Sviluppo locale: rischi e valore aggiunto dei processi partecipativi

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Gli strumenti dello sviluppo locale partecipativo nella programmazione 2014-2020

Il lungo negoziato su impostazione strategica e strumenti delle politiche strutturali europee e la necessità di bilanciare un po’ la “ricentralizzazione” verso l’alto di tali politiche, “ricentralizzazione” volta a renderle maggiormente funzionali all’attuazione della strategia Europe 2020, hanno conferito nuovo slancio ad un approccio allo sviluppo place based (territorialmente concentrato), integrato (caratterizzato dall’utilizzo di più tipologie di azioni di sviluppo) e informato a logiche partecipative e di empowerment delle comunità locali (bottom up).
Nello schema che segue si presentano gli elementi essenziali dello Sviluppo Locale di Tipo Partecipativo (SLTP) o, in Inglese, Community Led Local Development (approccio che ricalca ampiamente i principi fondamentali del metodo LEADER).

 

Questo approccio place based e bottom up aveva caratterizzato fortemente, in passato, la formulazione delle strategie di sviluppo cofinanziate dai Fondi strutturali, soprattutto nei periodi di programmazione 1994-1999 e 2000-2006.
Tale approccio, anche per le criticità registrate e i risultati inferiori alle aspettative, è stato de facto usato meno e, soprattutto, in modo meno enfatico nella travagliata programmazione 2007-2013 dei Fondi strutturali.

Uno degli aspetti più problematici che, nelle precedenti programmazioni, ha creato una forte discrasia fra aspettative e concreta realizzazione risiede nel fatto che, sovente, la fase iniziale di definizione delle strategie di sviluppo è stata informata a un effettivo processo partecipativo solo sulla carta.
In molteplici casi, infatti, è risultata debole la capacità (se non la volontà) di implementare effettivamente degli esercizi di “democrazia partecipativa”, realmente aperti alle istanze e alle proposte di tutti i portatori di interesse, ed inclusivi.
Quel che è peggio è che, in molti casi, tali strumenti sono stati de facto utilizzati solo per creare e sedimentare nuove constituencies su scala locale. Questo, in genere, alimenta alcune dinamiche negative ben note anche agli esperti di cooperazione internazionale:

  • alcuni portatori di interesse – più “deboli” – rischiano di non essere coinvolti affatto, o di essere coinvolti solo come “uditori” dei processi partecipativi (specialmente laddove abbiano meno capacità di aggregare consenso politico). Invece, altri portatori d’interesse – più “forti” e/o più scaltri – partecipano ai processi partecipativi solamente per adattarsi/adagiarsi ai cambiamenti in corso (“mimetizzarsi”) e diventare beneficiari di finanziamenti pubblici (rent-seeking behaviour).
    In altri termini, esprimono la loro “voice” non per contribuire a identificare soluzioni di problemi locali, ma per rafforzare quanto più possibile la loro capacità di “intercettare” fondi pubblici;
  • i decision-makers locali, per alimentare il consenso, tendono a favorire una partecipazione molto ampia (anche se, de facto, lo fanno, in genere, in modo che essa sia comunque poco incisiva).
    Questo, inevitabilmente, si rileva controproducente sia in fase programmatica sia in fase attuativa. La presenza di tanti portatori di interesse, in primo luogo, può risultare controproducente se non vi è convergenza di opinioni e interessi fra decision-makers, comunità locali e loro rappresentanti sugli obiettivi economici di lungo periodo. Una partecipazione ampia, inoltre, si rileva in genere caotica, frammentata e più esposta al rischio di favorire comportamenti da veto-players;
  • la volontà iniziale di creare una partnership ampia tende a degenerare presto nella creazione di autentici “clan” locali, che alimentano corruzione e scarsa trasparenza nella gestione delle politiche pubbliche.

Il valore aggiunto dei processi partecipativi

La formulazione di piani di sviluppo locale informati a principi di “democrazia partecipativa” non  solo consente di migliorare i processi di governance a livello locale, migliorare i rapporti inter-istituzionali e favorire la creazione di partenariati pubblici-privati, ma può anche avere dei positivi risvolti sul piano più strettamente socio-economico.

Questo in primo luogo per i seguenti fattori:

  • l’innovazione – a livello di imprese, sistemi di imprese e aree territoriali – si fonda sempre di più sul coinvolgimento degli utenti finali (cittadini) nell’ideazione, prototipazione e validazione di mercato di nuovi beni e servizi (open innovation). Questo approccio consente di apprendere dalla ‘intelligenza collettiva’ e di ridurre i rischi di mercato di produttori e innovatori. Queste considerazioni, inoltre, in misura crescente valgono anche con riferimento alla produzione di servizi di interesse collettivo (Commissione Europea 2014).
    Le tecniche di progettazione “partecipativa”, infatti, sono molto utili per stimolare l’individuazione di nuove soluzioni per problemi sociali, tecnologici e di mercato (nuove idee) da parte dei potenziali beneficiari e la loro implementazione viene sempre più facilitata dallo sviluppo di reti informatiche, di applicazioni per smartphones e del web 2.0. Tali tecniche (magistralmente presentate nell’Open Book of Social Innovation) vanno dai “dialogue cafés” alle conferenze destrutturate e ai BarCamps;
  • concetti come “filiera” o “catena di valore” richiamano l’idea di processi ‘per stadi’ di creazione del valore. Tali concetti ci aiutano sempre meno a capire i sistemi di creazione di valore, in quanto in misura crescente essi seguono logiche “reticolari” (contano moltissimo le reti) e tendono a valorizzare, su qualsiasi scala territoriale, i comportamenti cooperativi, le competenze tacite di tutti i cittadini e la creatività. Questo perchè, più che mai, come scriveva magistralmente alcuni anni fa Camagni, ‹‹la competitività locale è intesa come fiducia e senso di appartenenza più che come pura disponibilità di capitale; come creatività più che come pura presenza di lavoro qualificato; come connettività e relazionalità più che come pura accessibilità; come identità locale al di là di elementi pure importanti come efficienza del sistema locale e qualità della vita›› (Camagni, 2009, p. 69).

Inoltre, le esperienze concrete di “democrazia partecipativa” possono anche potenziare l’efficacia degli interventi, per le seguenti ragioni:

  • favoriscono la elaborazione di strategie caratterizzate da una elevata coerenza con punti di forza e di debolezza di tali aree, in quanto la formulazione “partecipativa” degli interventi, in genere, valorizza realmente il contributo di conoscenza degli stakeholders locali;
  • garantiscono la creazione di un maggior senso di ownership delle strategie di sviluppo e dei progetti da parte di cittadini e comunità locali, in quanto fortemente focalizzati su problematiche realmente avvertite dalle comunità locali. La maggiore ownership percepita si riverbera in un maggior commitment di tutti i portatori di interesse rispetto agli impegni presi al momento della definizione “partecipativa” della strategia;
  • contribuiscono, di conseguenza, anche a rafforzare la sostenibilità nel tempo dei risultati dei processi di sviluppo. Alla base della sostenibilità dei risultati, infatti, vi sono in primo luogo la fiducia degli stessi beneficiari e delle comunità locali sulla validità dei progetti e la loro piena condivisione degli obiettivi e delle linee portanti della strategia;
  • facilitano la maturazione di un maggior spirito civico dei vari stakeholders (in primis i cittadini). Gli stakeholders locali, infatti, una volta coinvolti nel processo di formulazione delle politiche, si sentiranno anche maggiormente responsabilizzati nella veste di co-produttori dei servizi di pubblica utilità di cui necessitano (in merito, si veda Eggers, O’Leary 2009).
    Un coinvolgimento ampio ed effettivo dei portatori di interesse, infatti, consolida la trasparenza e la pubblicness delle Istituzioni e del processo di decision making e, di riflesso, il senso di fiducia nelle Istituzioni dei cittadini.

In altri termini, implica anche l’ulteriore rafforzamento di quei processi di “costruzione intenzionale” e di ampliamento del capitale sociale locale, da diversi autori considerati decisivi per la sostenibilità delle dinamiche di sviluppo su scala locale (Evans 1996, Trigilia 2005).

 

Bibliografia

CAMAGNI R. (2009), Per un concetto di capitale territoriale, in BORRI D., FERLAINO F. (a cura di), Crescita e sviluppo regionale: strumenti, sistemi, azioni, F. Angeli, Milano, pp. 66-90
COMMISSIONE EUROPEA (2014), Open Innovation 2.0. Yearbook 2014, Luxembourg
EGGERS W.D., O’LEARY J. (2009), If we can put a man on the moon: getting big things done in government, Harvard University Press, Cambridge (MA)
EVANS P. (1996), “Government Action, Social Capital and Development: Reviewing the Evidence on Synergy“; World Development, N. 6, pp. 119-1132
TRIGILIA C. (2005), Sviluppo locale. Un progetto per l’Italia, Laterza, Roma-Bari

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