Il post evidenzia come, in questa fase, in cui si discute ampiamente della capacità di adattamento ai cambiamenti delle Pubbliche Amministrazioni e di innovative azioni di capacity building, sarebbe opportuno: (i) approfondire maggiormente la questione delle differenze fra leadership e management nelle Istituzioni pubbliche, prima di parlare di nuove riforme e di nuovi processi di change management nella PA; (ii) considerare che gli interventi di capacity building della PA saranno forieri di cambiamenti e miglioramenti duraturi se e solo se cambieranno attitudini e modus operandi le risorse umane e si delineeranno anche nuovi modelli organizzativi; (iii) focalizzare le azioni di formazione e di aggiornamento dei dirigenti pubblici su capacità di leadership; sulla definizione della visione e della missione delle organizzazioni e sulle specificità del management pubblico, dato che, come pertinentemente evidenziato dalla professoressa Raffaella Saporito nel saggio Public Leadership, i processi di creazione di valore nella PA sono, fondamentalmente, processi immateriali. Dal momento che le azioni di capacity building saranno tanto più efficaci quanto più cambieranno anche attitudini delle risorse umane della PA e assetti organizzativi, sarebbe sempre bene ragionare non solo sulle azioni di capacitazione amministrativa, ma anche su dei cambiamenti organizzativi intesi a valorizzare meglio le nuove competenze e le nuove capacità operative. Quale modello di cambiamento organizzativo della PA il post propone il modello in otto step di John Kotter, professore emerito ad Harvard.
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Appunti su leadership nella PA, management pubblico e ciclo di policy making
Il recente saggio Public Leadership della professoressa della Bocconi Raffaella Saporito fornisce il destro per ritenere superata la “dicotomia” tra politica e amministrazione che, di fatto, è un elemento portante del modello di burocrazia ideale tratteggiato da Max Weber. Il superamento della “dicotomia” fra politica e amministrazione implica che non è corretto considerare la PA come una scatola nera al cui interno si muovono dei “burocrati” nel senso tradizionale del termine, “senza volontà” e completamente asserviti: (i) al rispetto degli indirizzi strategici e delle scelte di politica pubblica del decisore politico; (ii) al mero rispetto della norma.
E’ necessario aprire la scatola nera della macchina amministrativa e considerare i “burocrati” per quelli che sono, ossia persone con delle volontà, delle strategie e dei sistemi di valori che ne condizionano motivazioni e operato.
Inoltre, come emerge dalla lettura dell’intrigante saggio di Raffaella Saporito, (i) la leadership può essere esercitata ai vari livelli organizzativi della PA; (ii) la leadership non va intesa come esercizio del potere di scelta del decisore politico (e, invece, purtroppo, molti dirigenti apicali della PA la intendono così, confondendo la leadership che essi possono legittimamente esercitare con il management pubblico); (iii) i dirigenti in posizione apicale nella PA possono incidere sulle scelte pubbliche dei decisori politici.
Limiti cronici della PA italiana nella gestione dei Fondi Strutturali e processi di audit, monitoraggio e valutazione
La gestione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali e degli interventi finanziati dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) in diverse Regioni continua ad essere caratterizzata da limiti che sembrano quasi insormontabili. La descrizione di tali limiti, sovente, è discutibile anche laddove proposta in articoli accademici, dal momento che non muove da una approfondita analisi delle varie fasi del ciclo di policy making.
In questo post propongo, invece, una nota di viaggio da practitioner che, per il tipo di lavoro svolto, deve necessariamente calarsi nella concreta attuazione di certi procedimenti.
E’ una lettura severa di certi limiti cronici nella gestione delle organizzazioni pubbliche e dell’attuazione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali. Al tempo stesso, vorrei ricordare che certi limiti gestionali si riscontrano anche per molte organizzazioni private. Questo post, quindi, si focalizza sui limiti gestionali delle organizzazioni pubbliche solo per il fatto che è quelle che conosco meglio.
In estrema sintesi, i limiti nella gestione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali, da un lato scontano il ruolo dominante nei processi di programmazione strategica dei decisori politici (malgrado i numerosi vincoli alla formulazione delle strategie dettati dai Regolamenti dell’UE) e, dall’altro, tendono a perpetuare lo strapotere decisionale dei decisori politici. Per essere più concreti, vorrei evidenziare che è chiara testimonianza di questa posizione il fatto che sono gli stessi dirigenti in posizione apicale della PA a sottovalutare o, peggio, tollerare con fastidio, il ruolo di cruscotto operativo dei Programmi del monitoraggio ed anche di audit e valutazione. Se i dirigenti della PA non riescono a cogliere o valorizzare la vera funzione di audit, monitoraggio e valutazione, è nell’ordine naturale delle cose che men che meno tengano in considerazione i risultati concreti dei Programmi e le “lezioni dell’esperienza” della loro attuazione i decisori politici.
Analisi della leadership nella PA e gestione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali
Il presente articolo rimarca nuovamente come l’impostazione di fondo delle attività di capacitazione amministrativa per le organizzazioni pubbliche impegnate nella gestione di Programmi (Nazionali e Regionali) cofinanziati dai Fondi Strutturali e, più specificamente, dei Piani di Rigenerazione Amministrativa (PRigA) previsti dall’Accordo di Partenariato 2021-2027, sia alquanto discutibile, essendo basata su delle Linee Guida della Commissione – Roadmap for Administrative Capacity Building. Practical toolkit – abbastanza deboli.
In primo luogo queste Linee Guida si riferiscono, di fatto, solo alle Autorità di Gestione dei Programmi e le esaminano quasi fossero dei monoliti.
Inoltre, sia le Linee Guida preliminari dell’OCSE – Analytical framework used in the context of the pilot action on frontloading administrative capacity building to prepare for the post-2020 programming period – sia quelle successive dalla Commissione, appena citate, hanno il pregio di delineare un approccio alla capacity building ampiamente informato alla natura specifica degli interventi cofinanziati dai Fondi Strutturali e ai numerosi vincoli legislativi che ne condizionano i processi di programmazione e attuativi, ma di converso perdono completamente di vista alcuni tratti ineludibili dell’analisi strategica convenzionale.
Uno di questi è l’importanza della leadership all’interno di ciascuna delle unità organizzative coinvolte nell’attuazione dei Programmi.
Se, in generale, si ragiona su una Amministrazione Regionale divisa in Dipartimenti (suddivisi a loro volta in uno o più unità organizzative interne), con più Dipartimenti coinvolti nella realizzazione degli interventi finanziati, è presumibile che i vari Dipartimenti potrebbero avere diverse impostazioni della leadership e anche diversi “stili organizzativi”.
Di conseguenza, si ribadiscono i suggerimenti già espressi in dei precedenti post di rivalutare l’utilità del modello Common Assessment Framework (CAF) di EUPAN ed EIPA e di prestare maggiore attenzione alla promozione della leadership per migliorare la gestione dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali e le stesse azioni di capacity building.
DL Sud, cronoprogramma degli interventi del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione e ciclo di policy making
Il recente DL Sud, nella prima Sezione, ridisegna ampiamente governance e modalità di attuazione degli interventi del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC ex FAS). Quale perno dell’intero sistema di gestione degli interventi del FSC vengono posti gli Accordi per la Coesione.
Uno degli elementi portanti di tali Accordi – siano essi ratificati e attuati da Ministeri oppure da Regioni e PP.AA. – è “il cronoprogramma procedurale e finanziario di ciascun intervento o linea di azione”. Il DL Sud, de facto, non fornisce alcuna puntualizzazione sul “cronoprogramma”, ma esso è ovviamente alla base di un altro elemento portante degli Accordi, ossia del “piano finanziario” (annuale).
Il post pone in rilievo che l’elemento principale che dovrebbe preoccupare del nuovo sistema di governance dovrebbe essere il modo sovente approssimativo con cui vengono definiti, in Italia, i cronoprogrammi degli interventi. A tale proposito si rimarca che anche per definire i cronoprogrammi degli interventi sia fondamentale considerare due aspetti: (i) la tipologia di operazioni (opere pubbliche; acquisto di beni e servizi da parte della PA; erogazione di finanziamenti e/o servizi a singoli beneficiari e formazione/valorizzazione delle risorse umane); (ii) la titolarità della responsabilità gestionale (distinguendo fra azioni “a titolarità” e azioni “a regia”, le quali hanno un iter attuativo più articolato).
Appunti su formulazione di Programmi e interventi cofinanziati dai Fondi “per la coesione” e ciclo di policy making
Il post è inteso a illustrare un elemento basilare dell’analisi delle politiche pubbliche, ossia il c.d. “ciclo di policy making”. Esso, di fatto, si configura come l’applicazione ai processi decisionali pubblici della c.d. teoria del “ciclo del progetto”, per cui i processi di scelta pubblica possono essere articolati in più fasi concatenate, vista la natura di per sé iterativa e circolare del ciclo di policy making (traducibile come “ciclo di formulazione delle politiche pubbliche”). Nel post cerco di spiegare che per definire in modo pertinente il ciclo di policy making – strumento da adattare poi a seconda delle peculiarità legislativo-istituzionali e operative delle materie oggetto di scelte pubbliche – è molto utile fare riferimento a uno dei più importanti strumenti di project management, ossia il Ciclo “Plan Do Check Act”, (PDCA) proposto nel secolo scorso da Walter Shewhart e poi perfezionato da Edward Deming.
Strategie di capacity building per la gestione dei Fondi Strutturali: i limiti della nota metodologica della Commissione “tabella di marcia per lo sviluppo delle capacità amministrative”
Il post illustra i principali limiti operativi della Guida del 2020 della Commissione sulle strategie di rafforzamento amministrativo per la gestione dei Fondi Strutturali (la c.d. “tabella di marcia per lo sviluppo delle capacità amministrative”).
Muovendo dall’impostazione seguita dal Development Programme delle Nazioni Unite (UNDP) che definisce le strategie di capacity building sulla scorta di tre “domande guida” (1. Capacity for why?; 2. Capacity for whom?; 3. Capacity for what?), il breve articolo sottolinea in primo luogo che un siffatto approccio – ampiamente desiderabile in generale – non si rintraccia minimamente nel contributo metodologico della Commissione. Inoltre, nella “tabella di marcia per lo sviluppo delle capacità amministrative” viene ampiamente trascurata l’importanza di differenziare la strategia di capacity building a seconda di: (i) macro-fasi e fasi operative dei processi di gestione in senso lato degli interventi cofinanziati dai Fondi Strutturali; (ii) macro-tipologia e tipologia degli interventi (regimi di aiuto, realizzazione di opere pubbliche, acquisti di forniture e servizi da parte della PA, interventi di sviluppo delle risorse umane); (iii) tipo di modalità attuativa (un conto è valutare la “capacità amministrativa” per gli interventi “a titolarità regionale” ed un conto è farlo per quelli “a regia regionale”, in relazione ai quali è strettamente necessario capire come incide sulla “capacità amministrativa” generale anche quella specifica dei soggetti attuatori degli interventi ammessi a beneficio, che agiranno da stazioni appaltanti)
La valutazione delle azioni di capacity building della PA: l’approccio di UNDP
Il post illustra le dimensioni (i pilastri) dell’approccio del Development Programme delle Nazioni Unite (UNDP) alla formulazione e alla valutazione delle strategie di capacity building. Tali dimensioni sono: (i) una puntuale definizione delle capacità da sviluppare; (ii) i drivers del cambiamento amministrativo (assetto istituzionale, leadership, competenze e accountability), e (iii) livelli di analisi della capacità amministrativa (individui, organizzazioni e contesto). Nell’ambito dell’approccio di UNDP, tuttavia, sono soprattutto le seguenti tre domande guida a informare le azioni di rafforzamento amministrativo: (i) Capacity for why? (domanda che serve per definire in modo circostanziato quali sono le ragioni alla base e gli obiettivi specifici delle attività di capacitazione amministrativa); (ii) Capacity for whom? (domanda intesa a individuare puntualmente quale gruppo target specifico del personale della PA neccesita delle azioni di rafforzamento di capacità generali e competenze specifiche); (iii) Capacity for what? (serve per individuare in modo coerente con le scelte fatte in relazione alle domande precedenti le azioni di capacitazione amministrativa da implementare).
La valutazione delle politiche pubbliche: appunti sul Focus Group
Il post illustra alcune caratteristiche distintive del Focus Group, una tecnica di indagine ampiamente usata anche per la valutazione dell’efficacia dei progetti di sviluppo socio-economico e dei Programmi complessi di politica economica, quali ad esempio i Programmi Regionali o i Programmi Nazionali cofinanziati dai Fondi Strutturali. Le due caratteristiche realmente distintive del Focus Group sono riassunte nel nome: (i) esso è focalizzato su un argomento preciso, ben circoscritto (“focus”); (ii) esso è inteso a valorizzare l’interazione e il confronto aperto di più soggetti (“group”). Si tratta di una tecnica, infatti, fortemente volta a valorizzare le interazioni fra i partecipanti per far emergere più informazioni rilevanti e più idee (questo richiede di gestire bene le interazioni, di dare spazio a tutti, e di osservare anche le forme di comunicazione non verbale dei partecipanti).
La valutazione delle azioni di capacity building della PA tramite il modello di Kirkpatrick: cosa si può apprendere dalle esperienze internazionali?
Il post propone un esempio di applicazione del modello di valutazione della formazione di Kirkpatrick alla misurazione degli effetti delle azioni di capacity building. Tale esempio è tratto, con degli adattamenti, dalla manualistica dell’agenzia per la cooperazione internazionale australiana (AusAID).
Così come ha dei limiti il modello di Kirkpatrick, lo stesso si puàò dire per il suo adattamento alla misurazione degli effetti delle azioni di capacity building proposto e implementato da AusAID.
Ciò detto, l’approccio di AusAID è certamente molto interessante – e da replicare – con riferimento ai seguenti aspetti: (i) l’idea di fondo di applicare la logica valutativa non solo ai singoli individui, ma anche alle stesse unità organizzative che beneficiano di attività di capacity building (idea abbracciata anche da UNDP e da altre agenzie nazionali di cooperazione allo sviluppo); (ii) l’idea, ampiamente condivisibile, di non misurare gli effetti delle azioni di capacity building solo con riferimento ai risultati “interni”, ma anche e soprattutto a quelli “esterni”. In altri termini, bisognerebbe stimare la capacità delle azioni di capacitazione di migliorare non solo la performance in senso stretto delle unità organizzative, ma anche la loro capacità di produrre un impatto positivo sui beneficiari/destinatari finali delle azioni di politica economica e dei progetti. In sostanza, il termine di riferimento fondamentale dell’efficacia delle azioni di capacity building dovrebbe sempre essere l’impatto sui beneficiari/destinatari finali.