La PA fra riforme e nuovi modelli di funding delle politiche pubbliche

‹‹In questo momento decisivo
per lo stato italiano
è dovere di ognuno
dare la propria adesione››
Don Fabrizio, principe di Salina
G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Ed. Feltrinelli

Le riforme della PA, i costi delle riforme e la caduta verticale degli investimenti pubblici locali

L’Italia è ormai diventata il Paese delle riforme della Pubblica Amministrazione (PA) “a prescindere”.
Si può dire che fin dai tempi dell’istituzione delle Regioni, quando si parla della PA, la narrativa ricade sempre sulla necessità di riformarla. Ogni nuovo Governo mette al centro dell’agenda una nuova, ennesima riforma della PA. E, puntualmente, vengono emanati dei provvedimenti di riforma “a prescindere”, senza alcuna valutazione seria e scientificamente fondata di effetti e criticità di quelle precedenti.

Un altro aspetto critico del dibattito “a senso unico” sulla necessità delle riforme della PA è che, sovente, viene intenzionalmente tralasciato il particolare non secondario che queste non sono “pasti gratis”. Le riforme continue dalla PA comportano dei costi organizzativi, dei costi a livello umano per dei funzionari pubblici che devono continuamente rivedere pratiche amministrative e procedure operative, sovente senza essere sostenuti da adeguati corsi di aggiornamento e dei costi per nuove infrastrutture digitali e nuovi programmi informatici.

In primo luogo, credo che ogni contribuente abbia diritto a chiedersi quanto sia davvero vantaggioso per i comuni cittadini lo scambio fra costi immediati di queste riforme della PA senza sosta e vantaggi differiti. Sarebbe certamente auspicabile una maggiore cura nella selezione delle priorità di intervento e della spesa pubblica.
In secondo luogo, va tenuta in debita considerazione la circostanza che, specialmente gli Enti Locali, sono chiamati ad erogare gli stessi servizi pubblici in modo sempre più sofisticato (coinvolgendo i cittadini, garantendo un adeguato livello di trasparenza e riducendo gli oneri amministrativi), ma a fronte di una continua riduzione delle risorse trasferite dal Governo centrale e della mancata attuazione di un disegno completo di revisione federalista dell’ordinamento statale.
I dati dell’ISTAT (v. ISTAT, Conti ad aggregati economici delle Amministrazioni Pubbliche, 11 maggio 2015), aggiornati al dicembre 2014, che certificano che fra il 2004 e il 2013 gli investimenti pubblici locali hanno registrato una caduta verticale del 26%, dimostrano chiaramente come la coperta sia davvero molto corta e che, ancor prima che attuare le riforme, l’imperativo è rilanciare gli investimenti pubblici, concentrando le poche risorse pubbliche su opere di prevenzione dei rischi, di tutela del territorio e del patrimonio naturale e artistico-culturale e di effettiva utilità per i cittadini (strade ordinarie ben costruite ed asfaltate ed oggetto di continua manutenzione e non certo il Ponte sullo Stretto) [1].

Si può dire in termini oggettivi, quindi, che le nuove riforme della PA Italiana (si pensi in primo luogo alla legge delega Madia – L. 124/2015 – pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 13 agosto scorso e che dovrà trovare attuazione attraverso una ventina di decreti delegati, ma si pensi anche all’Agenda per la Semplificazione) potranno anche sortire nel medio termine dei risparmi di spesa e una riduzione degli oneri amministrativi, ma, ad oggi, come testimoniano dati di fonte ISTAT e altri dati/indagini, vi è un problematico trade off fra servizi piu’ efficienti e “personalizzati” per cittadini e imprese ed una minore disponibilità quantitativa di opere pubbliche e di servizi basilari di pubblica utilità [2].

Fondi europei 2014-2020, finanza di progetto e nuovi modelli di funding delle politiche pubbliche

A fronte del continuo irrigidimento dei vincoli di bilancio, si impone una riflessione meno enfatica e più obiettiva su come garantire le coperture finanziarie di riforme certamente necessarie della PA e di un deciso rilancio degli investimenti pubblici, almeno quelli volti a garantire la manutenzione e la piena funzionalità delle opere pubbliche già operative e il completamento di quelle realmente necessarie.

Il primo pensiero va sistematicamente ai fondi dell’UE. Questo a maggior ragione dopo che, negli ultimi mesi, sono stati approvati finalmente diversi POR FESR e diversi Programmi Operativi Nazionali e sono stati anche emanati i primi avvisi di finanziamento di alcuni Programmi dell’Obiettivo Cooperazione Territoriale particolarmente importanti per sostenere dei progetti degli Enti Locali, fra cui il Programma Interreg Europe).

In merito, si evidenzia che certamente gli Enti Locali hanno rilevanti possibilità di accedere alle sovvenzioni dell’UE, sia quelle dei Fondi “a gestione diretta” (si fa riferimento a Programmi quali LIFE, Europa Creativa, Health ed altri che vengono gestiti direttamente dalla Commissione Europea), sia quelle dei Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE), la cui gestione è delegata dall’UE a Ministeri dei Governi centrali e Regioni di tutti gli Stati Membri.

A livello di intero Paese, tuttavia, continuano a registrarsi criticità:

  • nella gestione dei Programmi di spesa dei Fondi SIE da parte della Pubblica Amministrazione, per cui i finanziamenti, anche quelli destinati alla ricerca e all’innovazione, in genere, vengono liquidati con grande ritardo rispetto all’assegnazione formale del contributo,
  • nell’accesso da parte di Comuni ed Unioni di Comuni alle sovvenzioni dell’UE, anche per il fatto che i Fondi SIE, oggettivamente relativamente più accessibili di quelli a gestione diretta, nella corrente programmazione sono più orientati a sostenere ricerca e innovazione e competitività del sistema produttivo che non il finanziamento di investimenti infrastrutturali pubblici [3],
  • nella corretta finalizzazione dei progetti di investimento pubblico sugli strumenti di finanziamento più adatti.

Inoltre, andrebbe sempre ricordato che: (i) il bilancio annuale dell’UE ha una dimensione esigua, corrispondente a circa l’1% del PIL dell’UE. Appare fuori luogo, pertanto, presentare i fondi dell’UE come il deus ex machina del rilancio degli investimenti pubblici locali, (ii) gli stessi Fondi SIE andrebbero destinati da tutte le Autorità di Gestione a finanziare investimenti pubblici “aggiuntivi”, mentre si ha la netta impressione che ormai siano sistematicamente e senza remora alcuna utilizzati per finanziare spese ordinarie, fra cui anche quelle per le riforme della PA varate di recente (gli esponenti del Governo riconoscono apertamente che i Fondi SIE, soprattutto grazie al PON Governance e al PON Città Metropolitane, concorreranno in maniera rilevante alla c.d. “digitalizzazione” del Paese).

Ecco che di conseguenza vanno esaminate e sperimentate quelle proposte che rimarcano l’importanza di un deciso rilancio della finanza di progetto o la necessità di applicare anche in Italia nuovi modelli di funding già sperimentati da tempo nei paesi anglosassoni e nel Nord Europa. Si pensi al crowdfunding per la PA, ai modelli di esternalizzazione di servizi pubblici informati a clausole pay-for-success, quali quelle previste dai Social Impact Bonds, o anche dai Saving Cost Bond, proposti all’attenzione dell’opinione pubblica a fine luglio da Bisio e Nicolai [4].

Area urbana

Si pensi anche all’importanza che potrebbe avere la diffusione e la “istituzionalizzazione” di pratiche di fundraising per la PA che già, in modo informale, traducono il senso civico e l’attenzione di comuni cittadini per servizi di pubblica utilità forniti dalla PA in maniera inadeguata a causa dei tagli al bilancio pubblico, quali quelli artistico-culturali e quelli scolastici, in donazioni a musei, biblioteche e scuole pubbliche. Questa attenzione specifica al fundraising per la PA, ovviamente, è quanto mai attuale dopo l’emanazione da parte del Governo di provvedimenti di fiscalità di vantaggio per incentivare le donazioni dei privati (art bonus e school bonus).

Il tema della finanza di progetto è certamente un tema delicato. Fin dagli anni Novanta, a fronte delle difficoltà di un paese fortemente indebitato a sostenere con finanza pubblica la realizzazione di opere infrastrutturali, si è dibattuto sull’importanza di un coinvolgimento dei privati nel finanziamento delle opere pubbliche e il legislatore ha normato in modo alquanto avanzato la materia (la famosissima “legge Merloni” è di quegli anni).
La finanza di progetto è stata rilanciata sia dal Governo Monti, sia dal Governo Letta (i vari provvedimenti “Salva Italia”, “Cresci Italia” e del “Decreto del Fare” hanno tutti cercato di ridare una nuova centralità alla finanza di progetto). E pur tuttavia numero, dimensioni finanziarie ed efficacia delle operazioni di project finance continuano a destare più di qualche perplessità sulla reale efficacia di questo strumento in Italia [5].
Ben vengano, quindi, iniziative quali quelle del periodico telematico di informazione economica FASI che, il prossimo 12 novembre, organizzato a Roma il workshop “NOI per lo sviluppo locale” su finanza di progetto e nuovi modelli di partenariato pubblico privato, volti sia a rilanciare gli investimenti pubblici, sia a favorire una spesa più rapida ed efficace delle risorse della programmazione 2014-2020.

Sono parimenti auspicabili ulteriori studi e sperimentazioni concrete di nuovi modelli di funding per la PA, a cui si è fatto cenno poc’anzi.
Questi strumenti saranno ciascuno oggetto di un focus specifico su questo blog nei prossimi mesi. Vi aspetto.

 ******

[1] Ho deciso di scrivere questo post nei primi giorni di Ottobre, dopo che un membro del Parlamento Italiano ha cercato di rilanciare, in modo alquanto improvvido, il dibattito sulla presunta importanza strategica del Ponte sullo Stretto e, negli stessi giorni, i media hanno riportato l’ennesimo caso di una strada ordinaria, nelle Marche, interrotta a causa di un cedimento strutturale.
Fortunatamente questa nuova improvvisa apertura di una voragine in una strada ordinaria non ha causato delle vittime. Inevitabilmente, tuttavia, in quei giorni, riflettendo sui vantaggi di medio-lungo periodo della riforma della PA e sui rischi giornalieri che si corrono su strade italiane sempre più dissestate e insicure, non potevo non pensare alla nota profezia di Keynes sul fatto che “nel lungo periodo siamo tutti morti”.
La considerazione principale che anche gli esponenti del Governo dovrebbero fare, pertanto, è che le condizioni in cui versano il Paese e la stessa PA sono talmente deteriorate che, parafrasando il famoso detto popolare, è meglio una strada ordinaria in più riportata all’efficienza operativa in qualche mese che non i vantaggi di medio-termine (domani) della “digitalizzazione” del Paese.
La “digitalizzazione” del Paese è certamente importante, ma a fronte di vincoli di finanza pubblica tanto stringenti, in certi casi bisogna rassegnarsi a fare, come dicono gli inglesi, scelte “penny-wise”, anche se quelle scelte sono parimenti “Pound-foolish”.
[2] Va aggiunto, peraltro, che legge delega Madia e Agenda per la Semplificazione potranno sortire i benefici sperati a condizione che inizino davvero ad operare a pieno regime Enti strumentali di importanza estrema quali l’AGID (Agenzia che dovrà essere il motore dell’attuazione del “Piano strategico per la crescita digitale del Paese 2015-2020” e del “Piano per la Banda Ultralarga”) e l’Agenzia per la Coesione Territoriale (ex Dipartimento Politiche per lo Sviluppo), designata quale centro nevralgico del sistema nazionale di governance dei Fondi Strutturali e di Investimento Europeo 2014-2020 e, dettaglio non secondario, Autorità di Gestione del PON Governance e Capacità Istituzionali 2014-2020.
[3] Nella nuova programmazione dei Fondi SIE, gli Enti Locali (EE.LL.), peraltro, hanno minori opportunità e maggiori responsabilità. Questa esplicita posizione si attaglia soprattutto ai Fondi Strutturali (FESR e FSE), mentre appare sostanzialmente invariato il novero delle opportunità legate all’attuazione dei Programmi di Sviluppo Rurale regionali cofinanziati dal FEASR.
A parere di chi scrive, quindi, i giudizi che talvolta si leggono sulle maggiori opportunità nella nuova programmazione per gli EE.LL. appaiono quantomeno affrettati. Inoltre, non va dimenticato che tali opportunità rischiano di restare lettera morta per le difficoltà dei Comuni nel garantire la quota di cofinanziamento dei progetti e, al tempo stesso, ottemperare al vincolo di stabilità interno.
Ciò che è innegabile è che aumenteranno invece – o almeno questo è auspicabile – le responsabilità degli EE.LL. in relazione all’obiettivo di un efficace uso dei Fondi SIE 2014-2020, come ho avuto modo di rimarcare nel mio post del 20 luglio scorso).
[4] Cfr. BISIO L., NICOLAI M., Saving cost bond: nuove soluzioni per gli investimenti locali, ilSole24Ore Quotidiano Enti Locali e PA, 30 Luglio 2015. Molto interessante è anche l’articolo di commento di Giulio Pasi, pubblicato sul portale del progetto “Secondo Welfare”. Cfr. PASI G., Saving cost bond: se la revisione della spesa diventa investimento sociale. Qualche osservazione sparsa sull’utilizzo dello strumento nel nostro Paese, SecondoWelfare, 28 Agosto 2015.
[5] Contributi recenti davvero molto utili sulla finanza di progetto sono: Nicolai M., Partenariato Pubblico Privato e project finance. Come uscire dalla crisi, Maggioli Editore, Rimini, 2015, Caselli S., Corbetta G., Vecchi V., Public Private Partnership for infrastructure and business development, New York: Palgrave, 2015

Contact me!

If you have any question or you'd like to have more information about this post, you can write me using this form!

[bestwebsoft_contact_form]