Il dibattito sul futuro della PAC nella programmazione post 2020 è ormai definitivamente avviato. La Commissione, oltre ad aver promosso nel I semestre l’ampia consultazione “semplificazione e modernizzazione della PAC”, ha fissato a fine 2017 la deadline per la presentazione di una Comunicazione al Parlamento Europeo e al Consiglio sulla PAC post 2020.
Alla consultazione aperta della Commissione ha partecipato anche l’Associazione Italiana di Economia Agraria e Applicata (AIEAA) elaborando un interessante contributo al dibattito. Il contributo è stato presentato venerdì 6 ottobre 2017 nel corso del seminario “La PAC post 2020. Idee per una riforma” organizzato dalla stessa AIEAA e dal CREA (ex INEA).
Il contributo dell’AIEAA – “Documento di discussione sulla PAC dopo il 2020” – e la sua presentazione durante il seminario (a cui ho partecipato) da parte del professor Benedetto Rocchi (Università di Firenze ed AIEAA) mi hanno trovato d’accordo soprattutto su due aspetti:
• la PAC nella sua configurazione attuale non riconosce adeguatamente i diversi “modelli di agricoltura” che caratterizzano il contesto europeo;
• è ormai tempo di passare davvero da una “PAC degli agricoltori” a una “PAC dei territori” (a p. 4 del documento, l’AIEAA rimarca che «gli incentivi dovrebbero essere assegnati in misura crescente alle comunità o a iniziative collettive piuttosto che ai singoli agricoltori, avviando la transizione da una ‘PAC degli agricoltori’ verso una ‘PAC dei territori’ […] Il quadro delle politiche future dovrebbe essere caratterizzato da un approccio territoriale capace di coinvolgere soggetti diversi intorno a progetti e obiettivi comuni») [1].
Stante la circostanza che non conosco come vorrei obiettivi strategici e strumenti del I Pilastro della PAC, chi segue il mio blog sa che ho già evidenziato l’importanza di queste indicazioni di policy in diversi post degli ultimi due anni inerenti le misure per lo sviluppo rurale e il Programma di Sviluppo Rurale (PSR) della Regione Lazio.
Ho già avuto modo di evidenziare anche, tuttavia, che passare da una PAC degli agricoltori a una dei territori non solo non è politicamente facile, ma sovente implica anche andare incontro a cocenti delusioni. Nel corso del seminario del 6 ottobre, pertanto, ho apprezzato molto anche l’intervento del dirigente di ricerca del CREA Franco Mantino sulle criticità delle operazioni “territoriali” dei PSR.
Mantino, dall’alto della sua esperienza, ha evidenziato con molta franchezza che:
• sia nella precedente programmazione, sia in quella in corso, ci sono stati/ci sono diversi strumenti per sostenere una ‘agricoltura dei territori’, oltre al famigerato approccio LEADER (egli ha citato specificamente la componente ‘territoriale’ dei Progetti Integrati di Filiera e gli ‘accordi agroambientali territoriali’). Il problema vero è che questi strumenti, nella realtà fattuale, non trovano sovente piena attuazione (Mantino ha ricordato che gli ‘accordi agroambientali territoriali’, in Italia, sono stati implementati solo dalla Regione Marche);
• nel corso del negoziato con la UE (con la Commissione) sulla PAC, per l’Italia non si tratterà tanto di chiedere più ‘PAC dei territori’, ma di chiedere e concordare con la Commissione nuove procedure (e, aggiungo io, nuovi vincoli per i responsabili degli interventi) in modo da attuarla davvero e, soprattutto, attraverso progetti di qualità. [2]
Su queste criticità richiamate da Mantino vorrei aggiungere alcune considerazioni personali, espresse già sia nel paper “Sviluppo locale di tipo partecipativo: limiti e nuove opportunità dell’approccio LEADER”, elaborato recentemente per il Centro Studi Funds for Reforms Lab, sia in un mio intervento alla tavola rotonda “Sviluppo locale per nuove opportunità” organizzata il 22 settembre scorso a Roma dalla Cooperativa ELP e dall’Istituto Fernando Santi (enti con cui collaboro per motivi diversi a partire dalla primavera del 2016). [3]
Le delusioni maggiori, guardando alla concreta attuazione nel Lazio sia della Misura 19 LEADER del PSR Lazio, sia della SottoMisura 7.1 inerente i Progetti Pubblici Integrati dei Comuni per ampliare l’offerta di servizi di base (bando chiuso il 29 settembre scorso), concernono i seguenti aspetti:
• il presunto carattere integrato di Piani di Sviluppo Locale (PSL) dei GAL, spesso, a posteriori, si è rilevato abbastanza blando, anche per il fatto che in Italia, ancor oggi, l’Approccio di Quadro Logico, consigliato dalla Commissione per la formulazione dei piani territoriali, è poco conosciuto (e messo in pratica). I PSL, pertanto, in genere nascono già come “collezioni di progetti” frammentati e, quel che è peggio, anche nel corso dell’attuazione si tende a privilegiare- aggiustando a dovere i criteri di selezione dei bandi – dei progetti di piccola dimensione e/o meno innovativi, in quanto più facilmente gestibili;
• la formulazione dei Piani di Sviluppo Locale dei GAL o dei Progetti Pubblici Integrati, generalmente, segue un approccio partecipativo solo sulla carta. Sovente, infatti, appare debole la capacità (se non la volontà) di valorizzare le istanze e le proposte di tutti i portatori di interesse e di creare quel senso di fiducia fra gli stakeholders che solo degli esercizi di democrazia “partecipativa” realmente aperti e inclusivi possono generare; [4]
• i soggetti attuatori di piani di sviluppo dal basso più conosciuti – i GAL che danno corso all’approccio LEADER – almeno nel Lazio non sono stati in grado di ritagliarsi una funzione di autentiche agenzie di sviluppo locale per l’area geografica interessata dai loro PSL. [5]
In conclusione, è assolutamente opportuno rafforzare la transizione verso una ‘PAC dei territori’ come rimarcato dall’AIEAA, ma è ancora più opportuno farlo cercando di migliorare, in primo luogo, le procedure di attuazione di quegli strumenti già vocati a una ‘PAC dei territori’ (l’intervento di Franco Mantino questo ha rimarcato). E qui, a mio modesto avviso, si aprono due ulteriori spazi di riflessione:
• è assolutamente tempo di dibattere non solo di riforma della PAC, ma anche di riforma dello strumento/approccio LEADER che, a quasi di trent’anni dall’avvio della sua sperimentazione, continua a registrare un divario eccessivo fra obiettivi e risultati concreti prodotti (i risultati sono deludenti in termini sia di miglioramento dei processi di governance locale, sia di impatto socio-economico);
• se è certamente opportuno richiedere più “responsabilità sociale” e più attenzione alla loro funzione di “custodi del territorio” a tutti gli agricoltori, a maggior ragione è opportuno richiedere più attenzione alle ricadute sociali e ambientali dei PSR (e dei PSL su scala locale) agli amministratori pubblici. Questi, infatti, in vasta maggioranza continuano a vedere gli strumenti per sostenere lo sviluppo locale solo come una diligenza da assaltare per “portare nel loro territorio” dei finanziamenti pubblici, piuttosto che come uno strumento per cooperare meglio “orizzontalmente” con gli altri enti territoriali equi-ordinati e “verticalmente” con quelli sovra-ordinati al fine di produrre benessere per le comunità locali.
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[1] A tale riguardo preme evidenziare che, leggendo la presentazione del seminario “Cambiamo agricoltura” che si è tenuto sabato 6 ottobre a Bergamo nell’ambito del “G7 Agricoltura”, una siffatta impostazione della futura riforma della PAC è certamente stata trattata anche in quel seminario, a cui non ho potuto partecipare.
Questa impostazione, peraltro, è quella fatta propria implicitamente dal Parlamento Europeo (PE) in un rilevante (e ponderoso) studio – “Research for Agri Committee. CAP Reform post 2020. Challenges in Agriculture” – datato ottobre 2016.
Tale studio, che era stato elaborato in vista di un importante workshop del Comitato sull’Agricoltura e sullo sviluppo rurale del PE, che si è tenuto l’8 novembre 2016, nelle conclusioni sugli interventi a sostegno dello sviluppo rurale, invita a:
• rafforzare e qualificare meglio la funzione sociale della PAC (rafforzandone la rilevanza anche rispetto agli altri obiettivi propri della “multi-funzionalità”, ossia gli obiettivi di tutela ambientale e territoriale);
• potenziare gli interventi di sensibilizzazione, informazione e capacity building (definiti misure di supporto “soft” nello studio), specialmente nelle aree più deboli
• adottare più esplicitamente un approccio “basato sui luoghi” (“place-based” development) per definire l’intera struttura dei Programmi di Sviluppo Rurale (nazionali e regionali). Questo soprattutto in relazione a quelle aree – in Italia si parla di “aree interne” – che sono maggiormente a rischio di precipitare ulteriormente in drammatici “circoli viziosi” per cui dinamiche di marginalizzazione economica e sociale e spopolamento si rafforzano a vicenda.
Questo studio, pertanto, richiede di rafforzare l’approccio “basato sui luoghi”, anche oltre la dimensione CLLD/LEADER dei PSR.
Il titolo del simposio, che era stato organizzato dal Comitato sull’Agricoltura e sullo sviluppo rurale del PE, è “Reflections on the Agricultural Challenges post-2020 in the EU: Preparing for the Next CAP Reform”.
[2] Mantino ha anche evidenziato la necessità di introdurre nei nuovi PSR delle ulteriori riserve finanziare (in aggiunta a quella inerente l’approccio LEADER) volte a favorire la sperimentazione di altre pratiche innovative.
[3] I lettori che fossero interessati possono contattarmi tramite e-mail o il contact form in fondo e richiedere il paper: Bonetti A., Sviluppo locale di tipo partecipativo: limiti e nuove opportunità dell’approccio LEADER, Centro Studi Funds for Reforms Lab, Policy Brief N. 5/2017, agosto 2017.
La mia e-mail è: a.bonetti@ymail.com.
[4] La cosa più avvilente – sia come cittadino, sia come professionista – è stata quella di vedere come, nel corso degli incontri partecipativi, obbligatoriamente da tenere ai sensi del bando della Regione Lazio per selezionare i GAL del settennio 2014-2020, l’aspetto a cui si prestava più attenzione fosse quello di accertarsi che tutti i presenti avessero apposto la propria firma sulla scheda di rilevazione dei partecipanti, in quanto tali schede dovevano essere allegate alla domanda di partecipazione al bando.
[5] Su queste criticità si veda il Rapporto di Valutazione ex post del PSR Lazio 2017-2013, disponibile sul portale della Rete Rurale Nazionale (RRN).