“Un giorno la paura bussò alla porta.
Il coraggio si alzò ed andò ad aprire
e vide che non c’era nessuno”.
Martin Luther King
I GAL come strumento di sviluppo locale place-based, ma anche di innovazione istituzionale
La programmazione 2014-2020 dei fondi per le politiche strutturali dell’UE, al di là delle roboanti dichiarazioni ufficiali, si caratterizza per una ulteriore flessione della dimensione territoriale delle politiche di sviluppo. Anche queste politiche, infatti, sono state informate al principio generale di coerenza di tutti gli strumenti di finanziamento europei con obiettivi, “iniziative faro” ed azioni della strategia “Europe 2020”.
L’approccio place based e bottom up aveva caratterizzato fortemente, in passato, la formulazione delle strategie di sviluppo cofinanziate dai fondi per le politiche strutturali, soprattutto nei periodi di programmazione 1994-1999 e 2000-2006.
Tale approccio, anche per le criticità registrate e i risultati inferiori alle aspettative, nei fatti, è stato usato meno e, soprattutto, in modo meno enfatico nella travagliata programmazione 2007-2013 dei Fondi strutturali. [1]
L’approccio place-based delle politiche strutturali dell’UE, a seguito della discutibile scelta del Governo italiano di non attivare il nuovo strumento Community Led Local Development (CLLD), attualmente viene de facto perseguito quasi esclusivamente dall’approccio LEADER nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale (e, quindi, nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale regionali) e del suo omologo nell’alveo della politica strutturale della pesca.
L’approccio LEADER, peraltro, continua ad essere il principale strumento di governo delle politiche strutturali di sviluppo che travalica i confini amministrativi interni delle regioni europee ed italiane. [2]
L’approccio LEADER e i Gruppi di Azione Locale (GAL), inter alia, sono concretamente strumenti parimenti molto importanti per ragionare anche di riforme dell’ordinamento istituzionale italiano e dei sistemi di governo delle politiche di sviluppo locale. [3]
Anzi, i GAL potrebbero diventare, qualora ve ne fosse la volontà politica, degli autentici veicoli di innovazione dei sistemi di governance territoriale. Una “rilettura” dei GAL come agenzie che gestiscono alcune politiche pubbliche su aree territoriali che travalicano confini amministrativi consolidati, come argomento nel prossimo paragrafo, potrebbe dare adito a una riflessione anche istituzionale su come riequilibrare il sistema di poteri fra Regioni ed Enti Locali, a fronte del sostanziale svuotamento di poteri delle Province [4].
Un altro aspetto molto rilevante concerne il fatto che i GAL hanno la possibilità, gestendo il loro PSL, di maturare delle competenze tecniche per cui, nel corso del tempo, possono diventare delle autentiche agenzie di sviluppo locale. Ma questo è un tema meno dirompente, che verrà affrontato nel prossimo post.
I GAL ai tempi delle giurisdizioni territoriali liquide
I GAL, quali potenziali leve di innovazione istituzionale, ancor di più degli stessi Piani di Sviluppo Locale (PSL), sono una opportunità importante per i Comuni e gli operatori economici dei territori che vi partecipano, in quanto:
• a fronte di una riforma dell’ordinamento statuale quale quella della L. 56/2014 (“legge Delrio”) che va nella direzione di rafforzare i poteri dei Comuni e, al tempo stesso, tende a favorire la costituzione di “aree vaste funzionali” intermedie fra l’Ente Comune e l’Ente Regione, i GAL in sostanza costituiscono l’embrione di una futura “area vasta funzionale” (giurisdizione locale), anche più forte, qualora ve ne fosse la volontà politica, delle Unioni dei Comuni [5]. I GAL, infatti, sono delle “contracting authority” (potenziali enti di governo) che coprono “aree omogenee funzionali” e non amministrative, nonostante i limiti imposti dalla normativa su GAL e loro PSL [6];
• i GAL certamente sono organi decisionali particolari, con un sistema di governance ben diverso di quello delle Unioni dei Comuni, ma hanno in nuce la missione importante di favorire uno spostamento del potere decisionale verso il basso e, soprattutto, di facilitare il coinvolgimento attivo di più portatori di interesse nella gestione delle politiche di sviluppo locale (civic engagement) [7];
• proprio per le loro peculiarità di essere potenziali organi di governo che travalicano i vecchi confini amministrativi delle ex Province e, al tempo stesso, doversi dotare di sistemi di governance interni aperti alla partecipazione non solo di enti pubblici, ma anche di operatori economici privati, rappresentanti di associazioni e organizzazioni a vocazione sociale e cittadini, i GAL si prestano meglio di altre forme di governo dei territori alla gestione condivisa e sostenibile dei “beni comuni”, specialmente quelli che, appunto, travalicano i confini amministrativi [8].
Sono consapevole che analisi e proposte di riforma in nuce in questo post sono alquanto utopistiche. Ma a fronte di riforme istituzionali sul governo locale, proposte e realizzate dagli ultimi Governi, che sembrano avere come unico obiettivo il contenimento della spesa pubblica, anche una proposta un po’ provocatoria come quella di individuare in un “organismo intermedio” della programmazione dei fondi europei (“organismo intermedio” comunque con un sistema di governance interno molto particolare) la “pietra” di un nuovo sistema di giurisdizioni locali intermedie fra Regioni e Comuni è utile per sollecitare i nostri decisori pubblici a fare di più ed andare oltre le politiche di respiro corto di austerità fiscale [9].
Forse, se si “apre la porta” con il “coraggio” invocato da Martin Luther King, si riesce ad andare oltre l’austerità fiscale e varare riforme realmente innovative e “inclusive” nel senso auspicato da Daron Acemoglu e James Robinson nel loro monumentale saggio del 2012 “Why Nations Fail” [10].
Questo post, certamente utopistico e opinabile, è comunque un invito ad avviare la ricerca di un sistema di giurisdizioni intermedie fra Regioni e Comuni realmente “inclusive”.
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[1] I Fondi Strutturali e di Investimento Europeo (Fondi SIE) che, in Italia, finanziano le politiche strutturali di sviluppo dell’UE sono: 1. Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), 2. Fondo Sociale Europeo (FSE), 3. Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR) e 4. Fondo Europeo per le Attività Marittime e la Pesca (FEAMP).
[2] Lo stesso avviene, mutatis mutandis, con la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) prevista dell’Accordo di Partenariato nazionale sulla politica di coesione, nell’ambito delle politiche strutturali europee, e con gli Accordi di Programma Quadro (APQ), nell’ambito delle politiche nazionali, ma in ambedue direttrici strategiche e ambiti settoriali di intervento di questi strumenti sono diversi da quelli dell’approccio LEADER.
Su SNAI e interventi per lo sviluppo rurale si vedano i contributi on line della Rivista AgriRegioniEuropa (edizione n. 45 di giugno 2016).
[3] L’approccio LEADER è finanziato dalla Misura 19 dei PSR 2014-2020. Sull’approccio LEADER nell’ambito del PSR Lazio 2014-2020 si veda la Nota 2/2016 “Approccio LEADER: il bando della Regione Lazio per la selezione dei PSL 2014-2020”, liberamente scaricabile dalla Sezione OpenLibrary di questo sito.
[4] La “legge Delrio” (L. 56/2014), oggetto di molteplici critiche, per sommi capi, ha:
• rafforzato il ruolo delle grandi città, con l’istituzione delle Città Metropolitane. In un sistema economico quale quello laziale, già ampiamente condizionato nel bene e nel male dalla dimensione e dalla forza dell’economia romana,questo rischia di acuire le discrasie nei livelli di sviluppo delle varie aree del Lazio, penalizzando ulteriormente la dorsale appenninica della regione, che sconta modesti livelli di accessibilità fisica e digitale.
L’istituzione delle Città Metropolitane, peraltro, è facilitata dal PON Città Metropolitane, già presentato in breve nel post del 5 giugno “Agenda urbana europea: l’attuazione in Italia e l’assenza nel dibattito del tema del legame fra città e aree rurali”, mentre sembra alquanto indefinita quella che sarà la c.d. “agenda urbana” delle Regioni. Per essere concreti, nel Lazio, ad oggi, non è affatto chiaro quale sarà il futuro del Programma Piano Locale Urbano di Sviluppo (PLUS), che è stato attuato nell’ambito del POR FESR Lazio 2007-213, dopo la sua riprogrammazione di medio termine;
• ridimensionato il ruolo delle Province ad enti di secondo livello. Dopo l’entrata in vigore della “legge Del Rio” le stesse Province, in pratica, sono “aree vaste funzionali” (aree vaste/enti di secondo livello). Oggi sono, infatti, enti che dovrebbero avere funzioni di governo di aree territoriali omogenee, senza avere poteri legislativi e neanche poteri amministrativi distintivi.
Questo pone due ulteriori criticità: (i) vi è il rischio che venga ancora di più indebolita la capacità di veicolazione degli interessi e delle domande di sviluppo latenti delle aree periferiche delle regioni, (ii) le “nuove” Province come enti di secondo livello si vanno de facto a sommare a un già nutrito novero di altri enti di secondo livello (Unioni di Comuni e Comunità Montane) e di altri enti con competenze parziali (Enti parco, Consorzi di Bonifica, Università Agrarie) che, francamente, sembrano più attrezzati per giocare un ruolo negativo di veto-players, che non per incidere positivamente sulla capacità di rappresentare in modo efficace le istanze delle aree territoriali periferiche e di contribuire alla formulazione di pertinenti strategie di sviluppo locale auto-propulsive.
Sulla c.d. “agenda urbana” si veda la Nota 8/2016 “I Fondi Strutturali e di Investimento Europeo in Italia: la priorità agenda urbana”, liberamente scaricabile dalla Sezione OpenLibrary di questo sito.
[5] Sicuramente questa ipotesi non è di immediata e semplice praticabilità, ma al tempo stesso va considerato che il sistema di governance multilivello (o, se si preferisce, di federalismo fiscale), così come realizzato in Italia a seguito della L.C. n. 3/2001, lascia ampiamente a desiderare. Ne sono testimonianza due elementi:
• i vari contenziosi che vi sono stati fra Governo centrale e Regioni/Autonomie Locali sull’attribuzione delle competenze, a causa dell’eccessivo numero di competenze oggetto di legislazione “concorrente”;
• la presenza nell’ambito del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020 di un Asse interamente dedicato al miglioramento del sistema di governo multilivello delle politiche strutturali. L’Asse 3 “Rafforzamento della governance multilivello nei Programmi di investimento pubblico” del PON Governance prevede 5 Azioni, indirizzate in primo luogo agli Enti Locali, volte a migliorare coordinamento inter-istituzionale, efficacia ed efficienza della gestione delle politiche strutturali.
Nell’ambito dell’Asse 3 una particolare rilevanza, come evidenziato nel post del 20 luglio scorso “Migliorare la capacità amministrativa e tecnica degli Enti Locali”, assume l’Azione 3.1.5 “Interventi mirati di accompagnamento del processo di riforma degli Enti Locali” per due motivi:
• può facilitare i processi di riforma interni degli Enti Locali con risorse finanziarie aggiuntive;
• l’Azione intende accompagnare gli EE.LL. “nella definizione di nuovi modelli di elaborazione delle politiche pubbliche, che sfruttino le dinamiche partecipative e gli strumenti per l’ottimizzazione della governance multi-livello” (v. PON Governance, p. 99).
[6] Nelle considerazioni sul livello amministrativo più adeguato di gestione delle politiche di sviluppo, riecheggia l’annoso dibattito sugli effetti della discrasia fra geografia “fisica” di un territorio e geografia “amministrativa” (in Italia normata dall’art. 114 della Costituzione), sulla quale mi sono ripromesso di scrivere presto un nuovo post.
L’approccio LEADER a livello europeo è disciplinato dal Reg. (UE) N. 1303/2013 – il regolamento generale sui Fondi SIE – e dal Reg. (UE) N. 1305/2013 sullo sviluppo rurale. Per la presentazione di obiettivi e limiti territoriali dei Piani attuativi dell’approccio LEADER si vedano, in particolare, gli articoli 32 e 33 del Reg. (UE) N. 1303/2013.
Ai sensi del PSR Lazio e dell’art. 2, comma 4 dell’avviso di selezione dei PSL della Regione Lazio, le aree di intervento dovranno risultare “funzionalmente omogenee” secondo i seguenti parametri:
• interessare una popolazione non inferiore a 10.000 abitanti, né superiore a 150.000 abitanti,
• comprendere i territori di più Comuni,
• coinvolgere integralmente il territorio dei Comuni interessati,
• presentare continuità territoriale fra i Comuni.
[7] Fra le caratteristiche distintive di approccio LEADER/GAL sono sempre generalmente annoverate anche le due seguenti: (i) decentramento istituzionale della formulazione e della gestione degli interventi, (ii) approccio bottom-up e partecipativo.
[8] Come ha magistralmente spiegato in diversi contributi il Premio Nobel 2009 per l’Economia Elinor Ostrom, le forme di governo “flessibili” che sono aperte alla partecipazione delle comunità locali (o addirittura organizzate secondo principi di auto-organizzazione dal basso) sono quelle più adatte per gestire i “beni comuni”, specialmente quei “beni comuni” – quali fiumi, laghi, aree protette, boschi – che coprono parte del territorio di più Regioni e/o Province. Si vedano:
Ostrom E. (1990), Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press. Traduzione italiana: Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia, 2006.
Ostrom E. (1997), A Behavioral Approach to the Rational Choice Theory of Collective Action: Presidential Address, American Political Science Association, The American Political Science Review 92(1): 1-22. 1998.
[9] Qui due precisazioni: (i) preferisco in questo post non esaminare la proposta di riforma costituzionale tanto dibattuta e su cui si terrà un referendum in autunno. Aggiungo, tuttavia, che anche in questa proposta il leit motiv è “tagliare le Province”; (ii) non va dimenticato che la proposta di “tagliare le Province” (e il messaggio implicito è sempre che in questo modo si taglia spesa pubblica inefficiente) era contenuta nella “lettera” della BCE del settembre 2011 al Governo italiano allora in carica (firmata anche dall’attuale Presidente della BCE Draghi), passata alla storia più come esempio di ingerenza senza precedenti nelle scelte di un Governo eletto dai cittadini di uno Stato sovrano, che per l’innovatività delle proposte.
[10] Daron Acemoglu e James Robinson argomentano in quel contributo che, nella storia, i sistemi socio-economici che hanno prosperato sono quelli che sono stati in grado di darsi (e conservare) istituzioni “inclusive”, piuttosto che “estrattive”. Si veda anche: Acemoglu D., The servant state, McKinsey “Understanding Government in New Times” Series, 2012