‘Resources spent on a bad impact evaluation
could have been devoted instead to implementation or to needed
subsidies or programs.
Much of such waste in pursuit of impact comes from the overuse
of the word impact. Impact is more than a buzzword.’
Mary Kay Gugerty – Dean Karlan [1]
Come argomentato negli ultimi post, il modello finanziario e operativo dei Social Impact Bonds (SIBs) si fonda sul coinvolgimento di investitori e di organizzazioni “service provider” disponibili ad ancorare il loro ritorno economico non alla quantità di servizi erogati ai beneficiari finali (output), ma al loro impatto socio-economico.
Per le organizzazioni “mission driven” questo significa:
• acquisire e consolidare nel tempo la capacità di creare sia valore sociale, sia valore economico-finanziario (in linea con l’approccio “blended value” introdotto nei primi anni del nuovo secolo da Jed Emerson); [2]
• rafforzare l’orientamento a produrre “valore sociale” per i beneficiari (e per la collettività), anche grazie all’introduzione di calusole “pay-by-success” che legano i pagamenti della Pubblica Amministrazione per i servizi esternalizzati a delle organizzazioni non lucrative agli impatti prodotti da queste;
• introdurre nella loro gestione ordinaria approcci e tecniche di misurazione sistematiche dell’impatto sociale delle loro attività.
Bisogna, tuttavia, chiedersi con molta franchezza cosa significa implementare la valutazione dell’impatto sociale nelle organizzazioni non profit (o, più in generale, nelle organizzazioni “mission driven”), specialmente quelle più piccole e meno strutturate. In vero, è fuor di dubbio che per tali organizzazioni, sovente, il costo di procedure di valutazione di impatto rigorose è quasi insostenibile.
Inoltre, va pragmaticamente preso atto del fatto che:
1. vi è il rischio che molte organizzazioni non considerino la valutazione dell’impatto sociale come uno strumento per fare davvero la differenza per i beneficiari finali e/o per apprendere da errori ed esperienze e migliorare, di riflesso, sia i processi gestionali sia quelli di formulazione dei progetti, ma solo come un mezzo per rafforzare la loro immagine; [3]
2. non sempre è opportuno procedere alla valutazione dell’impatto, specialmente se non vi sono i margini per eseguire delle valutazioni sufficientemente rigorose ( come scrivono Mary Kay Gugerty e Dean Karlan in un pregevole articolo pubblicato sulla più recente edizione della Stanford Social Innovation Review ) e/o non vi è modo di “rendere i modelli di misurazione coerenti con le finalità che la realtà sociale persegue” (come ha rimarcato il prof. Zamagni in un recente articolo sulla edizione del Magazine Vita di aprile 2018); [4]
3. non vi è “una singola misura dell’impatto sociale che rifletta altrettanto bene il profitto nei mercati dei capitali tradizionali” (The Economist 2009), così come è vero che il termine “impatto”, spesso, “assume significati diversi per persone diverse” (Acumen, Root Capital 2015). [5]
Nel dibattito internazionale, non a caso, le due questioni che stanno emergendo come centrali sono:
• come passare ad una forma di valutazione di impatto che sia meno legata a parametri e metriche standardizzate (sulla falsariga del c.d. Impact Reporting and Investment Standards) e a una logica di mera accountability. In altri termini, vi è una crescente richiesta di una valutazione volta realmente a verificare cosa significhi “fare la differenza” per la vita dei beneficiari; [6]
• come mettere in pratica approcci e metodi di valutazione accessibili anche a piccole organizzazioni con ristrette disponibilità finanziare per valutare la loro attività e i loro progetti. L’imperativo è andare oltre quello che Jed Emerson ha definito “the metrics myth”, per cui si dibatte su approcci e metriche da applicare, ma poi le piccole organizzazioni non riescono a implementare valutazioni rigorose in primo luogo per i loro eccessivi costi. [7]
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[2] Cfr. Emerson J.; The blended value proposition: Integrating social and financial returns. California Management Review, 2003, 45.4, pp. 35–51
[3] Cfr. Robin S., Has impact been emptied of its powerful meaning?, PionersPost, 28.06.2018
[4] Cfr. Gugerty M.K., Karlan D., Ten reasons not to measure impact – And what to do instead, Stanford Social Innovation Review, summer 2018; Zamagni S.; Linee Guida del Governo (sulla valutazione di impatto), in Arduini S. (a cura di), Come si misura il bene, VITA Magazine, Aprile 2018
[5] The Economist (2009), “Capital markets with a conscience. Social investing grows up”, September 1, 2009; Acumen – Root Capital (2015), Innovation in impact measurement. Lessons using mobile technology from Acumen’s Lean Data Initiative and Rot Capital’s Client Centric Mobile Measurement, disponibile al seguente link:
http://acumen.org/wp-content/uploads/2015/11/Innovations-in-Impact-Measurement-Report.pdf
[6] A mio modesto parere, l’articolo che in modo magistrale rende conto di questa esigenza è: McCreless M., Fonzi C J., Edens G., Lall S. (2014), Metrics 3.0: A New Vision for Shared Metrics. After accountability and standardization, what should the next phase of measurement focus on?, Blog Stanford Social Innovation Review, 4 June 2014
Si veda anche: Dichter S., Adams T., Ebhraim A. (2015), The Power of Lean Data, Stanford Social Innovation Review, Winter 2016, pp. 36-41
[7] Emerson J. (2015), The Metrics Myth, BlendedValue.