In Italia, da vari anni, molteplici think-and-do tank conducono una importante e interessante campagna informativa e di advocacy sull’uso dei c.d. strumenti di “finanza a impatto” (impact investing) per sostenere un rafforzamento dell’erogazione pubblica di servizi di interesse collettivo anche con il contributo di investitori privati. Gli strumenti di “finanza a impatto” sono particolarmente interessanti in quanto si basano, in primo luogo, su un particolare meccanismo di rimborso – “pay-by-result” – per cui i finanziatori privati vengono rimborsati se e solo se i progetti di pubblica utilità raggiungono dei risultati (outcome) e degli impatti fissati nelle clausole contrattuali. Essi, pertanto, potrebbero contribuire a ridurre la spesa pubblica ed anche a migliorarne la qualità e la capacità di impattare in modo significativo sul benessere dei cittadini.
La campagna sugli strumenti di impact investing, ovviamente, ha ripreso linfa con il varo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dal momento che il principale strumento che lo finanzia – il Recovery and Resilience Facility (RRF) – di per sé è stato ideato come strumento “performance based”, per cui l’erogazione dei contributi da parte dell’UE agli Stati è condizionato al raggiungimento di target e milestone fissati nelle decisioni di approvazione dei Piani nazionali. Si tratta, tuttavia, di una forma di rimborso condizionato a livello di rapporti fra UE e Stati (in altri termini si applica al nostro PNRR e non necessariamente ai progetti finanziati). Come adattare la natura “performance based” del RRF e, di riflesso, del nostro PNRR, ai singoli progetti? Si possono definire a livello di progetti dei meccanismi di rimborso “performance based” che si ispirino agli strumenti di “finanza a impatto? Questi sono i quesiti su cui ho sviluppato delle riflessioni. Nel prossimo post svilupperò delle riflessioni su questi quesiti con riferimento ai Fondi Strutturali 2021-2027.