoli può certamente impattare negativamente sul progetto, ma secondo alcuni autori, può anche, in molti casi, generare un “processo di apprendimento” in itinere che, al termine del progetto, genera degli effetti positivi imprevisti finanche superiori a quelli negativi.
Già sul finire degli anni Sessanta, Albert Hirschman, uno dei massimi pensatori del Novecento, in un contributo critico sui progetti attuati dalla Banca Mondiale nel Mezzogiorno di Italia nel secondo dopoguerra (prima della istituzione della Cassa del Mezzogiorno) e nei Paesi in Via di Sviluppo, rimarcava con lucidità questo aspetto.
Egli evidenziava che ‹‹1. Se i pianificatori del progetto (e ciò vale anche per i funzionari della Banca Mondiale impegnati nell’operazione di finanziamento) avessero avuto la possibilità di conoscere in anticipo le difficoltà e i problemi nei quali il progetto era destinato ad incorrere, non vi avrebbero mai probabilmente messo mano, in quanto sarebbe prevalsa una valutazione pessimistica sulle capacità del paese di superare queste difficoltà, mettendo in gioco risorse politiche, amministrative o tecniche sino allora inesistenti; 2. In alcuni casi, se non tutti, i casi citati, la conoscenza anticipata di queste difficoltà sarebbe stata negativa, dal momento che le difficoltà intervenute e la conseguente ricerca di soluzioni ha messo in moto un meccanismo di fattori che non solo hanno ‘salvato’ il progetto, ma gli hanno conferito un’utilità del tutto particolare›› (Hirschman 1968, trad. it. 1975, p. 24).
Considerazioni simili vengono avanzate da Massimo Rossi nel capitolo 7 del suo manuale, tutto costruito sull’idea di fondo che ‹‹ progettare dovrebbe essere, in primo luogo, un esercizio di modestia, o meglio, di mitezza ›› (Rossi, 2004, p. 46) e sul grande valore aggiunto per ogni progetto della “serendipity” (intendendosi con questo termine elementi di analisi, idee nuove e soluzioni innovative che possono emergere solo al momento della concreta implementazione di un progetto di sviluppo) [1].
In sintesi, oltre ad approcciare la formulazione dei progetti come “un esercizio di modestia”, si dovrebbe anche acquisire una maggiore consapevolezza, riprendendo i suggerimenti di Hirschman, del fatto che le difficoltà che possono emergere in corso d’opera “e la conseguente ricerca di soluzioni” possono conferire ai progetti “un’utilità del tutto particolare”.
Riferimenti bibliografici
BONETTI A. (2014), Logic Models, Logical Framework Approach e Project Cycle Management, disponibile nella sezione Open Library di questo sito
HIRSCHMAN A. O. (1975), I progetti di sviluppo. Un’analisi critica di progetti realizzati nel Meridione e in Paesi del Terzo Mondo, F Angeli, Milano
ROSSI M. (2004), I progetti di sviluppo. Metodologie ed esperienze di progettazione partecipativa per obiettivi, F. Angeli, Milano
TALEB N. (2008), Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore, Roma
[1] Massimo Rossi, per spiegare il concetto di serendipity ricorda che ‹‹il termine trae origine da un romanzo di Horace Walpole del 1754, The three princes of Serendip, che descrive come i tre principi di Serendip (l’antico nome di Ceylon) scoprivano, nel corso dei loro viaggi, per caso, cose che non andavano cercando›› (Rossi, 2004, p. 154, nota 1).