Le politiche industriali europee e nazionali stanno tentando di rivitalizzare i sistemi produttivi attraverso incentivi fiscali e finanziari e semplificazioni amministrative volte a favorire la creazione di startup fortemente vocate all’innovazione, sulla scorta di una letteratura sempre più accreditata che vede nella “imprenditorialità” l’elemento di congiunzione necessario fra nuove opportunità di sviluppo rese possibili dal progresso scientifico e dalla pervasività delle nuove tecnologie digitali e crescita economica e nuova occupazione. [1]
In questa prima settimana di febbraio si è tenuta la Startup Europe Week, promossa dalla Commissione Europea,con diversi eventi di brokerage in tutta Europa.
Sul territorio laziale, l’Amministrazione regionale, Lazio Innova (società in house della Regione) e altri enti hanno organizzato una serie di eventi sul tema e sulle politiche regionali di supporto sia a Roma (la manifestazione è stata infatti battezzata Startup Europe Week Rome), sia negli altri capoluoghi di provincia della regione.
Questi eventi hanno rinsaldato l’attenzione di opinione pubblica e osservatori sulle scelte strategiche della Regione Lazio, che ha puntato decisamente sull’auto-impiego – soprattutto di giovani con elevati titoli di studio – e sulla creazione di startup innovative, la innovativa figura giuridica istituita dal Decreto Crescita 2.0 nel 2012 (D. L. 179/2012, convertito con L. 221/2012). [2]
L’impressione che si è avuta in questi giorni è che, una volta di più, in questi eventi sia stata un po’ trascurata da tutti l’importanza che potrebbe avere per il rilancio economico del Paese la figura giuridica “gemella” delle Startup Innovative a Vocazione Sociale (SIAVS), anch’essa introdotta nell’ordinamento giuridico italiano dal Decreto Crescita 2.0 del Governo Monti.
Per amor di chiarezza, ricordo che questo Decreto ha introdotto una nuova forma di impresa (startup innovativa) fortemente vocata alla ricerca e all’innovazione tecnologica, senza prevedere, in via generale, limitazioni settoriali all’esercizio dell’attività produttiva.
Limitazioni settoriali, invece, sono previste per la figura delle Startup Innovative a Vocazione Sociale (SIAVS), disciplinate dall’art. 25 comma 4. Tali startup, infatti, possiedono i requisiti generali di tutte le startup innovative, ma sono vincolate ad operare negli stessi settori già previsti per le “imprese sociali” dall’art. 2, comma 1 del D.Lgs. 155/2006 (assistenza sociale, assistenza sanitaria ed altri). [3]
Queste startup, una volta che si saranno consolidate nel mercato, avranno i tipici tratti di “organizzazioni ibride”, specificamente di organizzazioni che perseguono sia obiettivi di natura economica, sia obiettivi di natura sociale, variamente definite a livello internazionale (social enterprises, social businesses, mission-driven organisations, blended value organisations e altri).
Le SIAVS, infatti, sono destinate a diventare delle organizzazioni private che perseguono i convenzionali obiettivi di massimizzazione del profitto, ma tenendo sullo stesso livello di importanza l’obiettivo di generare degli impatti sociali positivi, in una ottica “public-benefit“.
Le SIAVS, in quanto “organizzazioni ibride”, nel loro ciclo di vita potrebbero sommare il meglio del mondo profit-oriented (disciplinato dal Libro V del Codice Civile) e il meglio delle organizzazioni “a vocazione sociale”, disciplinate dal Libro I del Codice Civile, ma potrebbero anche fallire o, per certi versi peggio ancora, essere riassorbite nella sfera del mercato, qualora il loro processo di crescita non sia accompagnato da politiche adeguate.
Il mio umile parere è che, fin qui, il legislatore abbia un pò trascurato la criticità di tre aspetti:
1. in generale, qual è il modo migliore di avviare nuove imprese innovative vincenti e di sostenerle con le politiche pubbliche? La domanda non è affatto peregrina, se consideriamo che si va consolidando a livello mondiale l’attenzione per i processi di creazione di impresa orientati all’approccio “lean start-up”, approccio che necessariamente richiede una rivisitazione critica anche del sistema di incentivi per i neo-imprenditori e del modello convenzionale di incubatore/acceleratore di impresa; [4]
2. come graduare nel corso del ciclo di vita gli incentivi allo sviluppo delle SIAVS. Gli esperti di finanza, infatti, sanno bene che, a seconda dello stadio di sviluppo di una impresa, cambiano anche gli operatori privati disposti a finanziarle e gli stessi strumenti di finanziamento. A seconda dello stadio di sviluppo, peraltro, cambiano la dimensione del fabbisogno finanziario e il tipo di intervento di sostegno della “mano pubblica”, qualora gli operatori finanziari privati non fossero disposti ad investire un sufficiente ammontare di capitali. Questi aspetti vengono completamente trascurati quando si ragiona sulle organizzazioni mission-oriented, siano esse organizzazioni senza scopo di lucro disciplinate dal Libro I del Codice Civile o siano “imprese sociali” ex lege; [5]
3. come misurare adeguatamente l’impatto sociale di organizzazioni che, adottando un modello di business “duale”, vanno giudicate (e, se del caso, sostenute con incentivi) non solo sulla base della loro performance economica, ma anche sulla base del loro impatto sociale. [6]
Su alcuni di questi aspetti avrò il piacere di tornare a fare delle riflessioni su questo blog nelle prossime settimane.
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[1] Per tutti, si veda: Audretsch D.S. (2009), La società imprenditoriale, Venezia, Marsilio
[2] In merito, oltre ai vari documenti di programmazione della Regione, inclusi il POR FESR e il POR FSE della programmazione europea 2014-2020, si ricordano il contributo a firma dell’esperto di politiche pubbliche e Consigliere della Regione Lazio Gian Paolo Manzella “Start-up “Grande Bellezza”!. Idee per un ecosistema della nuova impresa innovativa nel Lazio” e l’evento di profilo internazionale “Boosting a Creative startup ecosystem”, che la Regione aveva organizzato a Roma il 3 ottobre 2014.
Proprio nei giorni scorsi, peraltro, è stato pubblicato un nuovo avviso di finanziamento della Regione per sostenere la nascita e/o lo sviluppo di imprese nel settore delle attività culturali e creative.
[3] Tali settori, per completezza, sono: assistenza sociale; assistenza sanitaria; assistenza socio-sanitaria; educazione, istruzione e formazione; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; valorizzazione del patrimonio culturale; turismo sociale; formazione universitaria e post-universitaria; ricerca ed erogazione di servizi culturali; formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; servizi strumentali alle imprese sociali.
[4] Su questo approccio si possono consultare, in Italiano: Ries E. (2012), Partire leggeri, Milano, Rizzoli; Blank S., Dorf B. (2013), Startupper. Guida alla creazione di imprese innovative, Milano, EGEA; Ameglio I, Cassarino I, Panetta C. (senza data), Design thinking & lean startup. Un nuovo paradigma di innovazione, Torino, TheDoers eReport.
Mi sono ripromesso di ospitare su questo blog una intervista a un economista dell’innovazione fra i massimi esperti italiani su questo approccio e sulla c.d. “lean analytics” per la misurazione dell’impatto delle startup “lean”. Per oggi non vi anticipo di piu’.
[5] Su questi aspetti segnalo un pregevole contributo recente dell’OCSE: Wilson K.E. (2015), Policy Lessons form Financing Innovative Firms, OECD Science, Technology and Policy Papers No. 24, Paris
[6] Il tema è molto dibattuto. La letteratura sulla valutazione della performance economica e dell’impatto sociale delle “organizzazioni ibride” a vocazione sociale è ormai sconfinata. Fra i contributi più significativi se segnalano:
ENP (EnterprisingNon-Profits) (2010), The Canadian Social Enterprise Guide. 2nd edition, Vancouver
www.enterprisingnnonprofitts.ca
MARS (2010), Social Entrepreneurship. Social impact Metrics, MARS WhitePaper, Toronto
ACUMEN (2014), The Lean Data Field Guide
EUROPEAN COMMISSION – OECD (2015), Policy Brief on Social impact Measurement for Social Enterprises, Luxembourg
Bengo I., Arena M., Azzone G., Calderini M. (2016), Indicators and metrics for social business: a review of current approaches, in ‘Journal of Social Entrepreneurship’, Volume 7, Issue 1, 2016
Proprio nei giorni scorsi, peraltro, il think tank Human Foundation ha pubblicato quattro diversi casi studio sulla valutazione dell’impatto sociale in un contributo dal titolo significativo: “Dentro la scatola nera della valutazione dell’impatto sociale”. Va precisato che questi casi studio/approcci metodologici fanno più riferimento a una valutazione finanziaria e sociale di progetti/di investimenti, mentre il tema critico sollevato in questo post riguarda più in generale l’impatto dell’attività complessiva di organizzazioni “a vocazione sociale”.