“Un obiettivo centrale di una politica per l’innovazione deve essere quello di contribuire a migliorare la capacità di apprendimento di imprese, persone e istituzioni legate alla conoscenza al fine di promuovere innovazione ed adattamento”
Lundvall B.Å. (2000) [1]
Come ho evidenziato nei precedenti post, a mio avviso, le Smart Specialisation Strategies (RIS3) sono documenti di indirizzo strategico-metodologico e non sono dei programmi pluriennali di spesa. Le RIS3 regionali, pertanto, hanno degli obiettivi diretti diversi da quelli dei Programmi pluriennali di spesa cofinanziati dai Fondi Strutturali, inclusi i POR FESR regionali che, nella programmazione 2014-2020, costituiscono in pratica una sorta di “traslazione operativa” delle RIS3.
L’obiettivo generale delle RIS3 regionali (uno strumento di capacity building e non un programma di spesa) è di migliorare l’intero processo di policy making con riferimento alle scelte pubbliche – nazionali o regionali – in materia di ricerca e innovazione. E’ su questo aspetto, come tento di esplicitare nel grafico che segue, che andrà valutato l’impatto delle RIS3.
Grafico – I capisaldi della valutazione dell’impatto delle RIS3
Questo non vuol dire che non sia importante considerare quale obiettivo delle RIS3 il cambiamento, potenzialmente molto rilevante, che queste possano apportare alla struttura e al posizionamento competitivo dei sistemi innovativi nazionali e regionali. [2]
Questo cambiamento è certamente il fine ultimo delle politiche a sostegno della ricerca e dell’innovazione, ma bisogna considerare due aspetti cruciali:
1 le RIS3 contribuiscono a produrre cambiamenti strutturali in primo luogo se riescono a produrre dei cambiamenti nel comportamento dei seguenti operatori:
- policy makers,
- burocrati che affiancano i policy makers (in particolare, dirigenti e funzionari e consulenti esterni di “agenzie esecutive” che fungono da catalizzatori dei processi innovativi, quali LazioInnova nel Lazio che, ormai ingloba anche gli “spazi attivi” regionali della vecchia rete dei Business Innovation Centers regionali) e
- operatori del sistema ricerca e di quello produttivo. [3]
Gli “effetti di apprendimento” sono fondamentali ed è cruciale, pertanto, che la valutazione delle RIS3 riesca a darne conto adeguatamente;
2 gli impatti di cambiamento strutturale dei sistemi innovativi e dell’apparato produttivo matureranno in tempi alquanto lunghi (comunque in tempi più lunghi di quelli necessari affinchè maturino degli “effetti di apprendimento”). Il processo di valutazione, peraltro, rileverà questi effetti sul sistema produttivo potendo associarli direttamente ai veri programmi di policy (e non direttamente alle RIS3, essendo queste soltanto uno strumento di capacity building e non strettamente di policy). In altri termini, la valutazione delle RIS3, in realtà, sarà una valutazione dei vari strumenti di policy (programmi pluriennali e altri strumenti agevolativi) che possono incidere sui cambiamenti dei sistemi innovativi e produttivi (quale che sia la scala territoriale di intervento considerata).
Una volta impostato in questi termini il processo valutativo, le domande valutative vanno ricercate in primo luogo nella stessa Guida del 2012 della Commissione Europea che ha definito “compiti” e “principi” delle RIS3 regionali (si veda il post del 5 marzo scorso) e che, nell’Annex III, riporta una serie di “key issues” (8) e di “domande valutative” volte a capire se le procedure consigliate nella Guida sulla formulazione delle RIS3 sono state correttamente esperite e se, appunto, le RIS3 producono degli effetti di apprendimento fra tutti i principali attori dell’eco-sistema innovativo.
Sono molto utili anche diverse rassegne e analisi empiriche che, negli ultimi 3-4 anni, hanno cercato di capire i seguenti aspetti (trascurati fin qui dalle Regioni italiane):
- quali sono le procedure più adeguate di rilevazione degli ambiti scientifico-tecnologici (in altri termini, bisognerebbe valutare se le Regioni abbiano saputo o meno applicare i principi riportati sulla Guida del 2012 per selezionare correttamente i loro domini scientifico-tecnologici);
- come incidano sui processi di potenziamento delle eccellenze locali e su quelli di diversificazione produttiva e di internazionalizzazione i concetti “related variety” e “unrelated variety”;
- come selezionare correttamente e in modo pertinente rispetto alle innovazioni di metodo previste dalle RIS3 gli indicatori di performance delle politiche per la R&I. [4]
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[1] Cfr. Lundvall B.Å. (2000), Technology policy in the learning economy, in Archibugi D., Lundvall B.Å. (2000), The globalizing learning economy: major socio-economic trends and European innovation policy, Oxford UP, Oxford
[2] La Guide to Research and Innovation Strategies for Smart Specialisations (RIS3) pubblicata dalla Commissione nel 2012 (v. p. 60), non a caso, nella sezione dedicata alla valutazione pone in evidenza che “in general, result indicators for a RIS3 should measure a change or evolution of the regional productive structure towards activities that (a) are globally competitive and (b) have a greater potential for value added”.
[3] Come già evidenziato nel post del 20 marzo scorso – La valutazione delle Smart Specialisation Strategies. Il focus dell’analisi deve essere sugli effetti di apprendimento – a conferma dell’importanza di questo aspetto si veda la Tabella 10 a p. 61 della Guida della Commissione, che riporta una indicazione sui seguenti obiettivi “intermedi” di cambiamento della struttura produttiva regionale:
- incrementare la consapevolezza (sull’importanza) e l’adozione di una serie di nuove tecnologie;
- migliorare la base di conoscenza di una serie di industrie chiave;
- aumentare la relazione fra scienza (università e centri di ricerca) e industria (imprese attive);
- incrementare l’attività di ricerca;
- promuovere lo start up di nuove imprese technology-based.
Gli impatti di medio-lungo termine delle RIS3 matureranno se e solo se queste produrranno degli “effetti di apprendimento” anche sugli operatori privati dei sistemi innovativi regionali e se verranno raggiunti gli obiettivi “intermedi” richiamati sopra. Come avevo evidenziato nel post del 15 marzo scorso, criticando il modello di innovazione indicato nella RIS3 Lazio, la “teoria del cambiamento” per stimare i possibili impatti strutturali delle RIS3, inoltre, deve superare definitivamente il modello di innovazione “lineare” e ragionare su un modello in grado di ricomprendere tutte le molteplici relazioni fra vari operatori economici (e fra questi e la società civile) che condizionano l’emergere di tecnologie “disruptive” e l’affermazione di nuovi prodotti e servizi che possono addirittura, in alcuni casi, aprire dei nuovi mercati.
[4] Si vedano:
- Iacobucci D. (2014), Designing and Implementing a Smart Specialisation Strategy at Regional Level: Some Open Questions. Scienze Regionali, Italian Journal of Regional Science, 13, 1: 107-126.
- Iacobucci D. (2017), La Smart Specialisation Strategy nelle regioni italiane, in: Cappellin R. et al. (2017), Investimenti, innovazione e nuove strategie di impresa. Quale ruolo per la nuova politica industriale e regionale, ebook EGEA, pp. 101-114.
- Iacobucci D., Guzzini E. (2016), Relatedness and Connectivity in Technological Domains: The “Missing Links” in S3 Design and Implementation. European Planning Studies, 24, 8: 1511-1526
- Boschma R. (2017), “Relatdness as driver of regional diversification: a research agenda”, Regional Studies, vol. 51, n. 34, pp. 351-364
Sull’applicazione dei principi della RIS3 alle strategie di sostegno all’eco-sistema innovativo da parte della Regione Lazio mi sia consentito rinviare a: Bonetti A. (2018), I finanziamenti dell’UE per la ricerca e l’innovazione: focus sul Lazio, Centro Studi Funds for Reforms Lab, Policy Brief n 4/2018.