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Processi decisionali pubblici e “ciclo della valutazione”

‹‹La valutazione è normalmente parte di un processo politico››
Rossi P.H. Freeman H.E.; Lipsey M.V. (1999); p. 406 [1]

1. Riprendendo gli insegnamenti del professor Andrea Lippi, già richiamati in diversi post degli ultimi mesi, si rimarca di nuovo che il paradigma “debole” del policy making (governance in contrapposizione al tradizionale government), si fonda sull’idea che nelle democrazie mature il processo decisionale pubblico si è aperto nel tempo a più attori. Come egli chiarisce nel saggio del 2007 Valutazione delle politiche pubbliche, «la governance delle politiche pubbliche [….] connota uno stato dove la responsabilità di chi decide e di chi attua è diffusa, e quindi problematica, poiché nell’indeterminatezza e nella fluidità dei rapporti tra gli stakeholder diviene addirittura ancora più diffusa la catena della responsabilità». [2]
2. Nelle democrazie moderne, in sostanza, il processo decisionale sulle politiche pubbliche è influenzato non solo dai decisori politici, ma anche da vari altri attori (in particolare, i gruppi di pressione organizzati) ed è molto complesso. Per questo motivo, la valutazione delle policy non può non includere:
• l’analisi dei processi decisionali.
• una attenta disamina del “ciclo di policy making”. [3]
3. Questa posizione muove dalla consapevolezza che ‹‹la valutazione è normalmente parte di un processo politico›› (come evidenziato da Rossi, Freeman e Lipsey nella sesta edizione del loro monumentale manuale sulla valutazione), processo da intendersi come processo decisionale pubblico che si sviluppa in un contesto legislative e socio-economico in continua evoluzione.
4. Pertanto, se si inquadra la valutazione come strumento di supporto al miglioramento dei processi decisionali (processi di formulazione e deliberazione delle azioni di policy) e dell’intero “ciclo di policy making”, bisogna anche tenere conto del passaggio dalla fase dell’offerta di politiche pubbliche dichiarate (in Inglese, policy finctions) a quella dell’offerta effettiva di politiche pubbliche (in Inglese, policy facts). [4]
5. L’offerta effettiva di politiche pubbliche – che si manifesta nel corso del tempo – generalmente si discosta da quella potenziale iniziale principalmente per cinque ordini di motivi:
• il comportamento opportunistico dei policy maker e il loro orientamento a “filtrare” le richieste di politiche pubbliche di cittadini e gruppi di pressione organizzati sulla base degli interessi personali a massimizzare la probabilità di essere confermati (eletti di nuovo) nelle successive tornate elettorali. Basta seguire il dibattito pubblico per avere conferma che i decisori politici, in prima battuta, tendono a far prevalere gli annunci (in termini eleganti nell’analisi politica vengono indicati come offerta di “politiche simboliche”) e delle promesse di intervento – anche poco credibili – intese solo a dare l’impressione di essere preparati e reattivi; [5]
• le difficoltà oggettive di dirigenti apicali e posizioni organizzative della PA – a qualsiasi livello di governo – a “tradurre” le proposte (promesse) di intervento dei decisori pubblici in azioni di policy che siano: (i) pertinenti con le richieste di cittadini/gruppi di pressione e con le problematiche rilevate, (ii) internamente coerenti e (iii) realizzabili alla luce di vincoli normativi e istituzionali vigenti;
• l’opposizione di certi stakeholder/gruppi di pressione organizzati (in gergo “parti lese”) alla realizzazione di certi tipi di interventi (l’esempio classico è quello dell’opposizione di cittadini/gruppi di pressione alla realizzazione di opere pubbliche e/o certi impianti considerati pericolosi nel territorio in cui si vive, richiamato sovente con l’acronimo NIMBY, che sta per “not in my backyards”);
• le criticità attuative che si manifestano in corso d’opera (molto frequenti e impattanti soprattutto nel caso della realizzazione di opere pubbliche). Tali criticità, oltre alla rinuncia al finanziamento accordato di certi operatori, rallentamenti nel completamento di certi interventi e, quindi, difficoltà e ritardi nella realizzazione degli obiettivi di spesa pubblica programmati, possano comportare una revisione on going del disegno strategico delle azioni di policy complesse che includono più tipi di intervento e una riallocazione di risorse dagli interventi meno performanti a quelli più performanti o, semplicemente, più facili da attuare (sia sul piano amministrativo, sia sul piano tecnico-realizzativo); [6]
• i mutamenti nel contesto socio-economico e in quello politico-legislativo che richiedono dei cambiamenti (adattamenti) delle azioni di policy. [7]
6. Tenere conto delle diverse caratteristiche dell’offerta potenziale e di quella effettiva di politiche pubbliche, peraltro, significa anche:
• inquadrare in modo più corretto e pertinente il “ciclo della valutazione” (si veda la figura 1);
• acquisire maggiore consapevolezza dell’importanza di definire una Teoria del Cambiamento (Theory of Change – ToC) delle singole azioni di policy e dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali, sia prima che vengano concretamente attuati, sia in divenire. All’inizio, infatti, la ToC è riferita all’offerta potenziale di politiche pubbliche, ma al momento di effettuare la valutazione finale dell’efficacia delle azioni di policy o dei Programmi complessi, sarà opportuno rivedere la ToC, alla luce delle differenze che sono maturate nel tempo fra i documenti di programmazione varati inizialmente e quelli che emergono a seguito della concreta implementazione dell’offerta potenziale di politiche pubbliche. [8]

Figura 1 – Domanda e offerta di politiche pubbliche e “ciclo della valutazione”

7. Una più approfondita disamina dei processi decisionali, peraltro, consente di inquadrare meglio anche le relazioni fra i due principali elementi di incertezza che gravano sulle politiche pubbliche deliberate e l’analisi di efficacia, di efficienza e di impatto (si veda la figura 2).
Ma questa è una storia buona da raccontare nel prossimo post del 25 Febbraio. [9]

Figura 2 – I due principali elementi di incertezza sulle politiche pubbliche deliberate e la valutazione

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[1] Rossi P.H. Freeman H.E.; Lipsey M.V. (1999); Evaluation: a systematic approach. Sixth Edition; Sage Publication. Thousand Oaks, CA.
[2] Lippi A. (2007); Valutazione delle politiche pubbliche, Il Mulino, Bologna, p. 48.
[3] Sul “ciclo di policy making si vedano il post del 10 Ottobre 2023 e la Nota didattica N. 1/2023 del Centro Studi Funds for Reforms Lab Quadro logico e valutazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali 2021-2027, completata il 20.01.2023.
[4] Sui concetti di “domanda di politiche pubbliche”, “offerta potenziale di politiche pubbliche” e “offerta effettiva di politiche pubbliche” si vedano: Antonelli G.; Bagarani M.; Mellano M. (1989); Modelli di spesa e politica agraria regionale; Franco Angeli, Milano; Bagarani M.; Mellano M. (1990); La spesa pubblica per l’agricoltura delle regioni a statuto ordinario in base agli obiettivi di politica agraria; in AA.VV.; L’intervento pubblico in agricoltura, EDIESSE, Roma; Martini A.; Sisti M. (2009), Valutare il successo delle politiche pubbliche; Il Mulino, Bologna.
[5] Sui meccanismi di interpretazione e di “filtro” da parte dei decisori politici delle preferenze collettive e su quelli di delega ai burocrati di loro fiducia dei compiti che attengono alla “traduzione” delle preferenze degli elettori colte dai decisori in scelte di spesa pubblica concrete la letteratura è sconfinata. Fra i contributi classici più significativi si richiamano:
Downs A. (1957); An Economic Theory of Democracy, Harper & Row, New York.
Buchanan J.M.; Tullock G. (1962); The Calculus of Consent. Logical Foundations of Constitutional Democracy; Michigan U.P., Chicago;
Olson M. (1965); The Logic of Collective Action; Harvard U.P.; Cambridge, MA.
Hirschmann A.O. (1970); Exit, Voice and Loyalty; Harvard U.P.; Cambridge, MA.
Breton A. (1974); The Economic Theory of Representative Government; Aldine Publishing, Chicago.
Nordhaus W. (1975); The Political Business Cycle; Review of Economic Studies, vol. 42.
Drazen A. (2000); Political Economy in Macroeconomics; Princeton U.P.; Princeton N.J.
[6] Si noti che è sempre opportuno distinguere fra azioni di policy “semplici” (interventi “semplici”) e programmi complessi (in genere pluriennali).
Per interventi semplici si intendono azioni di policy (e per comodità espositiva anche progetti di sviluppo socio-economico) in cui vi è un solo Obiettivo Specifico, un gruppo target ben identificato ed è facile definire una Teoria del Cambiamento (per semplicità la trama di nessi causali fra interventi, obiettivi intermedi e Obiettivo Specifico). Lo sono, ad esempio, degli strumenti di finanza agevolata a favore delle imprese.
Gli interventi complicati/complessi sono quelli in cui vi sono più obiettivi di politica economica rilevanti, più gruppi target, più tipologie di interventi e, di conseguenza, è alquanto complesso definire una Teoria del Cambiamento). Lo sono certamente i Programmi complessi cofinanziati dai Fondi Strutturali o anche le Strategie di Sviluppo Locale.
Sulla distinzione fra interventi semplici, complicati e complessi si veda: Rogers P.J. (2008); Using Programme Theory to Evaluate Complicated and Complex Aspects of Intervention; «Evaluation», Vol. 14, N. 1; pp. 29-48. Tale distinzione è spiegata anche nella Nota didattica N. 1/2023 del Centro Studi Funds for Reforms Lab Quadro logico e valutazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali 2021-2027, completata il 20.01.2023.
[7] Si pensi a quanto il disegno strategico (e anche il novero di azioni effettivamente attuate) dei Programmi complessi cofinanziati dai Fondi Strutturali 2021-2027potranno essere condizionati, specialmente negli ultimi due anni di programmazione, da:
• eventuali revisioni nelle direttrici strategiche delle politiche comunitarie che potrebbero seguire ai cambiamenti nei vertici istituzionali dell’UE dopo le elezioni europee del prossimo Giugno;
• gli esiti del “riesame intermedio” dei Programmi che, come disposto dall’art. 18 del Reg. (UE) 2021/1060, dovrà essere implementato nel 2025 e sarà prodromico all’allocazione definitiva della c.d. “importo di flessibilità” delle annualità 2026 e 2027 dei piani finanziari dei Programmi, in linea con l’art. 86, paragrafo 1, comma 2 del Reg. (UE) 2021/1060 (l’art. 18 dispone che entro il 31 Marzo 2025 gli Stati membri – leggasi le Autorità di Gestione – debbano presentare una valutazione relativa ai risultati del “riesame intermedio”, compresa una proposta riguardante l’assegnazione definitiva dell’importo di flessibilità).
[8] Coloro che si occupano come me di elaborazione, gestione e valutazione dei Programmi complessi cofinanziati dai Fondi Strutturali sanno molto bene che, spesso, diverse Priorità (Assi) dei Programmi al termine del periodo di spesa sono ben diverse da quelle “disegnate” inizialmente. Questo, fondamentalmente, per le ragioni generali esposte al punto 4, in primo luogo le criticità attuative e le conseguenti difficoltà a generare spesa pubblica rendicontabile.
[9] Questo contributo è un “work in progress” elaborato nell’ambito del progetto di ricerca del Centro Studi Funds for Reforms Lab “Theory of change e valutazione di impatto di progetti e programmi complessi” di cui al Piano di Lavoro approvato dal Consiglio Direttivo del 20 Marzo 2023.
Avrò il piacere di presentare più diffusamente le attività di monitoraggio e di valutazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali nell’ambito del 9° Modulo “Valutazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali” della I edizione del Master Universitario live streaming Europrogettazione e rendicontazione dei finanziamenti europei di 24ORE Business School e Unimarconi (con il coordinamento scientifico di Exa Consulting e il patrocinio di AssoEPI), Modulo che si terrà nelle seguenti date: 10 e 11 Maggio c.a..
Si ricorda che sono già disponibili moduli di adesione, condizioni di conseguimento del titolo e programma didattico della II edizione di questo Master, che partirà il prossimo 22 Marzo.

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