“Il dibattito sulla multifunzionalità ha contribuito a far emergere
la natura ‘terziaria’ che possono assumere le attività agricole”.
Saverio Senni (2005) [1]
In questi anni si dibatte molto di agricoltura sociale (AS). Come è noto, non è facile, in genere, rintracciare una definizione chiara e ampiamente condivisa di concetti o quasi-concetti emergenti. Lo stesso dicasi per quello di agricoltura sociale.
Per capire meglio questo concetto e, soprattutto, il suo legame con un altro concetto ormai ampiamente affermato e condiviso – quello di multifunzionalità – mi sono stati particolarmente utili due contributi/definizioni:
• un contributo del 2005 di Saverio Senni che rimarca che «[le] realtà agricole che svolgono una funzione sociale in modo esplicito […] sono accomunate dal perseguire finalità sociali attraverso la realizzazione di attività agricole, intese in senso lato (coltivazioni, allevamenti, trasformazioni aziendali di prodotti, agriturismo, vendita di prodotti aziendali, ecc.), con l’esplicito proposito di coinvolgere soggetti con bisogni speciali»;
• la definizione riportata sul sito del Forum Nazionale Agricoltura Sociale (FNAS) – nato nel 2011 – che riporto sotto per esteso. [2]
«L’AS comprende l’insieme di pratiche svolte su un territorio da imprese agricole, cooperative sociali e altre organizzazioni che coniugano l’utilizzo delle risorse agricole con le attività sociali. le attività dell’AS sono finalizzate a
• generare benefici inclusivi, favorire percorsi terapeutici, riabilitativi e di cura;
• sostenere l’inserimento sociale e lavorativo delle fasce di popolazione svantaggiate e a rischio di marginalizzazione;
• favorire la coesione sociale, in modo sostanziale e continuativo». (fonte: FNAS)
Esaminando con attenzione questa definizione (ed esaminando nella sua interezza il contributo di Senni ed altri più recenti sull’agricoltura sociale), a me pare che si profilino due problemi – uno più analitico, inerente la definizione di multifunzionalità e di agricoltura sociale e uno più concreto (o, se si preferisce, commerciale), inerente la vera natura delle aziende del settore primario che si dedicano all’agricoltura sociale – che incidono non poco sulla formulazione di adeguate politiche pubbliche di sostegno.
Primo problema. A me pare di poter dire che se da un lato è assolutamente vero quanto scriveva Senni nel contributo del 2005 sul fatto che «il dibattito sulla multifunzionalità ha contribuito a far emergere la natura ‘terziaria’ che possono assumere le attività agricole», dall’altro è parimenti vero che, probabilmente, nella fase attuale si stia arricchendo il concetto di multifunzionalità di una serie di servizi aggiuntivi che non è detto che le aziende agricole siano sempre in grado di fornire.
In diversi contributi e negli stessi Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) regionali si evidenzia che le aziende agricole potrebbero offrire non solo servizi di tutela ambientale e del suolo, servizi di salvaguardia della biodiversità e di valorizzazione dei paesaggi, servizi di tutela del benessere degli animali (servizi che, tradizionalmente, sono stati i pilastri del consolidamento del concetto di multifunzionalità negli anni Novanta), ma anche servizi per il leisure time sovente catalogati come turismo “verde”, servizi riabilitativi, terapeutici e di inclusione sociale per soggetti fragili peculiari dell’agricoltura sociale, e anche servizi di custodia per la prima infanzia (agri-nidi) e ricreativi e culturali.
Mi pare che così facendo, da un lato si stia forzando un po’ troppo la natura ‘terziaria’ del settore primario e, dall’altro, si rischia più di creare fraintendimenti che non di arricchire/qualificare un fenomeno – quello della diversificazione dell’attività primaria – certamente utile e da sostenere con adeguate politiche pubbliche. [3]
L’altro problema è più marcatamente economico-produttivo.
Perché le aziende agricole diversificano?
Perché gli imprenditori agricoli scoprono e sviluppano delle “vocazioni sociali” che incontrano una domanda latente di vecchi e nuovi servizi di welfare nelle aree rurali? Perché come produttori agricoli in senso stretto sono allo stremo e, pur di non chiudere la loro “fattoria”, assumono dei rischi e cercano di trasformarle in delle “fattorie sociali”?
Oppure, infine, ancora più semplicemente, in quanto vengono attivati degli incentivi pubblici nell’ambito della Sottomisura 6.4 “Sostegno a investimenti nella creazione e nello sviluppo di attività extra-agricole” dei PSR regionali? A fronte di tale eventualità, i decisori pubblici dovrebbero considerare, peraltro, che vi è il forte rischio che gli interventi di sostegno, pertanto, non incentivino comportamenti privati orientati al sociale che integrano la produzione pubblica di servizi di welfare nelle zone rurali, ma bensì comportamenti orientati alla ricerca della rendita (rent seeking). [4]
Inoltre, nel momento in cui le aziende agricole riescono a completare il processo di sviluppo di nuove attività extra-agricole, come dovranno essere gestite quelle aziende che, a quel punto, saranno degli “ibridi organizzativi”, sia in quanto a ciclo tecnico-produttivo, sia in quanto a modello di business?
Cerco di spiegare meglio questo quesito. Nel momento in cui, come accennavo sopra, si vanno ad aggiungere molti altri servizi – sovente sempre più specifici – all’attività tradizionale delle aziende agricole, inevitabilmente si forzano le “vecchie” aziende agricole a diventare degli autentici “ibridi organizzativi”, in quanto tende a registrarsi un disallineamento del ciclo produttivo della “vecchia” azienda agricola e della “nuova” azienda che eroga servizi di cura alla persona e alla comunità (un “ibrido organizzativo”). Il mio modesto parere, infatti, è che l’azienda agricola nel caso di una diversificazione nella direzione della tutela del suolo, dell’ambiente, del paesaggio e delle tradizionali enogastronomiche e culturali mantenga una omogeneità di fondo del ciclo tecnico-produttivo, mentre nel momento in cui essa sviluppa altri servizi di cura alla persona e alla comunità (quelli peculiari dell’agricoltura sociale e altri) deve necessariamente rivedere, almeno in parte, il ciclo tecnico-produttivo.
A conferma della fondatezza di queste mie riflessioni, vorrei richiamare altri passi del lungimirante contributo di Senni del 2005.
Egli, parlando delle “realtà agricole che svolgono una funzione sociale in modo esplicito”, scriveva opportunamente che «possiamo parlare in questo caso di imprese agro-sociali o, con riferimento ad una terminologia che sta cominciando a farsi strada tra gli operatori del mondo agricolo, di “fattorie sociali”».
Da queste considerazioni sulla natura di organizzazioni “ibride” delle “imprese agro-sociali” scaturisce il titolo di questo post. [5]
Nei prossimi post vorrei affrontare un’altra questione, rilevante per capire meglio la natura “ibrida” di queste particolari imprese: qual è il modello di business delle “imprese agro-sociali”? Queste imprese, infatti, avranno necessariamente un modello di business diverso da quello delle aziende agricole tradizionali e anche nel loro modello di business emergerà chiaramente la natura “ibrida” delle “imprese agro-sociali”.
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[1] Senni S. (2005), L’agricoltura sociale come fattore di sviluppo rurale, in “AgriRegioniEuropa”, anno 1, n. 2
[2] Ovviamente è parimenti molto importante tenere conto di definizioni e vincoli riportati nella L. 18 agosto 2015, N. 141 “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”.
[3] A tale riguardo porto due esempi concreti.
Il primo è un esempio positivo che trae spunto dal Progetto PROVIDE cofinanziato dal Programma Horizon 2020 (segnatamente dalla Sfida sociale 2 “Sicurezza alimentare/agricoltura e silvicoltura sostenibili/bio-economia” del III Pilastro “Sfide sociali” di Horizon 2020).
Il progetto ha una consistenza rimarchevole, in quanto coinvolge in un progetto triennale ben 14 partners di 13 diversi Stati, per un finanziamento di 2,9 Milioni di Euro.
L’acronimo PROVIDE sta per PROVIding smart DElivery of public goods by EU agriculture and forestry in quanto il progetto di ricerca, che è stato avviato il 1 settembre 2015, è volto a capire meglio il contributo del settore primario alla produzione di “beni pubblici”. I beni pubblici (semplificando, i servizi che vanno oltre la tradizionale produzione di beni alimentari) oggetto di indagine sono:
• Salvaguardia dei paesaggi rurali,
• Tutela della biodiversità,
• Qualità dell’acqua,
• Disponibilità dell’acqua,
• Funzionalità del suolo.
• Stabilità del clima,
• Qualità dell’aria,
• Prevenzione delle alluvioni,
• Prevenzione degli incendi,
• Vitalità rurale,
• Sicurezza alimentare,
• Salute e benessere animale.
A me pare un esempio positivo in quanto evidenzia la necessità, ancora oggi, di migliorare la conoscenza sui meccanismi in forza dei quali il settore primario può produrre quei beni pubblici che, tradizionalmente, sono stati presentati come qualificanti del concetto di multifunzionalità, prima ancora di ampliare a dismisura l’elenco di servizi di cura che possono essere prodotti dal comparto agricolo.
L’altro esempio, negativo, evidenzia come la forzatura della natura “terziaria” del settore primario possa anche condurre ad evidenti sbavature nella formulazione delle politiche pubbliche di sostegno.
Il PSR Lazio ha attivato sia la Sottomisura 6.2 (avviamento di nuove aziende che erogano servizi di cura alla persona e alla comunità), sia la Sottomisura 6.4 (diversificazione di aziende tradizionali).
Il testo della Sottomisura 6.2 – segnatamente dell’Operazione 6.2.1 Aiuti all’avviamento aziendale di attività non agricole in aree rurali – specifica che “il supporto è concesso per l’avvio di imprese extra-agricole nei seguenti settori:
• fattorie sociali e didattiche;
• servizi di base per la popolazione locale collocati in locali commerciali multiservizio all’interno del centro aziendale;
• locali commerciali al dettaglio specializzati nella vendita di prodotti agricoli e agroalimentari tipici (anche non compresi nell’Allegato I del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e non di provenienza aziendale);
• attività di turismo rurale o legate allo sviluppo economico del territorio”.
Il testo della Sottomisura 6.4 – segnatamente dell’Operazione 6.4.1 Diversificazione delle aziende agricole – specifica che “gli interventi finanziabili sono rivolti a servizi e attività extra-agricole attraverso la creazione o l’ampliamento delle seguenti funzioni dell’impresa agricola:
• fornitura di servizi sociali nell’ambito della cd “agricoltura sociale”, quali assistenza all’infanzia e agli anziani, assistenza sanitaria, assistenza per le persone disabili, ecc.;
• attività turistiche riguardanti l’accoglienza attraverso la creazione e sviluppo dell’ospitalità agrituristica in alloggi e in spazi aziendali, la fornitura di servizi turistici, punti vendita di prodotti tipici, ecc.;
• attività didattiche/educative;
• attività produttive attraverso la trasformazione di prodotti non compresi nell’allegato 1 del Trattato;
• sviluppo di prodotto e attività artigianali;
• fornitura di servizi ambientali svolti dall’impresa agricola per la cura e manutenzione di spazi non agricoli”.
A me pare una contraddizione che l’elenco dei servizi riportati dalle due Sottomisure sia parzialmente diverso, dal momento che, fondamentalmente, hanno la stessa logica di fondo, ossia sostenere il reddito degli agricoltori, favorendo la diversificazione e la produzione di servizi extra-agricoli. Certamente, è indicativo delle difficoltà nel circoscrivere i confini dei concetti di multifunzionalità, di agricoltura sociale e, più in generale, della natura “terziaria” dell’attività agricola.
[4] Come già accennato, infatti, la Sottomisura 6.2 dei PSR regionali sostiene l’avviamento aziendale per attività extra-agricole, mentre la Sottomisura 6.4 finanzia più specificamente la diversificazione di aziende agricole già attive. Per una rassegna più completa degli interventi di tutti i PSR regionali che sostengono l’agricoltura sociale, si veda: Ascani M., De Vivo C. (2016), L’agricoltura sociale nei Programmi di Sviluppo Rurale 2014-2020: quali opportunità, in “AgriRegioniEuropa”, anno 12, n. 45
Più in generale si veda la raccolta di contributi: Giarè F. (a cura di) (2013), Coltivare salute: agricoltura sociale e nuove ipotesi di welfare, Atti del seminario, Roma, Ministero della Salute, 18 ottobre 2012
[5] Avrò il piacere di approfondire alcuni di questi temi nel corso del Seminario del CEIDA “Sviluppo locale e servizi di welfare nelle zone rurali:i finanziamenti dei Programmi di Sviluppo Rurale 2014-2020 per gli Enti Locali” (Roma, 10 e 11 ottobre p.v.)