Nei precedenti post ho illustrato il possibile profilo strategico di Strategie di Sviluppo Locale di Tipo Partecipativo (SLTP) ex approccio LEADER orientate all’innovazione sociale.
Ho anche evidenziato che SSLTP orientate all’innovazione sociale potrebbero, fra l’altro, sostenere il consolidamento di autentiche “comunità culturali” che abbiano la missione di tutelare e valorizzare beni e siti culturali del loro territorio.
Su tale questione e sull’influenza che potrebbe avere sulle scelte strategiche di valorizzazione di beni e siti culturali il New European Bauhaus il nuovo post propone una intervista al professor Alessandro Crociata (Università degli Studi de L’Aquila – Gran Sasso Science Institute), fra i massimi esperti italiani di Economia della Cultura. [1]
Domanda 1- D1 – Caro Alessandro, in primo luogo grazie di aver accettato di rilasciare per il blog questa intervista e del Tuo prezioso contributo.
Vorrei iniziare con il chiederTi di illustrare brevemente il New European Bauhaus che, direi, in questa fase è una sorta di faro per coloro che si occupano di elaborazione e finanziamento di strategie di valorizzazione di beni e siti culturali. O no?
Qual è il Tuo punto di vista?
Risposta 1 – R. 1 – Il New European Bauhaus è un’iniziativa su scala europea che mira a orientare, sensibilizzare e coinvolgere gli Stati Membri verso il disegno di un Green Deal a base culturale. Mi spiego: il suo obiettivo è quello di attivare un cambiamento nei comportamenti individuali e collettivi promuovendo la collaborazione interdisciplinare tra diversi ambiti. L’iniziativa si traduce in una piattaforma di connessione tra scienza e tecnologia, arte e collettività al fine di rendere più sostenibili ed inclusivi gli spazi nei quali viviamo. In tal senso, la cultura e la sua forma tangibile espressa in beni culturali gioca un ruolo primario per riprogettare il futuro green dell’Europa. All’interno di questo scenario, infatti, si aprono possibilità di progettazione e di co-creazione di esperienze culturali che vengono incentivate all’interno di un esteso movimento di sensibilizzazione, condivisione e divulgazione.
D. 2 – Sulla base delle Tue attività di ricerca e di eventuali studi sul campo quali sono i capisaldi di una valida strategia di valorizzazione di beni e siti culturali?
R. 2 – Il tema della valorizzazione è ampio, i cui aspetti di policy sono storicamente avviati. Se nel passaggio da tutela e conservazione si è passati alla valorizzazione, intesa principalmente in termini di promozione, cioè aumentare la conoscenza del capitale culturale a disposizione, oggi ci troviamo di fronte a sfide di portata ben più complessa. Oggi la valorizzazione, dal mio punto di vista, significa principalmente far funzionare un capitale culturale all’interno di un ecosistema locale. La cultura ha profonde radici nello spazio e nel tempo. Vale a dire che essa è idiosincratica rispetto al territorio che l’ha generata. Oggi bisogna far si che i beni e le attività culturali siano parte di un complesso sistema di interazioni dove l’ispessimento delle relazioni determina ed è a sua volta determinato dal territorio in cui vengono ospitate. Bisogna dunque uscire dai confini strettamente “settoriali” aprendo a collaborazioni inedite con altri campi del sapere e più in generale della conoscenza.
D. 3 – Per motivi professionali negli ultimi mesi sono tornato a occuparmi di strategie di sviluppo locale dal basso e del ruolo che possono avere gli approcci partecipativi per favorire la nascita e il consolidamento di comunità locali – di vario tipo – che si facciano a carico, in collaborazione con gli amministratori locali, di “beni comuni” e asset idiosincratici dei luoghi. Fra queste comunità, io inserirei anche delle autentiche “comunità culturali”.
Qual è il Tuo parere in merito? Nella letteratura esistono definizioni diffuse di “comunità culturali” e contributi di ricerca che le trattano o forniscono buone pratiche?
R. 3 – Nessuna definizione diffusa. Esistono piuttosto fenomeni emergenti, cioè non pianificati dall’alto ma auto-organizzati a livello locale. La ricerca in tal senso è ancora nella fase di esplorazione di tali fenomeni. Dall’osservazione del particolare, a livello induttivo, si potrebbe arrivare a definire i tratti salienti della struttura e del funzionamento delle “comunità culturali”. Data la portata e la natura del fenomeno non credo sia possibile derivare una “Teoria Generale delle comunità culturali”. Piuttosto sarà possibile individuare alcune “regolarità” che rendono la pratica in questione più solida e poi consolidata. Sicuramente, ad oggi, possiamo dire che più che una condivisione di una base culturale (che nella sua declinazione più nociva porta a divisione tra chi condivide e chi non condivide) si debba parlare di co-design di una strategia di sviluppo basata su asset culturali. Il modello ecosistemico, ancora una volta, si presta utile nel definire un nuovo orizzonte di senso nel quale iscrivere una serie di iniziative di valorizzazione che vanno nella direzione di un’integrazione equilibrata. I cui limiti della sostenibilità sono di volta in volta definiti in base alle relazioni che si stabiliscono tra il capitale culturale, gli individui che ne entrano un contatto e il territorio che ospita questa relazione.
D. 4 – Hai detto che alla base del New European Bauhaus c’è l’attivazione di un cambiamento nei comportamenti individuali e collettivi. In che senso la cultura può essere un motore del cambiamento?
R. 4 – La ricerca che sto portando avanti di anni parte dalla ricognizione che il processo decisionale alla base del comportamento è influenzato dalla minimizzazione dello sforzo cognitivo. Voglio dire che nel comune agire quotidiano siamo guidati da abitudini e da un grado di automaticità. Ne deriva un modello di scelta che implica un’elaborazione automatica delle informazioni, dando luogo a situazioni di lock-in. In tale setting, la partecipazione ad esperienze (attività) culturali è potenzialmente in grado di produrre, al contrario, una rottura dello status quo prima descritto. Per la natura dell’esperienza culturale, siamo indotti ad esporci ad un rischio, data l’immaterialità del processo esperienziale e l’impossibilità di avere tutte le informazioni preventivamente. Siamo dunque più aperti e più inclini ad affrontare l’incertezza ed il rischio. Tutte precondizioni per favorire un’attitudine creativa nell’elaborare informazioni e combinazioni di concetti in grado di produrre nuove idee e rompendo i meccanismi di lock-in cognitivi.
D. 5 Tutto questo, a livello teorico e nelle sue esplorazioni empiriche è molto affascinante, ma può trovare una applicazione concreta nelle strategie e interventi di valorizzazione di beni e siti culturali?
R. 5 – Tutto ciò può, e mio avviso, deve informare il meccanismo di regolazione di un sistema locale attraverso il cultural planning. Il cultural planning è un dispositivo strategico che prevede il coinvolgimento della comunità locale nel capire, metabolizzare ed affrontare i temi e le criticità legate allo sviluppo a base culturale. In tal senso è un approccio aperto, partecipativo e orientato al co-design delle politiche (e delle strategie) in cui la cultura diventa una piattaforma per orientare la comprensione ed il cambiamento in ottica di problem solving della comunità. Non è un piano strategico del settore culturale ma è un approccio culturale al piano strategico. Si parte dunque da temi più vari che riguardano, ambiente, sanità, istruzione (per citarne alcuni) ed attraverso la partecipazione ad esperienze culturali si elabora un toolkit di partecipazione e di risposta ai problemi legati allo sviluppo locale. Al momento, in Europa, assistiamo a buone pratiche spesso legate alla risoluzione di una sola tematica/criticità. Manca ancora un dispositivo più ampio che abbracci tutto il piano strategico (ad esempio urbano). Direi che è tempo di cominciare.
Alessandro, qui proponi una indicazione davvero molto preziosa anche per i practitioner come me che, sovente, devono cimentarsi anche con la formulazione di strategie di sviluppo locale. Mi pare che la prospettiva che qui delinei di muovere da un autentico approccio di cultural planning sia un autentico must per quelle partnership locali che vorranno valorizzare l’approccio LEADER per delineare percorsi di sviluppo dal basso che tutelino meglio gli asset culturali e consolidino nel tempo delle “comunità culturali”.
Grazie Alessandro per questa Tua utile testimonianza. Spero che Tu abbia piacere presto a intervenire su questi temi con nuove interviste sul blog.
A presto.
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[1] Al seguente link è disponibile la biografia curricolare del professor Alessandro Crociata
Al seguente link è disponibile la presentazione del Gran Sasso Science Institute
https://www.gssi.it/institute/about
[2] Al seguente link si riportano anche dei contributi di ricerca del professor Crociata, utili per i lettori che vorranno approfondire ulteriormente questo tema.
https://www.researchgate.net/profile/Crociata-Alessandro