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Smart cities, innovazione tecnologica ed innovazione sociale

«Take Me Down To The Paradise City
Where The Grass Is Green
And The Girls Are Pretty
Oh, won’t you please take me home»
Paradise CityGuns N’ Roses
Appetite for Destruction (1987, Track # 6)

Nel corso degli ultimi mesi ho proposto diversi post inerenti il dibattito sulle smart cities, sul PON Città Metropolitane e sugli interventi di questo PON maggiormente orientati all’innovazione sociale (inclusi negli Assi 3 e 4 del PON Metro). Questi ultimi interventi, pertanto, si caratterizzano per le rilevanti sinergie con diverse azioni (linee di finanziamento) del PON Inclusione sociale, presentato nel post del 20 novembre “Il PON inclusione sociale e la valutazione di impatto”.

Alcuni osservatori hanno rilevato in termini critici un mio eccessivo bias verso gli interventi “sociali” dell’agenda urbana in Italia.
A me, a dire il vero, sembrerebbe che, in generale, il problema sia quello di un eccessivo bias del dibattito sulle smart cities verso interventi su infrastrutture, efficientamento energetico degli edifici, sensoristica e altre tecnologie innovative che dovrebbero migliorare funzionalità ed efficienza delle città
In estrema sintesi, mi pare che ci sia una eccessiva focalizzazione sull’innovazione tecnologica a discapito di quella sociale.
In merito vorrei evidenziare che il dibattito sull’innovazione sociale, in Italia e non solo, si è principalmente snodato lungo traiettorie che hanno intersecato il dibattito sulle smart cities.
A conferma di questo si veda, ad esempio, il progetto di ricerca europeo WILCO [1], ma si veda anche, con riferimento al nostro paese :
• il fatto che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), nel 2012, per promuovere la social innovation, ha promulgato due rilevanti avvisi pubblici ambedue battezzati “Smart cities and communities and social innovation” [2];
• il fatto che il Piano Nazionale della Ricerca 2015-2020 (PNR 2015-2020), elaborato – da MIUR e Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) – in sinergia con la Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente relativa all’Accordo di Partenariato ha incluso, in sostanza, nell’aera di specializzazione 9 “Smart communities” sia i riferimenti alle priorità di ricerca inerenti la smart cities, sia quelle inerenti la social innovation. [3]
Il report di analisi che accompagna la Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente evidenzia, infatti, che «la visione di base della Smart City, di cui la Smart Community è un’estensione concettuale in chiave di innovazione sociale, è che le immense potenzialità tecniche di connessione ed elaborazione di informazioni offerte dalle tecnologie ICT possono consentire la realizzazione di un modello di collettività estremamente cooperativo al fine di risolvere i problemi legati alla crescente urbanizzazione».

Smart city Impianto di illuminazione

Smart city – Impianto di illuminazione (immagine ex Pixabay)

A me pare che, tuttavia, poi il dibattito ponga gli elementi di innovazione sociale necessari per una maggiore efficienza e vivibilità delle città in secondo piano rispetto a quelli di innovazione tecnologica e digitale.

Ne sono testimonianza due rapporti di ricerca assolutamente pregevoli (e che sono stati molto utili per aiutarmi a capire la questione), ma che, appunto, sono anche notevolmente informati a una sorta di determinismo tecnologico:
• “Italia Smart. Rapporto Smart Cities Index 2016” di Ernst&Young;
• “Smart cities. Progetti di sviluppo e strumenti di finanziamento” della Cassa Depositi e Prestiti (con il supporto scientifico del Politecnico di Torino). [4]

Il rapporto di Ernst&Young si fonda sul piano analitico sull’individuazione di quattro strati in cui si dovrebbe articolare una Smart City (p. 10), che sono riportati nella tabella 1. L’indicazione degli elementi chiave di questi strati evidenzia chiaramente la bias tecnologica/digitale del rapporto di Ernst&Young.
Il rapporto evidenzia parimenti l’importanza dei seguenti elementi:
• l’integrazione fra i quattro strati per definire in modo ottimale i servizi per i cittadini;
• due ambiti di analisi aggiuntivi, costituiti da (i) smart citizens e vivibilità e (ii) vision e strategia.

Tabella 1 – Gli strati della Smart City

smart-citiy-ey-2016

Fonte: Ernst&Young, 2016 (con adattamenti)

Nel Rapporto della Cassa Depositi e Prestiti del 2013, quantunque si rimarchi che «smart non è sinonimo di digital, in quanto un ruolo centrale deve essere assunto dal cittadino e dal suo utilizzo consapevole della tecnologia come strumento abilitante per fenomeni di innovazione sociale» (p. 24), comunque riemerge uno sbilanciamento su edifici e sistemi di illuminazione smart, sulla sensoristica e sulla valorizzazione delle infrastrutture per un migliore accesso ai dati disponibili e per un migliore ri-uso dei big data (v. tavola sinottica che segue), in quanto «un’indagine svolta su 79 città mondiali che hanno avviato iniziative smart ha evidenziato che gli investimenti in infrastrutture rimangono ad oggi predominanti» (p. 24).

Tabella 2 – Ambiti delle città intelligenti

Ambiti Smart City (Cassa Depositi Prestiti)

Fonte: Cassa Depositi e Prestiti, 2013 (con adattamenti)

Il nodo della questione è che la grande attenzione dei policy makers per la c.d. agenda urbana non è solo legata al fatto che le città possono essere il motore del cambiamento tecnologico e della crescita economica, ma anche al fatto che in esse si concentrano i principali problemi collettivi, quali povertà ed esclusione sociale, rischi di alienazione degli individui e inquinamento. Per questo motivo è essenziale anche promuovere l’innovazione sociale e nuovi modelli di business nelle aree urbane.

Fortunatamente, come spiegato in diversi precedenti post, nella sezione sull’agenda urbana dell’Accordo di Partenariato questo rischio di deriva tecnologica dell’approccio alle smart cities è stato calmierato con diversi interventi che vanno, appunto, anche ad affrontare problemi di inclusione sociale e che sostengono nuovi paradigmi innovativi nella ideazione e gestione delle politiche sociali. [5]

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[1] Il progetto WILCO (Welfare Innovations at the Local level in favour of COhesion) è stato implementato fra dicembre 2010 e gennaio 2014 da un consorzio di 12 Istituti di ricerca – fra cui il Politecnico di Milano – fruendo di un contributo dell’UE a valere del VII Programma Quadro di R&ST di quasi 2,45 Milioni di Euro. Gli obiettivi di fondo del progetto, articolato in 8 Work Packages, sono stati:
• identificare pratiche sociali innovative nelle città europee e i fattori che catalizzano la loro diffusione;
• collocare opportunamente tali pratiche innovative nel contesto dato di politiche urbane e problematiche sociali;
• individuare suggerimenti concreti per sostenere l’innovazione sociale a livello locale.

[2] L’avviso N. 84/Ric. del 2 marzo 2012 era stato promulgato a valere delle risorse del PON “Ricerca e Competitività” – PON R&C 2007-2013 – e, quindi, era aperto solo a operatori delle 4 regioni dell’Obiettivo Convergenza della politica di coesione dell’UE nel periodo 2007-2013 (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). Successivamente il MIUR aveva promulgato l’avviso N. 391/Ric. (datato 5 luglio 2012) che, invece, riguardavo l’intero territorio nazionale.

[3] Il Piano Nazionale della Ricerca 2015-2020 (PNR 2015-2020) è il cardine della programmazione degli interventi a sostegno della ricerca in Italia. Lo gestisce il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).
Dopo una lunga attesa, è stato presentato il 2 maggio scorso e presenta diversi elementi di sovrapposizione con il programma quadro europeo Horizon 2020.
Il MIUR prevede un impegno finanziario di quasi 2,5 Miliardi di Euro nei primi 3 anni, ai quali si sommano i circa 8 Miliardi di Euro che, ogni anno, il Ministero destina ad Università ed Enti Pubblici di Ricerca.
Il PNR 2015-2020 è strutturato intorno a 12 aree di specializzazione, quattro delle quali vengono indicate come “prioritarie” (v. PNR 2015-2020, p. 31).
Le quattro aree prioritarie sono:

  • Aerospazio,
  • Agrifood,
  • Salute,
  • Industria 4.0 (robotica e automatizzazione avanzata dei processi industriali).

[4] In Italiano, si vedano anche: ANCI – ForumPA (non datato), Vademecum per la città intelligente, Roma e, a livello manualistico, De Matteis S., Lanza C. (2014), Le città nel mondo. Una geografia urbana, UTET, Torino.
Il dibattito sulle smart cities è molto vivace anche a livello internazionale. Fra i contributi più significativi si richiamano:
Saunders T., Baeck P. (2015), Rethinking smart cities from the ground up, NESTA, INTEL, UNDP, London
World Economic Forum (2014), The competitiveness of cities, Geneva (CH)
World Economic Forum (2016), Inspiring future cities and urban services, Geneva (CH).

In questi ultimi contributi, fortunatamente, vi è un approccio più bilanciato al paradigma smart cities. In particolare, nel contributo del 2014 del World Economic Forum si rimarca che vi sono quattro aree di intervento fondamentali per la competitività delle città:
• istituzioni;
• politiche e regolamentazione dell’attività economica;
hard connectivity (infrastrutture materiali chiave);
soft connectivity (fattori quali accessibilità ai servizi, partecipazione dei cittadini ai processi decisionali e alla soluzione dei problemi collettivi, educazione e altri che rafforzano il “capitale sociale” delle città).

Potrei dire che nei miei post recenti ho soprattutto rimarcato aspetti legati all’importanza della soft connectivity.

[5] Avrò il piacere di approfondire queste considerazioni nella parte iniziale del corso del CEIDA “Finanziamenti dell’UE e strumenti di ‘impact investing’ per le smart cities” (Roma, 5 e 6 dicembre p.v.).

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